Gioia e allegrezza | CONSAPEVOLI NELLA PAROLA

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venerdì 26 febbraio 2010

Gioia e allegrezza

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Ancora oggi gli uomini si sforzano in mille modi di trovare una condizione di vita ottimale nella quale sia possibile provare gioia e vivere nell’allegrezza. Si tratta però di una condizione impossibile da conoscere al di fuori del cammino con Dio. 
 
Veri e propri imperativi

“Abbiate sempre gioia...” (1Te 5:16).
“Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto rallegratevi” (Fl 4:4).
Le parole dell’Apostolo Paolo non si configurano come semplici esortazioni ma corrispondono a veri e propri imperativi che riguardano l’intimo del nostro cuore, la qualità dei nostri sentimenti; un’autentica pressione sugli stati d’animo che riguardano il carattere e anche l’umore che, scientificamente, sembra sottrarsi al controllo della persona; questi imperativi dunque mirano direttamente al centro della volontà del credente obbligandolo a far forza su sé stesso per modificare, se necessario, il proprio stato d’animo indicandogli contemporaneamente la fonte a cui attingere e la via da seguire.
In ogni campo: strategie umane per raggiungere la felicità

Questa, ai nostri giorni, può apparire come una lezione di spiritualità applicata alla vita quotidiana, una propedeutica dell’ottimismo che è di grande attualità in ogni campo, giusto per contrastare il pessimismo dilagante.
Infatti, in campo medico con metodologie scientifiche come la psicologia e la psicanalisi, si cerca di far recuperare fiducia e positività alle persone che vivono situazioni di malessere; soprattutto quelle condizionate da patologie depressive che producono malinconia, tristezza, paura e sovente disperazione dalle quali uomini e donne cercano di liberarsi o che cercano di superare con metodi di evasione, anche estremi: ad esempio con l’uso e l’abuso di farmaci leciti e illeciti o, peggio ancora, con le droghe, che sono l’anticamera dell’autodistruzione: molti depressi arrivano al suicidio.
Anche in campo religioso si subisce il fascino e la tentazione di utilizzare “metodiche pastorali” che utilizzano la psicologia e psicanalisi come “cura d’anime”; con risultati discutibili sul piano spirituale e sovente precari in relazione all’equilibrio psicologico come al radicamento di una fede autentica nell’individuo “curato”.
Talune liturgie di radunamento ecclesiale con musiche e canti coinvolgenti ed estenuanti, intercalate da messaggi-slogan, che producono eccitazione psichica e obnubilamento della coscienza, rientrano più nel campo della ricerca di evasione, di fuga nel mistico che non dell’azione dello “spirito” invocato, in tali contesti, a sproposito (val la pena di ricordare che lo Spirito Santo non prende ordini da nessuno e non si lascia strumentalizzare da chicchessia!)
L’ottimismo è utilizzato anche per altri scopi: mediante la propaganda si pubblicizzano prodotti di vario genere che vanno dai cibi, per la cura del corpo, per le vacanze ed anche prodotti “bancari” per la cura e supposta garanzia dei “risparmi”; in ogni caso viene cosi promessa la gioia e la felicità... a pagamento! Per lucrare sulle ansie di uomini e donne facili prede di promesse allettanti e seducenti.
In campo politico l’ottimismo è diventata una connotazione imprescindibile per ottenere il potere ed il controllo della società: sorriso aperto, sguardo luminoso, battute scherzose, frasi semplici, amorevoli unite a promesse per un futuro radioso e vincente, intorpidiscono la coscienza e catturano i sentimenti esaltandone gli aspetti più edonistici e/o interessati; comportamenti che il più delle volte hanno assai poco da spartire con la verità e che alla prova dei fatti si rivelano finalizzati esclusivamente ad ottenere il consenso ed il voto nelle urne elettorali. Dalla gioia delle speranze e delle attese, si passa velocemente alla disillusione ed alla tristezza dei fatti concreti!
Non è poi così difficile rendersi conto che l’ottimismo e la gioia offerti in questi modi che sembrano mettere al centro dell’attenzione e di ogni premura l’uomo, prescindendo o sottacendo la volontà di Dio o, ancor peggio, utilizzandolo come paravento e strumento di benemerenza in ossequio alle convenzioni socio-religiose maggioritarie e dominanti, hanno come scopo l’incentivazione di una ideologia utilitaristica che trasforma l’uomo in “gioioso” e bulimico consumatore di beni introducendolo in una spirale perversa che lo porta a consumare i beni della creazione ed anche se stesso, oltre a creare disparità e ingiustizie e conflitti di ogni genere.

Un dono: più offerenti!

Da queste poche osservazioni si evince che la gioia e l’allegrezza non nascono spontaneamente nell’uomo ma sono sempre sentimenti ed atteggiamenti motivati da fattori esterni che determinano o meno l’uomo.
La gioia: sentimento di piena e viva letizia, piacevole e intensa emozione dell’animo.
L’allegrezza: sentimento di viva e spontanea letizia che traspare negli atti e nelle parole. (Diz. Garzanti)
La gioia è un sentimento racchiuso nell’animo, l’allegrezza ne è l’espressione che si manifesta mediante le parole i gesti i comportamenti.
Il richiamo di Paolo rivolto ai cristiani di Tessalonica e di Filippi ad avere e mantenere sempre nel proprio animo la gioia ed a manifestarla con l’allegrezza dimostra che tale sentimento non può essere che un dono da custodire, mantenere vivo e da praticare con costanza e perseveranza.
Poiché è un dono c’è una offerta ed un offerente e Paolo appunto indica il dono e l’offerente: il Signore; è lui, la sua persona, la sua Parola.
Dalla sintetica analisi precedente si evidenzia che per l’umanità esiste una alternativa allettante posta in essere da un altro offerente che si pone in competizione con il Signore e con la sua Parola.
Questo offerente alternativo si propose a Gesù stesso nel momento definito negli evangeli come “la tentazione”, articolata in tre momenti ed offerte precise:
1) Il soddisfacimento dei bisogni primari: il pane; con una proposta così formulata: usa il tuo potere per soddisfare i tuoi bisogni!
Sei nel bisogno ma non ti manca il potere: usalo! Gesù non lo usò! Ammise il bisogno del pane ma soprattutto: “di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio” (Mt 4:4 ).
Oggi, come ieri e come sarà domani, gli uomini usano il loro potere per soddisfare abbondantemente i loro bisogni primari, secondari e superflui; alla gioia e allegrezza derivanti si associano inevitabilmente, ingiustizia, fame, malattie, guerre e lutti perché la Parola di Dio è ignorata o negletta, o posta semplicemente, in ambito religioso, dal secondo fino all’ultimo posto nelle coscienze, anziché al primo.
2) Dimostrazione della potenza e della superiorità: “Buttati giù dall’alto del tempio” (Mt 4:5): dimostra la tua superiorità sugli altri uomini, dimostra che sei “come un dio”! Gesù risponde che sta scritto di non tentare Dio” cioè di non provocarlo: di non illudersi di poter rivaleggiare con lui sul terreno della potenza e della gloria!
Grande indicazione e monito che gli uomini di tutti i tempi non hanno tenuto in considerazione. Sono innumerevoli i personaggi che nel corso della storia si sono esaltati in delirii di onnipotenza trascinando con sé. nella rovina delle loro ideologie e del loro “presunto” potere, migliaia, milioni di persone provocandone l’indigenza e la morte. Trovare gioia e allegrezza nella competizione umana senza tenere conto delle indicazioni della Parola di Dio porta inevitabilmente alla rovina.
3) Il desiderio del possesso del potere e della gloria sul mondo e sui suoi regni. “Guardali e adorami e tutto sarà tuo” (Mt 4:9). Gesù rispose: “Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi il tuo culto” (v. 10)
Il mondo è dominato da questo desiderio di potere; se ne constatano palesemente gli effetti che sono indubbiamente imputabili ai potenti delle nazioni che si lasciano determinare da questa tentazione ma, a ben vedere, ogni singola persona o individuo che può esercitare influenza sul prossimo tende ad esercitare una autorità che sovente si trasforma in prevaricazione e dominio.
Anche questo può essere fonte di gioia e allegrezza per molti, una autentica ebbrezza psichica inesauribile e insaziabile a dimostrazione che l’esaudimento di tali ambiziosi sentimenti corrisponde, secondo le parole dell’Evangelo ad una implicita, ed irresponsabile adorazione di Satana.
A questa considerazione dovrebbero porre mente anche quelle persone che in ambiti “religiosi” non si sottraggono dall’uso cinico e disinvolto di metodi e strumenti per esercitare il potere malcelato da ragioni di “bene” di “giustizia”, di “pace” e di “difesa della vita” e quant’altro. Ben altra è la via indicata da Gesù: rendere il culto solo a Dio equivale a rompere con l’idolatria che soggiace all’azione di potere; a non genuflettersi di fronte a simboli e simulacri “divini” e contemporaneamente con il cuore e con le intenzioni a Satana; allontanare tutti demoni che lo servono con le loro lusinghe e tentazioni di gloria e di potere sulle coscienze e la vita degli uomini.
La gioia e l’allegrezza derivanti dal cedimento a queste tentazioni non sono solo effimere e brevi nel tempo ma soprattutto sono oscuramento della verità e fonte di tragicità, di sofferenza e di morte per gli uomini (Gb 20:5).

Gesù vero offerente di gioia ed allegrezza!

Solo la Parola di Dio vissuta ed affermata nel contingente è il rimedio e il contrasto ad una offerta falsa e deviante di vita in gioia e allegrezza (Sl. 97:11). L’offerta vera ed autentica di gioia e allegrezza la può fare solo Dio, il Padre di Gesù Cristo e per mezzo di lui (Ec 5:20; Is 30:29; Gv 15:11).
Nel tempo della sua vita terrena Gesù disse moltissime cose; fra le tante, una risuona ancora adesso, come richiamo ed invito di attualità: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, poiché io sono mansueto e umile di cuore e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Mt 11:28-30). L’offerta di Gesù è articolata in senso diametralmente opposto a quella dell’avversario:
1)” Venite a me” è un invito esclusivo volto a relativizzare ogni altra proposta alternativa. Gesù propone sé stesso come donatore dell’autentico bisogno dell’uomo: il riposo; la liberazione da ogni fatica e oppressione esistenziale; è una offerta di vita nella gioia e nella allegrezza.
2) Gesù non richiede all’uomo di esprimersi con opere o azioni eclatanti, non fa leva sulle sue potenzialità e capacità; chiede invece condivisione, ascolto e ubbidienza: farsi carico del suo giogo significa vivere con lui e come lui.
3) “Imparate da me” non significa solo apprendere teoricamente e porre fede nel senso biblico e profetico della sua presenza, bensì immedesimarsi nella sua persona assumendone la stessa qualità e caratteristiche peculiari: mansuetudine e umiltà di cuore; solo per questa via da apprendersi con l’esperienza (Ro 12:1,2) l’uomo può trovare e scoprire non senza stupore “il riposo dell’anima” la vera ed autentica premessa per una vita di serenità e gioia, nonostante tutto; di capacità di gustare la dolcezza dell’amore di Dio nella condivisione del “peso” della sua opera nella propria vita, nella capacità e forza di portare con dignità il “peso” della sua vocazione che si alleggerisce quanto più la nostra ubbidienza è vissuta nella gioia paziente e misericordiosa.
La fede nella sua azione di riscatto, di redenzione dal potere opprimente del peccato e dall’azione deviante dell’avversario sarà il coronamento e la vittoria che porteranno al realizzarsi di una gioia e una allegrezza sconosciute all’esperienza umana (So 3: 14-17).
Il realizzarsi continuo di questo che è più di uno stato d’animo bensì un modo di vita, di pensiero e di azione, necessita dell’ascolto e dell’osservanza della Parola di Cristo che sinteticamente è così da lui espressa:
“Se osservate i miei comandamenti dimorerete nel mio amore come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa... Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 15:10, 11, 17) (1Gv 4:21).
Considerando la vita di Gesù come riferimento ed esempio da seguire come testimoni della verità, ne consegue il porre attenzione a tre momenti essenziali per la vita del singolo e della chiesa:
1) La comunione, la solidarietà, la condivisione.
La gioia della fede non è fatta per esaurirsi nell’intimo dei singoli bensì nel coinvolgimento cosciente in uno stesso progetto di vita e di salvezza e di comunione che porta ad intendere il dono di Cristo come dono per tutti quelli che lo invocano (Ro. 10:13; Gl. 2:32).
È una chiamata a vivere una fede non ideologizzata e conflittuale ma unicamente mirata alla Verità e l’ Essenza della figura e della Parola di Cristo; di Gesù che dona la vita per la vita e la cui gioia era l’adempimento di questo mandato (Eb.12:2)
2) Nella comunione siamo chiamati ad essere solidali gli uni con gli altri, nella consapevolezza di essere insieme pellegrini in cammino verso la meta celeste, pertanto non indifferenti, durante il cammino sovente duro e difficile, ai problemi del fratello o della sorella bensì pronti a “portare i pesi gli uni degli altri”; così, dice l’apostolo Paolo “adempirete la legge di Cristo” (Ga 6:2).
3) Se ricordiamo le parole di Gesù che affermava “Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici” (Gv 15:13) e cosi fece offrendola anche, nel perdono, ai suoi nemici (Lu 23:34) se ne deduce che tutti i cristiani sono chiamati almeno a condividere la loro vita con gli amici, con sguardo misericordioso verso i nemici.
Lo spirito di condivisione che è lo spirito di Cristo che non “divide con” ma dona tutto sé stesso, apre nuovi orizzonti di fede e di speranza; è anche uno spirito di intelligenza e di sapienza perché sa vedere e andare oltre il contingente e sprona alla condivisione e al dono di sé stessi. È il contrario della misantropia e dell’egoismo malcelati da velleitarie apologie di verità dietro le quali c’è il vuoto, l’assenza dello spirito del Signore.
Il Signore vuol essere il Signore non solo del pensiero e delle idee, ma di tutta la vita di coloro che ha riscattati ai quali ha promesso la sua benefica presenza in ogni momento ed in ogni luogo.
Gioiamo e rallegriamoci: il Signore è presente, il Signore viene!
Sia benedetto il Nome del Signore!

“Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”
(Matteo 28:20)
Liberamente adattato da internet
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