La Parola di Dio c’insegna dell’esistenza di una personalità spirituale, che si oppone a Dio ed alla sua creazione. Questa personalità è chiamata Satana.
Ci dice pure che questa personalità è accompagnata da una numerosa moltitudine d’entità parallele, che collaborano per raggiungere un medesimo scopo, che è quello di distruggere l’uomo e tutta la creazione.
Nell’universo, vi sono, dunque, due forze opposte, le quali tendono a dirigerlo in opposte direzioni e incamminarlo verso differenti destini. Da un lato, Dio e le sue miriadi angeliche; dall’altro, Satana e le sue schiere d’angeli ribelli.
Satana è definito con diversi nomi, fra i quali:
· Il Tentatore.
· Il Serpente Antico.
· Il Padre della Menzogna.
· Il Maligno.
· Il Principe della Potestà dell’Aria.
· L’Accusatore.
· La Bestia
L’influenza che questa entità esercita sull’uomo è opposta ai desideri divini, che sono di perfezione e di armonia universale, e determina nell’uomo una serie di ragionamenti e di comportamenti, i quali costituiscono ciò che la Parola di Dio definisce con il termine “peccato”.
Il peccato è dunque la conseguenza dell’influenza della personalità di Satana nell’uomo e, attraverso di lui, nell’intero universo, ed attua nella creazione una costante minaccia distruttiva.
In questi ultimi tempi, sentiamo spesso parlare di terrorismo. Ebbene, questo è soltanto una parte degli “attentati” che Satana realizza sulla terra. Attraverso di lui, l’uomo attenta non soltanto contro i propri simili, per distruggerli come fece Caino originariamente, o attenta contro se stesso per auto-distruggersi con alcool e droghe, ma attenta anche contro la natura, cioè in definitiva contro tutto e contro tutti, direttamente e personalmente, cioè in maniera auto-lesionistica, oppure indirettamente.
Il male è dunque universale ed investe tutti gli aspetti della personalità dell’individuo, della famiglia e della società. Questo stato di degradazione, rispetto alla perfezione originaria della creazione, è definito con il termine “depravazione totale”, e dura fin dalle origini. In Genesi 6:5, leggiamo infatti: “E l'Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra, e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano altro che male in ogni tempo”.
Il peccato si insinuò nel mondo, allorché il primo uomo dette ascolto, per la prima volta, suggerimenti del Tentatore, e disobbedì a Dio.
Da allora, tutti subiamo la sua influenza, senza esclusione, poiché tutti discendiamo secondo la carne da quel nostro progenitore. L’Apostolo Paolo era ben consapevole di ciò, quando esclamò: “Misero me, chi mi trarrà da questo corpo di morte!”.
Da allora, tutti subiamo la sua influenza, senza esclusione, poiché tutti discendiamo secondo la carne da quel nostro progenitore. L’Apostolo Paolo era ben consapevole di ciò, quando esclamò: “Misero me, chi mi trarrà da questo corpo di morte!”.
Egli era cosciente che, per quanti sforzi l’uomo possa fare per vincere questa forza che lo induce continuamente a peccare, mai potrà debellarla, poiché essa è legata alla nostra stessa carne. Questa forza sfrutta cioè il nostro stesso cervello e le nostre stesse membra, per mettersi in azione, e non è possibile non subirne gli attacchi. In quanto avendo un corpo, siamo suscettibili che questo corpo, che è diventato corpo di morte, venga influenzato in qualsiasi momento dal Nemico, e cominci a desiderare ciò che desidera il Nemico, andando nella direzione di questi desideri. Il peccato, in ogni caso, si può fermare ad uno stadio iniziale, che è semplicemente quello di pensare di fare il male, ossia di concupire.
È importante, a questo riguardo, fare una precisazione.
Satana ha il potere di indurci a desiderare il male, ma non ha il potere di obbligarci a farlo.
La tentazione, ossia l’influenza satanica, può essere vinta.
Nella preghiera del Padre Nostro, Gesù c’insegna a pregare affinché Dio non permetta che veniamo esposti alla tentazione, poiché questa tentazione rappresenta per noi una possibilità di caduta. Non sempre l’uomo passa dal pensiero all’azione peccaminosa, ma l’influenza del Nemico esercita ugualmente su di lui un incontrastabile potere di seduzione. Il desiderio di peccare, anche se non equivale alla realizzazione del peccato, costituisce già un peccato in se stesso.
In Mat 5:27,28, leggiamo: “Voi avete udito che fu detto: Non commettere adulterio. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per appetirla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. La concupiscenza è il primo passo verso la realizzazione del peccato, e già la stessa concupiscenza è peccato.
L’uomo, cioè, è un peccatore per costituzione. Anche se non dovesse commettere l’azione peccaminosa, pur sempre egli sarebbe un peccatore, avendo desiderato commetterla.
La persona di Cristo poteva essere tentata, ma non subiva il fascino della concupiscenza.
Egli si trovava, nella carne, nelle stesse condizioni del primo uomo, ma nello spirito era intoccabile. Non poteva peccare.
L’attacco di Satana era destinato a fallire in partenza. Tuttavia, egli fu costretto a tentarlo, poiché il suo compito è quello di tentare tutti. Satana non poté esimersi dal tentare Cristo. Se avesse potuto astenersi dal tentarlo, il piano di Dio non sarebbe stato perfetto. Satana avrebbe potuto rifiutarsi di tentare questa persona “intoccabile ed invincibile”, ed avrebbe risparmiato la sconfitta. Ciò non era però possibile. Egli doveva tentare Cristo, in quanto uomo, poiché è il Tentatore. Egli doveva mettere in atto le stesse armi di seduzione, usate contro Eva.
È di fondamentale importanza osservare che la tentazione di Satana non consiste esclusivamente nel suggerci di fare qualcosa di palesemente malvagio, ma può consistere anche nel suggerirci di fare del bene. Per Cristo non rappresentava un male, dopo 40 giorni di digiuno, il fatto di voler mangiare. Mangiando, Egli avrebbe potuto salvare la sua vita, messa in pericolo dalla grave inedia nella quale si trovava. Neppure il fatto di desiderare tutti i regni della terra, rappresentava un peccato. Cristo avrebbe potuto desiderare di possedere tutto il mondo, solamente a fin di bene, cioè allo scopo di governarlo in saggezza, in prosperità ed in pace, aiutando i bisognosi, i poveri, e i malati. Cristo fu tentato, ma senza concupire le cose che gli venivano offerte.
Egli ebbe fame. Subì come chiunque altro il fascino di un pane caldo, dopo 40 giorni di digiuno, ma non la desiderò di là da ciò che poteva essere la volontà di Dio in quel momento. Egli lasciò spazio alla Provvidenza, cioè al Bene assoluto di Dio. Egli sapeva che Dio non avrebbe permesso che egli morisse di fame. Se fosse morto di fame in quel momento, non avrebbe potuto morire poi sulla croce. Per questo motivo, perfino trovandosi in quella situazione del tutto scomoda, ed in quelle precarie condizioni fisiche, egli sapeva che il Padre gli stava dando tutto ciò che era buono per lui, e non desiderava sostituirsi alla Provvidenza. Degli angeli vennero poi a lui, per sopperire alle sue necessità.
Nell’episodio del pagamento del tributo, vediamo ancora una volta che Cristo non concupì, ma si rimise alla Provvidenza di Dio. Pagare la tassa era urgente ed obbligatorio, ma egli non aveva denaro. Tuttavia, non cominciò a disperarsi né a preoccuparsi circa il modo col quale procurarselo, ma si affidò all’intervento miracoloso della Provvidenza.
Possiamo dire che Cristo, nella tentazione, subì l’attacco di Satana, ma non la sua influenza. Egli non si lasciò influenzare in alcun momento dalla concupiscenza, ossia dal desiderio di sostituirsi a Dio.
Un altro uomo avrebbe pensato ad altre possibili soluzioni del problema, per esempio a compiere un miracolo a pagamento, per poter pagare in tal modo l’esattore. Nel Libro degli Atti, vediamo Simon Mago voler comprare la capacità di compiere i miracoli. Non sappiamo se quel personaggio pensasse di offrire poi a pagamento le sue prestazioni spirituali. Ciò che leggiamo è che egli voleva comprare dagli Apostoli la capacità di infondere lo Spirito Santo. I doni dello Spirito Santo, che egli avrebbe voluto infondere, erano cose essenzialmente buone, sante e desiderabili, ma era sbagliato il suo atteggiamento nei confronti di queste cose.
Dopo di lui, altri hanno manifestato il suo stesso atteggiamento, stabilendo indulgenze, penitenze, o compensi obbligatori o volontari, come contropartita per le prestazioni spirituali.
Dalla lettura dell’episodio di Simon Mago, ci accorgiamo che non sempre la cosa che Satana ci fa desiderare deve essere obbligatoriamente cattiva, ma può anche essere buona in se stessa. Il peccato non risiede nella cosa in se stessa, ma nel nostro atteggiamento nei confronti di ciò che desideriamo.
Molti si adoperano, ad esempio, nel compiere buone opere, allo scopo di guadagnare meriti davanti a Dio. Le loro buone opere rimangono certamente tali, ma la loro motivazione a compierle è sempre ed inevitabilmente macchiata dal peccato, tanto che nessuno di noi può presentarsi a Dio adducendo le sue opere come un “biglietto da visita”, poiché queste buone opere non fanno altro che presentarci a Dio nella maniera peggiore. Queste opere non presentano a Dio i loro effetti sulle persone beneficiate, ma presentano anzitutto a Dio la nostra concupiscenza, ed in definitiva la nostra natura ed il nostro stato di peccatori.
Possiamo verificare quest’affermazione, esaminando l’episodio del Fariseo nel Tempio. Il suo atteggiamento era proprio quello di voler presentare se stesso a Dio attraverso le sue opere. Egli pensava: “Io pago la decima, io faccio elemosina... Perché mai tu, oh Dio, dovresti guardarmi con occhio sfavorevole?” Egli metteva davanti a sé le sue opere, che erano senza dubbio buone: generosi contributi alla chiesa, donazioni ai poveri, ecc...
Al contrario, quelle opere buone non valsero a presentarlo a Dio come meritevole. Quelle opere erano infatti precedute e coperte dalla natura intrinseca della sua persona, natura che era identica a quella di qualsiasi altro uomo sulla terra, compreso a quella del pubblicano, del quale non viene ricordata nessun’opera buona. Vediamo che quest’ultimo venne giustificato da Dio indipendentemente dal fatto di aver compiuto qualsiasi opera, buona o cattiva, mentre il Fariseo venne condannato per il fatto di offrire a Dio le sue opere come contropartita per un giudizio favorevole nei suoi confronti.
Il Peccato nelle buone opere
Esistono diversi modi, attraverso i quali il Maligno riesce ad ottenere il suo scopo. In generale, egli sfrutta la tendenza naturale dell’uomo, e la incanala verso ragionamenti sbagliati, che lo portano a confondere le giuste priorità assegnate da Dio.
Egli s’insinua nella mente dell’uomo, influenzando i suoi ragionamenti, e di conseguenza anche le sue scelte. L’astuzia di Satana, nel tentare l’uomo, è straordinariamente grande.
Egli è chiamato “il padre della menzogna”. Il suo potere di seduzione raggiunge le più intime profondità del nostro cuore. Ha la capacità di ingannarci, facendoci vedere le cose in maniera distorta. Egli si presenta a noi, e ci mostra come appetibili alcune cose, perfino buone e legittime di per se stesse; poi ci invoglia a desiderarle, facendoci perdere completamente di vista altre cose che dovremmo desiderare invece con priorità. Cristo avvertì contro questo modo sbagliato di valutare il bene, dimostrandoci a chiare parole che non tutto ciò che è buono perché sembra tale, costituisce però il bene perfetto ed assoluto, ma è solamente l’insieme delle cose buone che è possibile fare compiendo il minor peccato.
Ai Farisei, i quali pensavano di aver fatto del bene, e certamente l’avevano fatto, Cristo risponderà: “Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta e dell'aneto e del comino, e trascurate le cose più gravi della legge: il giudizio, e la misericordia, e la fede. Queste son le cose che bisognava fare, senza tralasciar le altre” (Mat 23:23).
Anche nel fare del bene, ci può essere dunque peccato e ipocrisia. I Farisei compivano il bene, ma peccavano!
Il concetto prima esposto è veramente arduo da capire, e può sembrare addirittura impossibile che un insieme di cose buone e di opere buone possano costituire invece un peccato più o meno grande per colui che le compie, e non invece un bene più o meno grande ed un’opera meritoria più o meno encomiabile. Sembrerebbe assurdo pensare che invece è vero proprio il contrario!
Per spiegare questo concetto, continuiamo dunque a riportare altri esempi abbastanza semplici, in modo da non lasciare spazio a possibili dubbi.
In Atti 5:1,10, leggiamo: “Ma un certo uomo, chiamato Anania, con Saffira sua moglie, vendé un possesso, e tenne per sé parte del prezzo, essendone consapevole anche la moglie; e portatane una parte, la pose ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: Anania, perché ha Satana così riempito il cuor tuo da farti mentire allo Spirito Santo e ritener parte del prezzo del podere? Se questo restava invenduto, non restava tuo? E una volta vendutolo, non ne era il prezzo in tuo potere? Perché ti sei messa in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio. E Anania, udendo queste parole, cadde e spirò. E gran paura prese tutti coloro che udiron queste cose. E i giovani, levatisi, avvolsero il corpo, e portatolo fuori, lo seppellirono. Or avvenne, circa tre ore dopo, che la moglie di lui, non sapendo ciò che era avvenuto, entrò. E Pietro, rivolgendosi a lei: Dimmi, le disse, avete voi venduto il podere per tanto? Ed ella rispose: Sì, per tanto. Ma Pietro a lei: Perché vi siete accordati a tentare lo Spirito del Signore? Ecco, i piedi di quelli che hanno seppellito il tuo marito sono all'uscio e ti porteranno via. Ed ella in quell'istante cadde ai suoi piedi, e spirò. E i giovani, entrati, la trovarono morta; e portatala via, la seppellirono presso al suo marito. E gran paura ne venne alla chiesa intera e a tutti coloro che udivano queste cose”.
Qui la Parola di Dio ci mette di fronte ad una chiara evidenza: il bene non consiste in ciò che diamo. I due si erano accordati per elargire una cospicua somma alla Chiesa. Questa è senza dubbio una buon’azione. Però, nel compierla, essi avevano commesso un grave peccato.
Quest’ultimo era talmente grande da annullare completamente tutto il loro operato, e da far apparire quel lascito generoso, che corrispondeva non alla decima parte, ma addirittura alla metà di tutti i loro beni, come qualcosa di abominevole e ripugnante davanti a Dio; tanto ripugnante da meritare non una lode parziale per ciò che era stato effettivamente dato, ma da meritare l’applicazione del castigo estremo! L’intenzione di Anania era quella di aiutare la chiesa. Egli, depose semplicemente la somma ai piedi degli Apostoli, e tacque. Lo stesso Pietro avrebbe potuto semplicemente ringraziarlo per quel grande regalo fatto alla chiesa. Tuttavia, davanti a Dio, quel grosso regalo, lungi dal costituire un grosso merito, costituiva un grosso peccato.
Il male non consisteva nel fatto che essi avrebbero dovuto dare obbligatoriamente alla chiesa non la metà, ma tutta la somma ricavata. Ciò non avrebbe avuto importanza, se il loro atteggiamento fosse stato diverso. La vedova, di cui si parla nell’episodio di Marco 12:42, non arriva ad offrire che due monetine, eppure la sua offerta ha per Dio un grande valore. Il Bene non è dunque in ciò che diamo alla Chiesa o ai poveri, né nella quantità della quale ci priviamo, ma nella qualità di ciò che diamo.
L’Apostolo Paolo avverte in tal senso: “Quand’io distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova” (1Co 13:3).
Ancora una volta, ci rendiamo conto che perfino facendo del bene, noi possiamo commettere un grave peccato.
Analizziamo la prima tentazione di Gesù. Satana gli dice: “Se tu sei Figliuol di Dio, dì che queste pietre divengano pani”.
Se riflettiamo bene, la Scrittura non ci parla di un piccolo miracolo. Satana non suggerisce di trasformare in pani soltanto due o tre pietre, ma tutte le pietre di quel deserto. “Dì che “queste” pietre divengano pani!” Ebbene, lì, in quel deserto roccioso, di pietre, ce n’erano a perdita d’occhio! La Scrittura ci sta parlando di un miracolo bellissimo: quello di trasformare le pietre del deserto, in pani! Ci sembra già di vedere le folle accorrere per essere sfamate, come sarebbe avvenuto qualche tempo dopo (Gv. 6;26).
Se Gesù avesse accettato l’offerta di Satana, e avesse trasformato in pani le pietre del deserto, egli avrebbe risolto il problema della fame nel mondo. Sarebbe bastato ripetere quel miracolo in ogni nazione ed in ogni città. Nessuno avrebbe più patito la fame. Dare da mangiare agli affamati, è un’opera di misericordia; ma anche in quest’opera buona può esserci il peccato e l’adorazione di se stessi e del Nemico.
Gesù sapeva che se avesse dato da mangiare ai poveri, trascurando però ciò che in quel momento era essenziale per lui, cioè vincere la battaglia contro Satana, egli avrebbe commesso un peccato! Quest’ultimo sarebbe stato un peccato di orgoglio. Satana gli suggeriva infatti, come motivazione per compierlo, un sentimento di superiorità: Tu sei il Figliuol di Dio! Tu hai la possibilità di trasformare l’indigenza e la fame, in abbondanza! Tu ne possiedi i mezzi! Dio ti ha dato la capacità di trasformare in pani le pietre del deserto!”
Cristo poté rendersi conto di questa trappola, nascosta dietro l’opera buona, che Satana gli chiedeva di fare. Potremmo noi fare altrettanto? Se risolvessimo noi il problema della fame nel mondo, potremmo non sentirci gratificati e meritevoli di lode?
Talvolta, quella di dare ai poveri è una maschera, con la quale cerchiamo di nascondere a Dio le nostre mancanze e la nostra concupiscenza. C’illudiamo che, quella di dare, sia un’alternativa alla carità, cioè all’amore, e che l’elemosina sia il prezzo che ci permetta di continuare a trascurare tutte quelle cose che dovremmo invece compiere con priorità, cioè le obbligazioni che abbiamo contratto col nostro coniuge, con i figli, o con la società.
Talvolta, incontrando un povero che ci chiede l’elemosina, sentiamo dire questa frase: “Fate la carità”. In effetti, di carità si tratta. Però, se questa carità la facciamo allo scopo di sentirci poi esonerati dall’obbligo di avere carità con i nostri familiari, coi colleghi di lavoro, o coi fratelli, a nulla ci è valso! Non possiamo illuderci di aver avuto carità, neppure se avessimo dato a quel povero non un’intero stipendio, ma tutte le nostre sostanze. La carità non si può comprare o sostituire col denaro.
L’Apostolo Paolo ce lo ripete in maniera chiarissima: “Quand’io distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, cioè amore al mio prossimo, ciò niente mi giova!” Niente non vuol dire “mi giova poco”, cioè faccio una piccolissima cosa buona, ma vuol dire, appunto, niente, cioè uno zero assoluto!
Vogliamo far notare, ancora una volta, che la nostra elemosina gioverà certamente al povero, cui l’abbiamo dato. Tuttavia, quest’elemosina non gioverà a noi davanti a Dio, se l’avremo usato come pretesto per trascurare i nostri doveri primari e prioritari.
La richiesta del povero, in quest’ultimo caso, non avrebbe per noi il valore di una “richiesta di carità”, ma dovrebbe essere corretta più semplicemente in quest’altra: “Mi dia un poco del suo denaro!”.
Purtroppo, l’uomo naturale non sempre si rende conto dell’inganno che si cela dietro le opere. Tutto ciò avviene a causa dell’influenza di Satana nelle nostre menti, la quale influenza ci porta a distorcere e a macchiare qualsiasi opera noi facciamo. Questo è il motivo per cui la Parola di Dio definisce le buone opere come dei “panni sporchi”, dal momento che esse non possono mai essere perfette ed eterne, ma sono sempre ed inesorabilmente accompagnate da qualche macchia, più o meno grande, ma comunque inevitabile, causata dalla nostra concupiscenza. Tutto ciò che facciamo, è macchiato dal peccato.
Non è dunque l’opera, anche se buona, a costituire il peccato, ma noi stessi, nel farla, manifestiamo inevitabilmente davanti a Dio la nostra natura di peccatori; poiché in tutte le sue azioni, anche nelle buone opere, l’uomo è manovrato dalla sua concupiscenza, ossia dall’influenza di Satana.
Facciamo ancora qualche esempio. In Matteo 16:23, l’Apostolo Pietro, avvertito del fatto che Gesù avrebbe sofferto e sarebbe stato ucciso, ebbe una reazione di pietà per la vita del suo Maestro. Egli non avrebbe voluto che morisse. Se si fosse presentata l’occasione, egli sarebbe stato anche disposto a combattere per salvare il suo Maestro (come fece in Mat 26:51) o a dare la sua vita per lui (come non fece in Gv. 13:37).
In tutti i casi citati, questi atteggiamenti, pur se pietosi, avrebbero ottenuto però dei rimproveri. In Matteo 16:23, Gesù gli avrebbe risposto addirittura: “Vattene via da me, Satana; tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”.
Evidentemente, Cristo si rendeva conto che in quel momento la personalità di Pietro si trovava sotto l’influenza satanica, e che egli stava parlando illudendosi di essere nel giusto e credendo di fare possibilmente qualcosa di buono per il suo amato Maestro, augurandogli di scampare ad una possibile morte, mentre in realtà stava solamente tentando di ostacolare i piani della Provvidenza di Dio, e di assecondare gli interessi di Satana. In un’altra occasione, vediamo Pietro dichiarare di voler dare la sua vita per Gesù, dicendo “Signore, perché non posso seguirti ora? Metterò la mia vita per te!” (Gv. 13:37). Questa era una dichiarazione verbale di fedeltà, ma questa dichiarazione non sarebbe poi stata seguita dall’applicazione pratica. Pietro, infatti, non avrebbe avuto il coraggio di fare ciò che aveva promesso. Gesù gli risponderà: “Metterai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico che il gallo non canterà che già tu non m'abbia rinnegato tre volte” (Gv. 13:37,38).
In Matteo 26:51,54, leggiamo ancora: “Ed ecco, uno di coloro ch'eran con lui, stesa la mano alla spada, la sfoderò; e percosso il servitore del sommo sacerdote, gli spiccò l'orecchio.
Allora Gesù gli disse: Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendon la spada, periscon per la spada. Credi tu forse ch'io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in quest'istante più di dodici legioni d'angeli? Come dunque si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?”. Dietro alle buone intenzioni di Pietro, c’era pur sempre qualcosa di errato, tale da suscitare il rimprovero di Cristo. L’impulsività di quest’Apostolo, cioè la sua affrettatezza nel voler operare, non faceva altro che manifestare, prima che le sue buone intenzioni, la sua concupiscenza.
In Mt. 16:23, Cristo non lo loda per la sua bontà d’animo, ma si limita solamente a rimproverarlo. Quel sentimento d’amore e di amicizia viene condannato, perché non può aggiungere nulla di positivo all’intrinseca natura di peccatore di Pietro.
Quando siamo chiamati ad operare, dobbiamo prima ricordare che ciò che stiamo per fare non può aggiungere nulla ai nostri meriti davanti a Dio, ma che può addirituura peggiorare la nostra condizione davanti a Lui. Dobbiamo ricordare, ancora una volta, la frase di Gesù: “Guai a voi, Farisei, ipocriti, perché pagate... ma trascurate...”
Dobbiamo sottolineare fortemente il fatto che per l’uomo è impossibile compiere il bene. La parola di Dio ci dice chiaramente che: “Non c’è alcun giusto; no, neppure uno” (Ro 3:10).
“Non c’è nessuno che pratichi il bene, no, neppure uno” (Ro 3:12). “Il giusto vivrà solamente per fede”. “Per le opere della legge nessuno sarà giustificato al suo cospetto” (Romani 3:20). Ora, però, indipendentemente dalle opere della legge, è stata manifestata una giustizia di Dio, attestata dalla legge e dai profeti” (Romani 3:21). “Tutte le nostre buone opere, non sono altro che panni sporchi”. “Io proclamerò la tua rettitudine, e le tue opere... che non ti gioveranno nulla (Isaia 57:12). Tutti quanti siam diventati come l'uomo impuro e tutta la nostra giustizia come un abito lordato” (Isaia 64:6). Ecc...
Dobbiamo renderci conto del fatto che la Parola di Dio ci dice che qualsiasi cosa buona non verrà valutata in se stessa, né secondo l’attitudine generosa con cui essa è stata compiuta, ma viene valutata in base a criteri completamente diversi.
L’opera buona apparirà come inesorabilmente sporcata (lordata) dal contatto del nostro corpo, proprio come i panni puliti, ogni volta che li indossiamo. Anzi, più prolungato sarà il contatto, più la nostra natura di peccato macchierà tutto ciò che stiamo facendo.
La Condanna inesorabile degli Ingiusti a causa delle loro Buone Opere
Abbiamo riportato l’esempio di due credenti, Anania e Saffira, ai quali quel particolare lascito generoso fu imputato ad abominio e condanna. Ad altri uomini, invece, non soltanto alcune, ma tutte le loro buone opere vengono addirittura imputate da Dio come colpe imperdonabili. La legge delle opere ha comunque una validità universale, e condanna tutti coloro che ad esse si affidano, cioè tutti coloro i quali pensano di poter aggiungere qualcosa di buono alla creazione, o di poter aiutare o pagare Dio, o di essere riconosciuti benemeriti attraverso di esse. Questi pensieri sono frutto della concupiscenza e macchiano di un’ombra di peccato tutto ciò che facciamo. Nell’ultimo giorno, alcuni uomini, pensando di dover meritare qualcosa in cambio del bene che essi hanno operato, diranno infatti: “Abbiamo fatto opere potenti nel tuo nome!”; “Abbiamo esercitato tutte le opere di misericordia!”. Ma il Giudice risponderà: “Andate via da me, nell’inferno che è stato preparato per voi e per gli angeli ribelli, perché ebbi fame e non mi deste da mangiare...”. Allora questi uomini, cioè coloro che Dio considera ingiusti e che bolla con tale marchio inesorabile, risponderanno: “Quando mai ti abbiam visto aver fame e non ti abbiamo dato da mangiare...”.ma il Giudice dirà: “In quanto non l’avete fatto ad uno solo di questi miei minimi, non l’avete fatto neppure a me”.
Nelle opere, c’è dunque una maledizione: o si riesce a compierle tutte, o si è condannati come inosservanti. E’ chiaro che mai e poi mai, nessun uomo al mondo, è stato né sarà capace di compiere tutte le opere buone per lui materialmente possibili. Ciò è escluso. Non c’è dunque nessuna possibilità di compiere “il Bene”, ma quelle poche cose buone che ci sembra di fare, dobbiamo capire che non realizzano il Bene assoluto, né appagano la giustizia di Dio, ma che al contrario sono viste da Dio come inquadrate nell’ottica del Bene Universale; nel senso che, queste opere di bene, non potendo essere L’Opera del Bene Assoluto ed Universale, vengono cioè viste da Dio come delle colpe parziali.
Più bene facciamo, più colpe parziali accumuliamo. Gli ingiusti diranno: “Ti sbagli! Quando mai, noi non abbiamo fatto opere buone? Sempre e nei confronti di chiunque noi abbiamo continuamente bene operato!”. Ma il Giudice dirà, ancora una volta: “In quanto non l’avete fatto a uno solo di questi miei minimi...”. Gli ingiusti saranno condannati proprio a causa delle opere buone da loro stessi piamente e devotamente compiute!
Il terribile metro della condanna sarà proprio il fatto che essi non potranno affermare di aver compiuto tutte le buone opere, ma dovranno ammettere di essersi dimenticati anche di un solo bisognoso, che attendeva, magari all’altro capo del mondo, che qualcuno gli desse da mangiare o da bere o che lo ospitasse o che lo visitasse.
Fatta questa necessaria premessa, possiamo ora capire che tutte le sollecitudini umane, che ci creiamo nell’illusione di poter migliorare lo stato generale delle cose che Dio governa e prestabilisce, è vanità. Cristo dice: “Non siate con ansietà solleciti...”. Egli vuol farci capire che non possiamo pensare di migliorare con affanno una creazione già perfetta e perfettamente governata da Dio in ogni suo angolo più recondito e durante ogni suo attimo, ma che Dio offre già alla sua creazione tutto ciò che costituisce il bene universale.
Se noi ci affannassimo ad arricchire noi stessi o qualcun altro, non faremmo altro che guastare un poco quella perfezione universale di Dio, dal momento che noi non possediamo il metro della giustizia universale, il quale è anche il metro necessario per compiere il Bene Universale. Non potremmo in alcun modo operare al posto di Dio per determinare questo Bene, sostituendoci, noi esseri imperfetti, alla Sua divina Provvidenza.
Natura Intrinseca del Peccato
A Satana, non importa che la cosa desiderata sia buona o cattiva. In entrambi i casi, infatti, egli raggiunge il suo scopo, che è quello di indurre al peccato. Quest’ultimo consiste, infatti, non soltanto nel compiere il male, cioè nel trasgredire i Comandamenti di Dio, come ad esempio uccidere, rubare, eccetera, ma perfino nel compiere delle cosidette buone azioni. Il peccato risiede non nella cosa fatta, ma nell’atteggiamento con il quale la facciamo, che è quello di volerci sostituire a Dio. A qualcuno, potrebbe sembrare ancora una volta totalmente assurdo e a rigor di logica inaccettabile il fatto che compiendo una buona azione si possa commettere invece un grave peccato. Per spiegare ancora meglio la profonda verità di queste asserzioni vorrei citare alcuni riferimenti tratti dalla stessa Parola di Dio.
Cominciamo col peccato d’Eva. Non c’è nulla di male, nel desiderare di conoscere il bene e il male o nel desiderare di apprendere cose nuove, e non c’è nulla di male nel desiderare di non morire. Direi anzi che questi desideri sarebbero stati utili alla vita stessa dell’uomo.
La conoscenza avrebbe, infatti, portato l’uomo a trarre un usufrutto sempre migliore dal giardino d’Eden, secondo il desiderio stesso di Dio, il quale “aveva posto l’uomo nel giardino, perché lo lavorasse e lo custodisse”; mentre il desiderio di non morire avrebbe allontanato da lui possibili e indesiderabili desideri suicidi o auto-lesionistici, e ciò sempre in accordo ai desideri di Dio, il quale voleva appunto evitargli questo tipo di esperienze (vedasi la terza tentazione di Cristo in Luca 4:9).
Gli argomenti suggeriti da Satana non costituivano peccato in se stessi. Satana cercava però di suscitare attraverso di essi la concupiscenza. Non è la cosa desiderata, buona o cattiva che sia, ma è il fatto di desiderarla ardentemente, cioè il voler farsene una ragione prioritaria di vita o una cosiddetta fissazione.
Quest’influenza negativa, è chiamata, appunto, concupiscenza, in quanto porta l’uomo a desiderare qualcosa ardentemente, fino al punto di considerare questa cosa come predominante e indispensabile nella sua vita.
Per esempio, al giorno d’oggi, l’uomo si affanna per avere l’automobile nuova, l’ultimo modello di telefonino, il televisore ultrapiatto e col telecomando in ogni stanza; ma se chiediamo in giro, tutti rimpiangono il genere di vita che si faceva una volta. La concupiscenza si potrebbe paragonare ad una sorta di “pubblicità satanica”, in quanto ci fa desiderare cose delle quali non abbiamo un bisogno prioritario, e ce le fa desiderare ardentemente ed in opposizione ai desideri di Dio per noi.
Per fare un esempio di come si possa peccare facendo cose buone, semplicemente per il fatto di non rispettare alcune priorità, pensiamo ad una persona che desiderasse andare sempre in chiesa, ma che trascurasse la famiglia e i figli. Questa persona non farebbe la volontà di Dio. A nulla le servirebbe il fatto di assistere assiduamente ai culti o di non arrivare mai in ritardo. Similmente, a nulla le servirebbe elargire continui e sostanziosi lasciti alla chiesa, se poi trascurasse di andarci o rifiutasse i doveri dell’amore e dell’ospitalità verso i fratelli.
Questa persona, sarebbe nelle condizioni di chi, credendo di fare una buon’azione, commette in realtà una moltitudine enorme di peccati. Varrebbe per lei quella sorta di “scomunica” di cui parla l’Apostolo Paolo in 1Co 13, quando dice: “Quand'io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho carità, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho carità, non son nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova”.
L’Apostolo continua poi nel suo discorso, e descrive le caratteristiche di questa carità, cioè le caratteristiche che debbono prima di ogni altra cosa manifestare tutti coloro i quali si esercitano nelle opere di bene prima descritte, pensando di essere grati a Dio solamente attraverso di esse. Egli prosegue dunque dicendo: “La carità è paziente, è benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non sospetta il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. La carità non verrà mai meno. Quanto alle profezie, esse verranno abolite; quanto alle lingue, esse cesseranno; quanto alla conoscenza, essa verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. Quand'ero fanciullo, parlavo da fanciullo, pensavo da fanciullo, ragionavo da fanciullo; ma quando son diventato uomo, ho smesso le cose da fanciullo. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia: ora conosco in parte; ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto. Or dunque queste tre cose durano: fede, speranza, carità; ma la più grande di esse è la carità”.
Le affermazioni di Paolo avvalorano fortemente quanto è stato finora detto. Tutti coloro che credono di fare un bene, ma trascurano di avere carità, costoro debbono convincersi che il loro sacrificio non è valso a nulla; anzi, essi non hanno fatto altro che peggiorare la loro condizione davanti a Dio.
Nell’ultimo giorno, Cristo si unirà alle parole di Paolo, dicendo: “Guai a voi, ipocriti, perché avete pregato senza sosta (profetizzato), e avete studiato a fondo la Bibbia, tanto da conoscerla tutta a memoria (conosciuto tutti i misteri e tutta la scienza), e avete avuto tutta la fede, tanto da riuscire a trasportare i monti! Guai a voi, perchè avete distribuito tutte le vostre facoltà per nutrire i poveri, e avete dato il vostro corpo ad essere arso, e avete sempre pagato la decima alla vostra chiesa! Guai a voi! Guai a voi, perché, nonostante abbiate fatto tutte queste cose alla perfezione, avete però contemporaneamente trascurato le cose più gravi della legge: il giudizio, e la misericordia (cioè la carità) ... Queste erano le cose che bisognava fare, senza tralasciar le altre” (Confronta con Mat 23:23).
Queste sono delle rivelazioni terribili, per tutti coloro che pensano di aver pagato un prezzo a Dio, attraverso qualsiasi loro buona opera. La carità è il fondamento di tutte le opere buone. Se ci spogliamo di tutto ciò che abbiamo, se diamo tutte le nostre sostanze ai poveri, e se doniamo ad uno ad uno tutti i nostri organi vitali affinché siano trapiantati per salvare vite umane, sappiamo che se non abbiamo avuto carità verso il nostro prossimo, a nulla ci serve il sacrificio di privarci di ciò che possediamo di più prezioso. Saremo condannati per il bene compiuto, proprio a causa del fatto che abbiamo tralasciato la cosa più importante, cioè di aver avuto carità. L’Amore è l’unico, gran comandamento di Dio.
Se non abbiamo “pagato” Dio con l’amore, non avremo altra moneta con cui pagargli un prezzo alternativo per la nostra salvezza. In fondo, questo è ciò che egli ha sempre voluto dall’uomo: che lo amasse con il cuore; non con il calcolo.
Ciò che Dio ricerca, è dunque il fatto che l’uomo cambi la sua natura intrinseca, prima che le sue azioni.
È proprio questa natura, contaminata dalla concupiscenza, quella che Dio aborrisce. Il bambino che piange, si dispera, batte i piedi, inveisce, e possibilmente insulta se non riesce ad ottenere, e subito, tutto ciò che desidera, ci rivela che questa natura è presente ed operante in lui fin dall’infanzia. Egli non ha carità. Manifesta d’essere bambino e di parlare da bambino, e di pensare da bambino, e di ragionare da bambino (1 Co. 13).
La concupiscenza, ossia il peccato, lo pervade fin nel seno materno; lo domina fin dai primi vagiti, attraverso i quali manifesta non soltanto l’urgenza di un legittimo bisogno vitale, ma manifesta anche il suo egoismo prepotente e, in definitiva, la sua concupiscenza. Vuole tutto, e subito, e disperatamente! Si illude che, una volta appagato quel bisogno, tutto sia risolto nella sua vita; tutti i suoi problemi svaniscano, e non avrà più bisogno di nient’altro.
L’Apostolo Paolo vuole dirci invece che quando si decide di diventare finalmente adulti, allora si deve smettere di pensare come i fanciulli, e si deve riconoscere ed accettare il valore supremo e prioritario della carità.
I primi uomini pensarono da fanciulli. Vollero tutto e subito. Avrebbero potuto vivere ugualmente bene, pur senza desiderare “alternative prioritarie” al genere di vita suggerito da Dio (Gen 2:16,17). Essi vollero però prendere in considerazione l’alternativa sbagliata, e caddero nella concupiscenza. Finirono cioè per considerare quella stessa alternativa come prioritaria e sostitutiva, rispetto all’unica buona alternativa possibile, che era quella offerta loro dalle Parole di Dio. Essi finirono pure col considerare quell’alternativa come “liberatoria” dalle loro obbligazioni prioritarie.
Essi non potevano in alcun modo compiere un bene che risultasse maggiore rispetto a quello che Dio aveva già stabilito come il “massimo bene possibile”.
Avendo concupito, essi avevano sostituito la volontà di Dio con la loro opera personale. Ebbene, dopo la promessa del Salvatore, Dio coprì le loro nudità con una veste, la quale sta appunto a significare che i loro corpi di peccato, rappresentanti quell’opera, avrebbero dovuto essere nascosti da un’opera esterna alla loro, e indipendente da loro. Il fatto che le tuniche fossero fatte con la pelle di un animale, era una prefigurazione del sacrificio di Cristo, l’Agnello di Dio. Anche Caino cadde nell’inganno di considerare una sua opera come sostitutoria dell’opera di Dio. Egli desiderò offrire a Dio qualcosa di diverso da quell’unica cosa che Dio stesso considerava e considera come la massima e l’unica che gli si possa offrire, cioè la fede. Caino gli offrì dei frutti stupendi, desiderando ardentemente di poter cambiare in meglio i Suoi attributi, cioè cercando di far desistere Dio dal desiderare il Bene Universale, per convincerlo invece a desiderare ciò che era bene per lui, per Caino, cioè un paniere di frutta. La forza di convincimento di Satana, manifestata nella concupiscenza di Caino, lo portò perfino a rattristarsi del fatto che Dio non avesse accettato di cambiare il Suo modo di pensare, riguardo a ciò che è bene, e non avesse accettato di smettere di pensare da Dio, per cominciare a pensare come lui!
Caino, oltre a non aver fede, non aveva neppure, e soprattutto, carità per il suo prossimo, tant’è vero che lo uccise, e Dio non poteva gradire la sua offerta, né per il primo motivo, né per il secondo. Egli impersona colui che Paolo chiamerebbe un “nano” spirituale.
Il suo tentativo personale di piacere a Dio senza la fede e senza la carità era destinato a fallire, poiché questo tentativo era macchiato dalla sua natura di peccato e dalla sua attitudine alla concupiscenza, e ciò per l’azione di Satana.
Un giorno, Whitefield fece dal pulpito quest’affermazione: “Io sono convinto, anzi, che perfino il mio miglior sermone, sia il mio più grande peccato”. Nel condividere la dichiarazione di questo grande predicatore, non vogliamo sostenere che l’uomo non debba compiere quelle opere che gli sembrano ben fatte. Vogliamo invece dire che nessun uomo, nel farle, può pensare di aver compiuto il Bene, ma che deve convincersi di non aver aggiunto nulla alla perfezione della Provvidenza. Siamo servi inutili, cioè siamo chiamati a compiere delle opere che non aggiungono nulla alla perfezione di Dio. Quando facciamo il bene, noi abbiamo fatto soltanto un nostro preciso dovere, e non acquisiamo, attraverso il bene compiuto, nessun diritto speciale. Perfino quel sentimento d’autogratificazione, che proviamo nel compiere un’opera buona, è il segno del nostro innalzarci al di sopra di chi non ha compiuto, per qualsiasi motivo, un’opera simile alla nostra. Questo sentimento è dettato da ipocrisia.Non ci sentiamo servi inutili, ma servi buoni e meritevoli di una giusta ricompensa. Al contrario, non possiamo accampare nessuna pretesa davanti a noi stessi ed a Dio. Chi pensa l’opposto, è sotto l’influenza di Satana.
Conclusioni
Chiediamoci, dunque, il motivo per cui il Tentatore induce l’uomo ad indulgere su questo tipo di convinzioni.
La realtà è che egli si oppone a Dio e tenta di sostituirsi a Lui con ogni mezzo o di sostituire a Lui qualsiasi altra creatura. L’idolatria, cioè l’adorazione di qualsiasi persona o cosa creata, al posto del Creatore, è una delle conseguenze che scaturiscono da questo suo atteggiamento. Dio, nel primo Comandamento, ha richiesto l’adorazione esclusiva, dal momento che solo Lui è il Creatore, ma Satana induce l’uomo al dubbio e all’alternativa, dicendogli: “Come? Dio ha detto di non adorare nessuna delle creature che sono nel giardino della creazione?”. “Guarda quante creature perfette, e sante, e benedette, e angeliche egli ha creato! Hai solo da sceglierne una e adorarla!”
In conseguenza di ciò, vediamo l’uomo adorare qualsiasi cosa, fuorché il Creatore: pezzi di carta stampata, quadri, pezzi di legno, souvenir, ciondoli, portachiavi, pietre, chiodi arrugginiti, pezzi di stoffa, ciambelle, ossa di morti...
La cecità prodotta da Satana, è tale che l’uomo non si rende conto che sta adorando un portachiavi al posto del Padre Eterno, Creatore di tutte le cose, che è Benedetto in eterno, ma gli sembra di rendere un culto gradito a Dio. In fondo, neanche Caino riusciva a vedere una differenza sostanziale tra la fede in Cristo e la fiducia in una cesta di frutta.
Satana usa dunque la stessa tendenza naturale dell’uomo, ossia la stessa personalità dell’uomo naturale, facendo in modo che anche lui, cadendo nella stessa idolatria di Caino, si opponga a Dio, rifiutando di rendergli un culto esclusivo, ma mettendo sugli altari persone o cose create o fatte.
"Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo."
(1 Giovanni 2:16)
Liberamente adattato da internet
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