L’influenza di Satana nell’uomo | CONSAPEVOLI NELLA PAROLA

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    • Pregare nel nome di Gesù

      Uno degli aspetti più importanti della vita cristiana, ma allo stesso tempo, uno degli aspetti più fraintesi, è la preghiera. Come è vero che la preghiera è uno degli aspetti più importanti della vita cristiana, è altrettanto vero che è estremamente facile sbagliare grandemente in questo campo. Un errore è quello di non pregare abbastanza. È molto facile credere di non avere tempo di pregare. Questo è un ragionamento sbagliato, perché alla base di questa convinzione c'è il pensiero che non abbiamo veramente bisogno di Dio. Però, dall'altro estremo, uno può anche pregare tanto, ma pregare in modo sbagliato. Vogliamo esaminare alcuni brani della Bibbia che parlano della preghiera, affinché possiamo averne un concetto più conforme alla Bibbia. Se preghiamo a modo nostro, che però non è conformato alle verità che Dio ci ha lasciato nella Bibbia, le nostre preghiere possono essere inutili, o peggio ancora, possono essere un'offesa a Dio. Perciò, prestate molta attenzione alle verità che Dio ci insegna nella sua parola sulla preghiera. La Bibbia insegna che dobbiamo pregare al PADRE. Troviamo questo insegnamento ripetutamente, come anche quello che lo Spirito Santo prega per noi. Ma la verità che vogliamo considerare molto più a fondo in questo studio riguarda il fatto che dobbiamo pregare nel nome di Gesù Cristo. Consideriamo, molto attentamente, che cosa significa pregare nel nome di Gesù. Chi può pregare? La prima verità da capire quando consideriamo la preghiera è: chi ha diritto di pregare? Ovvero, chi può pregare, avendo la certezza biblica che Dio lo ascolterà? Chiaramente, oggi, come sempre, tante persone pregano. Ma il fatto che tante persone pregano non significa che vengono ascoltate da Dio. Secondo la Bibbia, sono coloro che hanno Gesù Cristo come Signore e Salvatore, e perciò come Sacerdote e Mediatore, che possono pregare. Per esempio, in Ebrei 4:14-16, che è stato scritto per coloro che hanno Cristo come Sacerdote e Signore, leggiamo che è per mezzo di Lui che abbiamo accesso al trono di Dio per essere soccorsi. Quindi, è per mezzo di Cristo che possiamo pregare. Chi è senza Cristo non ha questo libero accesso al trono di Dio. Leggiamo il brano. “14 Avendo dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. 15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. 16 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno.” (Ebr 4:14-16) Quindi, solamente chi è un vero figlio di Dio ha diritto di pregare. A CHI si deve pregare? Quando preghiamo, a chi dobbiamo rivolgere le nostre preghiere? E' giusto pregare solo a Dio Padre, o si dovrebbe pregare anche a Gesù e allo Spirito Santo? Cosa ne dice la Bibbia? In Matt. 6:9 Gesù ci insegna a pregare, e Lui ci dichiara chiaramente di pregare a Dio Padre. “Voi dunque pregate così: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome;” (Mat 6:9) In Giov. 16:23 Gesù parla della preghiera al Padre. “In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda. In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà.” (Giov 16:23) La Bibbia ci insegna ripetutamente, sia con insegnamenti, sia con esempi, che dobbiamo pregare a Dio Padre. Allora, qual è il ruolo di Gesù e qual è quello dello Spirito Santo? Se dobbiamo pregare a Dio Padre, che ruolo hanno Gesù Cristo e lo Spirito Santo? Nel nome di Gesù Gesù ci ha insegnato di pregare nel suo nome. Fra poco esamineremo questo concetto. Lo Spirito Santo Per quanto riguarda lo Spirito Santo, non esiste alcuna preghiera nella Bibbia rivolta allo Spirito Santo, tranne una profezia in Ezechiele 37. Quindi, visto che non esiste alcuna preghiera rivolta allo Spirito Santo, è chiaro che non dobbiamo pregare a Lui. Ma qual è il suo ruolo? Lo Spirito Santo ha il ruolo di glorificare Cristo e di indicarci la giusta strada per giungere a questo fine. “Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà.” (Giov 16:14) Si può anche leggere Giov. 14:14-26. Quando un grande faro illumina un palazzo di notte, se fa un buon lavoro, non lo si nota neanche, ma si nota ed ammira solamente il palazzo. Similmente lo Spirito Santo è come il faro: ci aiuta a vedere ed ammirare la persona di Gesù Cristo. Inoltre, lo Spirito Santo, prega per noi aiutandoci nel nostro debole ed incerto modo di porgere le nostre preghiere, perché, Egli conosce Dio nel suo profondo. “26 Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede per noi con sospiri ineffabili; 27 e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio.” (Rom 8:26-27) Che consolazione! Quindi, a chi dobbiamo pregare? Dobbiamo pregare a Dio Padre, nel nome di Gesù Cristo. per COSA si deve pregare? Per che cosa dobbiamo pregare? Possiamo pregare per qualsiasi cosa? Dio esaudisce ogni preghiera? È possibile chiedere qualsiasi cosa nel nome di Gesù, oppure, pregare nel nome di Gesù ci limita nelle nostre richieste? Chiaramente, nella carne, l'uomo prega per ottenere tutto quello che desidera. Prega per avere buona salute o per una guarigione, prega per avere successo negli affari, prega di superare gli esami a scuola, prega per avere sicurezza in viaggio, prega per un buon tempo durante le vacanze. Che cosa ne dice la Bibbia? Esaminiamo alcuni brani fondamentali sulla preghiera. Questi brani sono importanti per il loro insegnamento, ma spesso vengono presi fuori contesto ed interpretati male. Quando abbiamo un concetto sbagliato della preghiera, questo ci fa molto male spiritualmente. Giovanni 14 Consideriamo per primo il brano in Giovanni 14:12-14. Leggiamolo. “12 In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch’egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre; 13 e quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14 Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.” (Giov 14:12-14) Prima di esaminare con cura questi versetti, ricordiamoci che a volte siamo tutti tentati di voler far dire alla Bibbia quello che ci è comodo. Cioè, nella carne, abbiamo la tendenza di interpretare la Bibbia non in base a quello che è realmente scritto, ma in base a quello che ci è comodo. Quindi, dobbiamo sforzarci di dividere rettamente questo brano. Alcuni credenti, e purtroppo anche delle chiese intere, interpretano erroneamente questo brano dicendo che noi possiamo chiedere qualsiasi cosa che desideriamo nel nome di Gesù, e Dio sicuramente ci esaudirà. Questo implica che la frase “nel nome di Gesù” diventa quasi una formula magica che ci fa ottenere quello che vogliamo. Questa falsa interpretazione fa diventare Dio il nostro servo celeste, soggetto ad ubbidire alla nostra volontà. Chi insegna questa falsa interpretazione cita la parte del brano che dichiara: “quello che chiederete nel mio nome, io la farò”, come se tutto l'insegnamento fosse racchiuso lì. Chi crede a questa menzogna, pensa che se preghiamo qualcosa con cuore, Dio la farà. Questo è un pensiero molto falso, e molto pericoloso. Pensiamo a come una persona che crede a questa falsità potrebbe pregare in diverse situazioni. Immaginate un credente che lavora in proprio. La sua attività comincia ad andare molto male, e lui rischia di perdere tutto. Non solo, ma ha anche dei grossi debiti con la banca legati all'attività. Citando questo versetto, egli chiede a Dio di salvare la sua attività. Perciò questo credente è sicuro, visto che ha pregato nel nome di Gesù, che Dio salverà la sua ditta. In un secondo esempio, un credente ha un figlio adulto ribelle, lontano dal Signore. Il credente prega, citando questo versetto, e così è convinto che Dio salverà suo figlio. In un altro esempio, un credente ha un figlio con una grave malattia. Il credente, prega, e citando questo versetto, dichiara che è sicuro che Dio guarirà suo figlio, visto che è convinto che si può ottenere qualsiasi cosa se la si chiede a Dio nel nome di Gesù. In un altro esempio, un credente sta cercando di comprare una casa, e avendone trovato una che gli piace tantissimo, prega, chiedendo a Dio di operare in modo che il proprietario abbassi il prezzo abbastanza da permettergli di comprarla. È convinto che Dio opererà per fargli ottenere quella casa al prezzo che desidera. Senza andare ad analizzare questi esempi in dettaglio, considerate il principio che sta alla base di questo modo di pensare. Se fosse vero che possiamo chiedere a Dio qualsiasi cosa che desideriamo, avendo la certezza che Lui ci esaudirà solamente perché abbiamo citato la frase “nel nome di Gesù”, allora, Dio diventerebbe il nostro servo celeste, pronto ad esaudire ogni nostra richiesta. Dio sarebbe soggetto alla nostra volontà. Se è così, allora Gesù ha sbagliato quando ha insegnato il Padre Nostro, perché avrebbe dovuto insegnarci a pregare: “sia fatta la nostra volontà, non la Tua” Però, Dio NON è il nostro servo, e NON esiste per esaudire le nostre preghiere come vogliamo noi. Non dobbiamo pregare che la nostra volontà sia fatta, ma che la volontà di DIO sia fatta! Ci sono tante verità bibliche che ci aiutano a capire questo principio. Per esempio, leggiamo Matteo 26:39, quando Gesù era nel Giardino: “E, andato un po’ più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi».” (Mat 26:39) Gesù, nonostante i suoi diritti di Figlio di Dio, non chiese al Padre che cambiasse la sua volontà per esaudire la propria richiesta. Piuttosto, rese nota la sua richiesta al Padre, e poi, chiese che la volontà del Padre fosse fatta, non la sua. In Luca 22, Gesù stava preparando i discepoli per la sua morte. Egli spiegò a Pietro che sarebbe stato provato duramente. Notiamo che Gesù non chiese che Pietro potesse evitare la prova, pregò solamente per la fede di Pietro. Vi leggo. “31 «Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; 32 ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, fortifica i tuoi fratelli».” (Luca 22:31-32) Gesù NON ha chiesto che Dio gli togliesse la prova. In Apocalisse 2, Gesù sta parlando alle sette chiese. Notiamo quello che dichiara alla chiesa di Smirne. “8 «All’angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita: 9 Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. 10 Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita. 11 Chi ha orecchi ascolti ciò che che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda.” (Apo 2:8-11) Egli spiegò che vari credenti in questa chiesa sarebbero stati messi a morte per la loro fede. Possiamo presumere che questi credenti erano padri e madri, e avessero le loro famiglie. Però, è evidente che la volontà di Dio per loro era che morissero per la loro fede. Dal brano però comprendiamo che la morte fisica non era una sconfitta, perché poi Gesù dichiarò che se quei credenti fossero rimasti fedeli fino alla morte, avrebbe dato loro la corona della vita. Quindi, Dio aveva stabilito il suo piano per quei credenti, e nessuna loro preghiera avrebbe potuto cambiare il perfetto piano di Dio. Non dovevano pregare Dio affinché li salvasse dalla morte fisica, presumendo per di più che Dio li avrebbe esauditi. Infatti, Dio ha un piano perfetto, che è la SUA propria volontà, e Dio fa TUTTO secondo la decisione della Sua volontà. È importante capire questa verità basilare. Quello che Dio fa, lo fa secondo la decisione della Sua volontà. Leggiamo Efesini 1:11 “In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà,” (Efe 1:11) Se le nostre preghiere potessero cambiare la volontà di Dio, il mondo non sarebbe stabile, Dio non sarebbe Dio, e nulla sarebbe sicuro. La volontà di Dio cambierebbe di minuto in minuto, in base alle diverse preghiere che Gli arrivano da tutto il mondo. Se le nostre preghiere potessero cambiare la volontà di Dio, per esempio, non sarebbe vero quello che è scritto nel Salmo 139:15,16 che riguarda il momento della nostra morte e di quella dei nostri cari. “15 Le mie ossa non ti erano nascoste, quando fui formato in segreto e intessuto nelle profondità della terra. 16 I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi eran destinati, quando nessuno d’essi era sorto ancora.” (Sal 139:15-16) Se Dio ci desse qualunque cosa che Gli chiediamo, questo brano non sarebbe vero, perché tante persone, vedendo arrivare la morte, pregherebbero, chiedendoGli di guarire o di superare il pericolo, e in questo modo sarebbe stata fatta la loro volontà, non quella di Dio. Se fosse così la morte non dipenderebbe più dalla volontà di Dio, ma dalla volontà dell'uomo. Non arriverebbe più al momento stabilito nel libro di Dio, ma nel momento stabilito da noi. Ma non è così! Non è l'uomo che stabilisce quando morirà, come non è l'uomo che stabilisce quando un certo problema deve risolversi come vuole lui. È il Signore che opera tutte le cose secondo la decisione della Sua volontà! Per esempio, leggiamo in 1Samuele 2:6-8 “6 Il SIGNORE fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire. 7 Il SIGNORE fa impoverire e fa arricchire, egli abbassa e innalza. 8 Alza il misero dalla polvere e innalza il povero dal letame, per farli sedere con i nobili, per farli eredi di un trono di gloria; poiché le colonne della terra sono del SIGNORE e su queste ha poggiato il mondo.” (1Sam 2:6-8) E' il Signore che determina le cose, tramite le nostre preghiere, non noi! Allora, qual è il senso di Giovanni 14:13, quando Gesù dichiara:    “e quello che chiederete nel mio nome, lo farò” (Giov 14:13)? Per capire bene questa verità, dobbiamo leggere non solo questa frase, ma tutto il suo contesto. Cosa significa “nel mio nome”? Dobbiamo capire il senso della frase, “nel mio nome”. Dobbiamo anche capire il motivo che ci spinge a pregare nel nome di Gesù. Gesù stesso ci spiega questa motivazione. Infine, dobbiamo capire altre condizioni che la Bibbia ci dà per poter pregare. Molto spesso, un brano non insegna tutta la verità biblica di un certo argomento, e deve essere considerato insieme ad altri brani. Quindi, qual è il senso della frase: “nel mio nome?” Chiedere “nel nome di Gesù” non è una formula magica che, aggiunta ad una preghiera, costringe Dio ad esaudirci. A quel punto, Dio sarebbe il nostro servo, e noi saremo i sovrani. Ma non è così! Pregare “nel nome di Gesù” non è una frase che si aggiunge a qualsiasi preghiera, per garantire che Dio farà come Gli abbiamo chiesto. Invece significa almeno due cose: 1. chiedere per i Suoi meriti Prima di tutto, pregare nel nome di Gesù significa pregare per i Suoi meriti, riconoscendo che noi non ne abbiamo. Nessun di noi merita alcuna cosa buona da Dio. Quindi, dobbiamo chiedere per i meriti di Gesù. Se chiedo un favore al mio migliore amico, lo chiedo nel mio proprio nome, cioè riconoscendomi degno, visto che sono il SUO migliore amico, che mi venga fatto questo favore. Però, se devo chiedere un grande favore all'amico del mio amico, che non conosco personalmente, so di non meritare da lui nulla (visto che non mi conosce), e perciò, non gli chiedo nel mio nome, ma gli chiedo nel nome del mio amico. Allora, chiedere nel nome di Gesù necessariamente implica un cuore umile. Chi chiede nel nome di Gesù SA che, per conto suo, non merita nulla da Dio. Perciò, questa consapevolezza della propria insufficienza cambia anche la richiesta stessa. Infatti chi sa di non aver nessun merito, non pretende nulla, e non considera Dio come Colui che esiste per esaudire i nostri desideri. Sa che Dio è sovrano, e va ai piedi di Dio umilmente, pronto ad essere sottomesso alla Sua volontà. Tutti questi sono aspetti del pregare nel nome di Gesù. 2. chiedere secondo la volontà di Gesù Dobbiamo però considerare anche una seconda verità estremamente importante nel fatto di chiedere nel nome di Gesù. Chiedere nel nome di Gesù significa anche chiedere secondo la Sua volontà, non la nostra. È importantissimo capire questo principio. Ripeto: chiedere nel nome di Gesù significa chiedere secondo la SUA volontà, non la nostra. Un soldato semplice, che porta gli ordini dati dal comandante agli altri, chiede nel nome del comandante. Non chiede quello che vuole lui, chiede quello che è la volontà del comandante. Infatti, se dovesse chiedere quello che vuole lui, usando il nome del comandante per ottenerla, sarebbe colpevole di un grave reato. In 1Giovanni 5:14,15, leggiamo una chiara spiegazione di quali sono le preghiere che Dio esaudirà. Leggiamo. “14 Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce. 15 Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di aver le cose che gli abbiamo chieste.” (1Giov 5:14-15) Avete notato la frase: “se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce”? Chiedere nel nome di Gesù DEVE essere secondo la SUA volontà, non la nostra. Quindi, se preghiamo per ottenere qualcosa che desideriamo tantissimo, ma se non è la volontà di Dio, non possiamo chiederla nel nome di Gesù. Se preghiamo per quello che vogliamo noi, e aggiungiamo le parole, “nel nome di Gesù”, siamo come i pagani, usando quelle parole come un talismano, cercando di controllare Dio. Quindi, ricordiamo che chiedere nel nome di Gesù significa chiedere con umiltà, sapendo di non meritare alcuna cosa buona da Dio, e questo atteggiamento ci aiuta ad accettare qualsiasi cosa che Egli ci darà. Significa anche chiedere secondo la volontà di Cristo, non seconda la nostra volontà. Affinché il Padre sia glorificato Allora, qual è il senso di Giovanni 14:12-14? Per capire correttamente questo brano, dobbiamo leggerlo tutto, e leggere anche il suo contesto. “12 In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch’egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre; 13 e quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14 Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.” (Giov 14:12-14) Notiamo che le richieste che facciamo qua sono legate al fare opere per la gloria di Dio, e infatti, il MOTIVO per cui Gesù ci esaudisce è per glorificare il Padre. Gesù non risponde ad ogni nostra richiesta. Risponde se la richiesta glorificherà il Padre. Infatti, in Giacomo 4:2-4 leggiamo: “2 Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere; voi litigate e fate la guerra; non avete, perché non domandate; 3 domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri. 4 O gente adultera, non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio.” (Giacomo 4:2-4) Non avete perché non domandate, ovvero, perché non pregate, e se domandate spesso non ricevete, perché domandate per spendere nei vostri piaceri. Quando chiediamo per ottenere quella che è la nostra volontà, Dio non risponde. Torniamo agli esempi che ho dato all'inizio di questo studio. Pensiamo all'uomo che lavora in proprio e la sua attività comincia ad andare molto male, e si ritrova con tanti debiti. Egli prega Dio affinché salvi la sua attività. Sta pregando affinché Dio risolva i suoi problemi. Non sta cercando la gloria di Dio. Nell'esempio del genitore che ha un figlio che spiritualmente cammina male (che è ribelle), quel credente chiaramente vuole che suo figlio sia salvato. È buono pregare per la salvezza dei nostri cari. Però, in un certo senso, quella preghiera può essere anche un frutto di egoismo, perché quel genitore non sta cercando per prima cosa la gloria di Dio. Non gli pesa il fatto che tanti altri genitori hanno figli ribelli. Egli vuole che SUO figlio sia salvato. Sta pensando, in fin dei conti, a se stesso. Poi ho fatto l'esempio del credente con il figlio con una grave malattia. Il genitore vuole che il figlio sia guarito, perché vuole il piacere di goderlo per tanti anni ancora. Però, nemmeno questa richiesta è cercare la gloria di Dio. È una preghiera per non dover subire la sofferenza della morte di una persona cara.    Poi c'era il credente che chiedeva l'intervento di Dio affinché potesse comprare la casa che gli piaceva tanto. Anche qua, il credente sta cercando di ottenere da Dio quello che sarebbe il suo gradimento. Non sta cercando in primo luogo la gloria di Dio. Quindi, non dobbiamo credere la terribile menzogna che basta pregare aggiungendo la frase “nel nome di Gesù” e possiamo essere sicuri che Dio ci darà quello che Gli chiediamo. Chiedere nel nome di Gesù significa chiedere che sia fatta la Sua volontà e significa anche farlo con un cuore umile, che quindi cerca non il proprio comodo, ma la gloria di Dio. Un brutto risultato Che cosa succede, quando uno crede la menzogna che Dio esaudirà qualsiasi sua richiesta? Quando Dio NON esaudisce quella preghiera, la fede di quel credente viene fortemente scossa. Egli sta molto male, e solitamente, o cade in grave depressione spirituale, oppure, si arrabbia con Dio. Perciò credendo a quella menzogna quel credente rimane deluso di Dio. Giov. 15:5-7,16 Quindi, è importante capire il senso vero dei principi di Giovanni 14. Per capire meglio questo discorso, esaminiamo qualche altro brano in cui Gesù parla della preghiera. Questi brani fanno parte del contesto di Giovanni 14. Giovanni 15:5-7 “5 Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla. 6 Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. 7 Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto.” (Giov 15:5-7) Qui, Gesù insegna che dobbiamo dimorare in Lui, e che lo scopo è affinché possiamo portare molto frutto. Poi, Egli dichiara che solamente se dimoriamo in Lui e se le sue parole dimorano in noi, sarà fatto quello che domandiamo. Questa è una condizione importantissima. “Dimorare in Cristo” significa essere in una condizione di umiltà, di santità di vita e di sottomissione alla sua volontà. Quando le parole di Cristo dimorano in noi, esse ci esortano a conoscere e a seguire la Parola di Dio. Quindi, non viviamo più per la nostra volontà, ma per la sua. Solamente se ci ritroviamo in questa condizione possiamo domandare a Dio quello che vogliamo e ci sarà fatto, perché significherà che domanderemo quella che è la volontà di Dio. Un altro versetto importante è Giovanni 15:16 “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia.” (Giov 15:16) Gesù risponde alle nostre preghiere quando servono per portare frutto che rimane in eterno. Ostacoli alle nostre preghiere È importante menzionare alcuni ostacoli alle nostre preghiere. L'orgoglio Una cosa che ostacola sempre la preghiere è l'orgoglio. Se abbiamo orgoglio, Dio si allontana da noi. “Il SIGNORE è vicino a quelli che hanno il cuore afflitto, salva gli umili di spirito.” (Sal 34:18) Quando abbiamo orgoglio non confessato, Dio resta lontano da noi. Possiamo fare bella figura davanti agli altri, possiamo apparire di essere zelanti, possiamo pregare tanto, ma sarà tutto inutile, tutto invano. Fino a quando non confessiamo il nostro orgoglio, Dio resterà lontano da noi. Mancanza di fede Un altro ostacolo alle nostre preghiere è la mancanza di fede, come leggiamo in Giacomo 1. “5 Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. 6 Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. 7 Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,” (Giac 1:5-7) Questo brano ci insegna l'importanza della fede. Chiaramente, dobbiamo ricordare le altre verità che abbiamo visto. Se prego qualcosa che non è secondo la volontà di Dio, posso avere la fede più grande del mondo, ma Dio non mi risponderà. Però, dall'altro lato, quando preghiamo secondo la volontà di Dio, è importante avere fede in Dio. Così, Dio viene glorificato, e noi saremo edificati. La Preghiera fatta con egoismo Abbiamo già menzionato prima che Dio non risponde alle preghiere fatte con egoismo, cioè, alle preghiere attraverso le quali vogliamo ottenere qualcosa NON per la gloria di Dio, ma perché è il nostro desiderio. Questo è ciò che ci dice Giacomo 4, quando parla delle preghiere fatte per spendere nei piaceri. Dobbiamo pregare, invece, per la gloria di Dio. Come conoscere la volontà di Gesù Visto che la preghiera che Dio esaudisce è quella preghiera fatta secondo la sua volontà, come possiamo sapere qual'è la volontà di Dio? Dio ci ha già rivelato molto della sua volontà, e ci insegna anche il modo in cui pregare quando non la conosciamo. Prima di tutto, come dobbiamo pregare quando non siamo sicuri della volontà di Dio? Sappiamo quasi sempre quello che vorremmo noi, ma come dobbiamo pregare quando non siamo sicuri della volontà di Dio? Gesù stesso ci dà un esempio di come pregare in questi casi in Matt. 26:39; Marco 14:36; Luca 22:42. Leggo da Matteo. “E, andato un po’ più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi».” (Mat 26:39) Nella sua umanità, Gesù non voleva affrontare la sofferenza che sapeva di dover subire sulla croce. Però, il suo desiderio più forte rispetto al non voler subire quelle sofferenze, fu quello di voler fare la volontà del Padre. Quindi, ha esposto a Dio il suo desiderio, ma chiese che fosse fatta la volontà di Dio. Ed è così che anche noi dobbiamo pregare, quando non conosciamo con certezza la volontà di Dio in una certa situazione. Certamente possiamo portare tutti i nostri pesi a Dio, e anche dirGli quello che sarebbe il nostro desiderio, però poi dobbiamo confidare nella sua perfetta saggezza, e chiedere che sia fatta la Sua volontà. Conclusione La preghiera è una parte essenziale della vita cristiana e della nostra crescita. La preghiera è la nostra comunicazione con Dio, mentre lo studio della Bibbia è ascoltare Dio che ci parla. E importante pregare, però, è importante pregare nel modo che Dio stabilisce, per le cose giuste. L'unico vero accesso a Dio che abbiamo è quello per mezzo di Gesù, per merito di Cristo. Non solo, ma dobbiamo pregare secondo la SUA volontà, non secondo la nostra. Quando non siamo sicuri della volontà di Dio, è importante accettare la sua volontà, anche se è il contrario di quello che vorremmo noi. Infatti noi non sappiamo qual è la cosa migliore. Dobbiamo avere fede che la volontà di Dio è la cosa perfetta, anche se non siamo in grado di capire tutto quello che Dio sta facendo. Preghiamo, chiedendo che la volontà perfetta di Dio sia fatta! Preghiamo poi con fede, fede che Dio ci ascolta e ci esaudisce sempre, secondo la sua perfetta volontà. Non dimentichiamo che la preghiera non serve solo per fare richieste a Dio. Anche il ringraziamento ne è una parte molto importante. Inoltre, la preghiera serve anche per confessare i nostri peccati. E serve poi principalmente per chiedere che Dio sia glorificato. Le nostre richieste dovrebbero sempre essere per la gloria di Dio. Oh che possiamo diventare un popolo che prega sempre di più, non vedendo Dio come un servo celeste che esiste per darci quello che vogliamo noi, ma essendo spinti dal desiderio di vedere il nostro grande Dio glorificato! La nostra vera gioia, quella che ci riempirà per tutta l'eternità, consisterà nel vedere Dio glorificato. Quindi, che la gloria di Dio sia il desiderio del nostro cuore! Marco deFelice "Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce. Se sappiamo che egli ci esaudisce in ciò che gli chiediamo, noi sappiamo di aver le cose che gli abbiamo chieste" (1 Giovanni 5:14-15) «Ti è piaciuto questo articolo? Non perderti i post futuri seguendoci»

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domenica 9 settembre 2012
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L’influenza di Satana nell’uomo

guerra spirituale
La Parola di Dio c’insegna dell’esistenza di una personalità spirituale, che si oppone a Dio ed alla sua creazione. Questa personalità è chiamata Satana.
Ci dice pure che questa personalità è accompagnata da una numerosa moltitudine d’entità parallele, che collaborano per raggiungere un medesimo scopo, che è quello di distruggere l’uomo e tutta la creazione.
Nell’universo, vi sono, dunque, due forze opposte, le quali tendono a dirigerlo in opposte direzioni e incamminarlo verso differenti destini. Da un lato, Dio e le sue miriadi angeliche; dall’altro, Satana e le sue schiere d’angeli ribelli.
Satana è definito con diversi nomi, fra i quali:
· Il Tentatore.
· Il Serpente Antico.
· Il Padre della Menzogna.
· Il Maligno.
· Il Principe della Potestà dell’Aria.
· L’Accusatore.
· La Bestia
L’influenza che questa entità esercita sull’uomo è opposta ai desideri divini, che sono di perfezione e di armonia universale, e determina nell’uomo una serie di ragionamenti e di comportamenti, i quali costituiscono ciò che la Parola di Dio definisce con il termine “peccato”.
Il peccato è dunque la conseguenza dell’influenza della personalità di Satana nell’uomo e, attraverso di lui, nell’intero universo, ed attua nella creazione una costante minaccia distruttiva.
In questi ultimi tempi, sentiamo spesso parlare di terrorismo. Ebbene, questo è soltanto una parte degli “attentati” che Satana realizza sulla terra. Attraverso di lui, l’uomo attenta non soltanto contro i propri simili, per distruggerli come fece Caino originariamente, o attenta contro se stesso per auto-distruggersi con alcool e droghe, ma attenta anche contro la natura, cioè in definitiva contro tutto e contro tutti, direttamente e personalmente, cioè in maniera auto-lesionistica, oppure indirettamente.
Il male è dunque universale ed investe tutti gli aspetti della personalità dell’individuo, della famiglia e della società. Questo stato di degradazione, rispetto alla perfezione originaria della creazione, è definito con il termine “depravazione totale”, e dura fin dalle origini. In Genesi 6:5, leggiamo infatti: “E l'Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra, e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano altro che male in ogni tempo”.
Il peccato si insinuò nel mondo, allorché il primo uomo dette ascolto, per la prima volta, suggerimenti del Tentatore, e disobbedì a Dio.
Da allora, tutti subiamo la sua influenza, senza esclusione, poiché tutti discendiamo secondo la carne da quel nostro progenitore. L’Apostolo Paolo era ben consapevole di ciò, quando esclamò: “Misero me, chi mi trarrà da questo corpo di morte!”.
Egli era cosciente che, per quanti sforzi l’uomo possa fare per vincere questa forza che lo induce continuamente a peccare, mai potrà debellarla, poiché essa è legata alla nostra stessa carne. Questa forza sfrutta cioè il nostro stesso cervello e le nostre stesse membra, per mettersi in azione, e non è possibile non subirne gli attacchi. In quanto avendo un corpo, siamo suscettibili che questo corpo, che è diventato corpo di morte, venga influenzato in qualsiasi momento dal Nemico, e cominci a desiderare ciò che desidera il Nemico, andando nella direzione di questi desideri. Il peccato, in ogni caso, si può fermare ad uno stadio iniziale, che è semplicemente quello di pensare di fare il male, ossia di concupire.
È importante, a questo riguardo, fare una precisazione. 
Satana ha il potere di indurci a desiderare il male, ma non ha il potere di obbligarci a farlo.
La tentazione, ossia l’influenza satanica, può essere vinta.
Nella preghiera del Padre Nostro, Gesù c’insegna a pregare affinché Dio non permetta che veniamo esposti alla tentazione, poiché questa tentazione rappresenta per noi una possibilità di caduta. Non sempre l’uomo passa dal pensiero all’azione peccaminosa, ma l’influenza del Nemico esercita ugualmente su di lui un incontrastabile potere di seduzione. Il desiderio di peccare, anche se non equivale alla realizzazione del peccato, costituisce già un peccato in se stesso.


In Mat 5:27,28, leggiamo: “Voi avete udito che fu detto: Non commettere adulterio. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per appetirla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. La concupiscenza è il primo passo verso la realizzazione del peccato, e già la stessa concupiscenza è peccato.
L’uomo, cioè, è un peccatore per costituzione. Anche se non dovesse commettere l’azione peccaminosa, pur sempre egli sarebbe un peccatore, avendo desiderato commetterla.
La persona di Cristo poteva essere tentata, ma non subiva il fascino della concupiscenza.
Egli si trovava, nella carne, nelle stesse condizioni del primo uomo, ma nello spirito era intoccabile. Non poteva peccare.
L’attacco di Satana era destinato a fallire in partenza. Tuttavia, egli fu costretto a tentarlo, poiché il suo compito è quello di tentare tutti. Satana non  poté esimersi dal tentare Cristo. Se avesse potuto astenersi dal tentarlo, il piano di Dio non sarebbe stato perfetto. Satana avrebbe potuto rifiutarsi di tentare questa persona “intoccabile ed invincibile”, ed avrebbe risparmiato la sconfitta. Ciò non era però possibile. Egli doveva tentare Cristo, in quanto uomo, poiché è il Tentatore. Egli doveva mettere in atto le stesse armi di seduzione, usate contro  Eva.
È di fondamentale importanza osservare che la tentazione di Satana non consiste esclusivamente nel suggerci di fare qualcosa di palesemente malvagio, ma può consistere anche nel suggerirci di fare del bene. Per Cristo non rappresentava un male, dopo 40 giorni di digiuno, il fatto di voler mangiare. Mangiando, Egli avrebbe potuto salvare la sua vita, messa in pericolo dalla grave inedia nella quale si trovava. Neppure il fatto di desiderare tutti i regni della terra, rappresentava un peccato. Cristo avrebbe potuto desiderare di possedere tutto il mondo, solamente a fin di bene, cioè allo scopo di governarlo in saggezza, in prosperità  ed in pace, aiutando i bisognosi, i poveri, e i malati. Cristo fu tentato, ma senza concupire le cose che gli venivano offerte.
Egli ebbe fame. Subì come chiunque altro il fascino di un pane caldo, dopo 40 giorni di digiuno, ma non la desiderò di là da ciò che poteva essere la volontà di Dio in quel momento. Egli lasciò spazio alla Provvidenza, cioè al Bene assoluto di Dio. Egli sapeva che Dio non avrebbe permesso che egli morisse di fame. Se fosse morto di fame in quel momento, non avrebbe potuto morire poi sulla croce. Per questo motivo, perfino trovandosi in quella situazione del tutto scomoda, ed in quelle precarie condizioni fisiche, egli sapeva che il Padre gli stava dando tutto ciò che era buono per lui, e non desiderava sostituirsi alla Provvidenza. Degli angeli vennero poi a lui, per sopperire alle sue necessità.
Nell’episodio del pagamento del tributo, vediamo ancora una volta che Cristo non concupì, ma si rimise alla Provvidenza di Dio. Pagare la tassa era urgente ed obbligatorio, ma egli non aveva denaro. Tuttavia, non cominciò a disperarsi né a preoccuparsi circa il modo col quale procurarselo, ma si affidò all’intervento miracoloso della Provvidenza.
Possiamo dire che Cristo, nella tentazione, subì l’attacco di Satana, ma non la sua influenza. Egli non si lasciò influenzare in alcun momento dalla concupiscenza, ossia dal desiderio di sostituirsi a Dio.
Un altro uomo avrebbe pensato ad altre possibili soluzioni del problema, per esempio a compiere un miracolo a pagamento, per poter pagare in  tal modo l’esattore. Nel Libro degli Atti, vediamo Simon Mago voler comprare la capacità di compiere i miracoli. Non sappiamo se quel personaggio pensasse di offrire poi a pagamento le sue prestazioni spirituali. Ciò che leggiamo è che egli voleva comprare dagli Apostoli la capacità di infondere lo Spirito Santo. I doni dello Spirito Santo, che egli avrebbe voluto infondere, erano cose essenzialmente buone, sante e desiderabili, ma era sbagliato il suo atteggiamento nei confronti di queste cose.
Dopo di lui, altri hanno manifestato il suo stesso atteggiamento, stabilendo indulgenze, penitenze, o compensi obbligatori o volontari, come contropartita per le prestazioni spirituali.
Dalla lettura dell’episodio di Simon Mago, ci accorgiamo che non sempre la cosa che Satana ci fa desiderare deve essere obbligatoriamente cattiva, ma può anche essere buona in se stessa. Il peccato non risiede nella cosa in se stessa, ma nel nostro atteggiamento nei confronti di ciò che desideriamo.
Molti si adoperano, ad esempio, nel  compiere buone opere, allo scopo di guadagnare meriti davanti a Dio. Le loro buone opere rimangono certamente tali, ma la loro motivazione a compierle è sempre ed inevitabilmente macchiata dal peccato, tanto che nessuno di noi può presentarsi a Dio adducendo le sue opere come un “biglietto da visita”, poiché queste buone opere non fanno altro che presentarci a Dio nella maniera peggiore. Queste opere non presentano a Dio i loro effetti sulle persone beneficiate, ma presentano anzitutto a Dio la nostra concupiscenza, ed in definitiva la nostra natura ed il nostro stato di peccatori.
Possiamo verificare quest’affermazione, esaminando l’episodio del Fariseo nel Tempio. Il suo atteggiamento era proprio quello di voler presentare se stesso a Dio attraverso le sue opere. Egli pensava: “Io pago la decima, io faccio elemosina... Perché mai tu, oh Dio, dovresti guardarmi con occhio sfavorevole?” Egli metteva davanti a sé le sue opere, che erano senza dubbio buone: generosi contributi alla chiesa, donazioni ai poveri, ecc...
Al contrario, quelle opere buone non valsero a presentarlo a Dio come meritevole. Quelle opere erano infatti precedute e coperte dalla natura intrinseca della sua persona, natura che era identica a quella di qualsiasi altro uomo sulla terra, compreso a quella del pubblicano, del quale non viene ricordata nessun’opera buona. Vediamo che quest’ultimo venne giustificato da Dio indipendentemente dal fatto di aver compiuto qualsiasi opera, buona o cattiva, mentre  il Fariseo venne condannato per il fatto di offrire a Dio le sue opere come contropartita per un giudizio favorevole nei suoi confronti.

Il Peccato nelle buone opere 
serpente antico
Esistono diversi modi, attraverso i quali il Maligno riesce ad ottenere il suo scopo. In generale, egli sfrutta la tendenza naturale dell’uomo, e la incanala verso ragionamenti sbagliati, che lo portano a confondere le giuste priorità assegnate da Dio.
Egli s’insinua nella mente dell’uomo, influenzando i suoi ragionamenti, e di conseguenza anche le sue scelte. L’astuzia di Satana, nel tentare l’uomo, è straordinariamente grande.
Egli è chiamato “il padre della menzogna”. Il suo potere di seduzione raggiunge le più intime profondità del nostro cuore. Ha la capacità di ingannarci, facendoci vedere le cose in maniera distorta. Egli si presenta a noi, e ci mostra come appetibili alcune cose, perfino buone e legittime di per se stesse; poi ci invoglia a desiderarle, facendoci perdere completamente di vista altre cose che dovremmo desiderare invece con priorità. Cristo avvertì contro questo modo sbagliato di valutare il bene, dimostrandoci a chiare parole che non tutto ciò che è buono perché sembra tale, costituisce però il bene perfetto ed assoluto, ma è solamente l’insieme delle cose buone che è possibile fare compiendo il minor peccato.
Ai Farisei, i quali pensavano di aver fatto del bene, e certamente l’avevano fatto, Cristo risponderà: “Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta e dell'aneto e del comino, e trascurate le cose più gravi della legge: il giudizio, e la misericordia, e la fede. Queste son le cose che bisognava fare, senza tralasciar le altre” (Mat 23:23).
Anche nel fare del bene, ci può essere dunque peccato e ipocrisia. I Farisei compivano il bene, ma peccavano!
Il concetto prima esposto è veramente arduo da capire, e può sembrare addirittura impossibile che un insieme di cose buone e di opere buone possano costituire invece un peccato più o meno grande per colui che le compie, e non invece un bene più o meno grande ed un’opera meritoria più o meno encomiabile. Sembrerebbe assurdo pensare che invece è vero proprio il contrario!
Per spiegare questo concetto, continuiamo dunque a riportare altri esempi abbastanza semplici, in modo da non lasciare spazio a possibili dubbi.
In Atti 5:1,10, leggiamo: “Ma un certo uomo, chiamato Anania, con Saffira sua moglie, vendé un possesso, e tenne per sé parte del prezzo, essendone consapevole anche la moglie; e portatane una parte, la pose ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: Anania, perché ha Satana così riempito il cuor tuo da farti mentire allo Spirito Santo e ritener parte del prezzo del podere? Se questo restava invenduto, non restava tuo? E una volta vendutolo, non ne era il prezzo in tuo potere? Perché ti sei messa in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio. E Anania, udendo queste parole, cadde e spirò. E gran paura prese tutti coloro che udiron queste cose. E i giovani, levatisi, avvolsero il corpo, e portatolo fuori, lo seppellirono. Or avvenne, circa tre ore dopo, che la moglie di lui, non sapendo ciò che era avvenuto, entrò. E Pietro, rivolgendosi a lei: Dimmi, le disse, avete voi venduto il podere per tanto? Ed ella rispose: Sì, per tanto. Ma Pietro a lei: Perché vi siete accordati a tentare lo Spirito del Signore? Ecco, i piedi di quelli che hanno seppellito il tuo marito sono all'uscio e ti porteranno via. Ed ella in quell'istante cadde ai suoi piedi, e spirò. E i giovani, entrati, la trovarono morta; e portatala via, la seppellirono presso al suo marito. E gran paura ne venne alla chiesa intera e a tutti coloro che udivano queste cose”.
Qui la Parola di Dio ci mette di fronte ad una chiara evidenza: il bene non consiste in ciò che diamo. I due si erano accordati per elargire una cospicua somma alla Chiesa. Questa è senza dubbio una buon’azione. Però, nel compierla, essi avevano commesso un grave peccato.
Quest’ultimo era talmente grande da annullare completamente tutto il loro operato, e da far apparire quel lascito generoso, che corrispondeva non alla decima parte, ma addirittura alla metà di tutti i loro beni, come qualcosa di abominevole e ripugnante davanti a Dio; tanto ripugnante da meritare non una lode parziale per ciò che era stato effettivamente dato, ma da meritare l’applicazione del castigo estremo! L’intenzione di Anania era quella di aiutare la chiesa. Egli, depose semplicemente la somma ai piedi degli Apostoli, e tacque. Lo stesso Pietro avrebbe potuto semplicemente ringraziarlo per quel grande regalo fatto alla chiesa. Tuttavia, davanti a Dio, quel grosso regalo, lungi dal costituire un grosso merito, costituiva un grosso peccato.
Il male non consisteva nel fatto che essi avrebbero dovuto dare obbligatoriamente alla chiesa non la metà, ma tutta la somma ricavata. Ciò non avrebbe avuto importanza, se il loro atteggiamento fosse stato diverso. La vedova, di cui si parla nell’episodio di Marco 12:42, non arriva ad offrire che due monetine, eppure la sua offerta ha per Dio un grande valore. Il Bene non è dunque in ciò che diamo alla Chiesa o ai poveri, né nella quantità della quale ci priviamo, ma nella qualità di ciò che diamo.
L’Apostolo Paolo avverte in tal senso: “Quand’io distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova” (1Co 13:3).
Ancora una volta, ci rendiamo conto che perfino facendo del bene, noi possiamo commettere un grave peccato.
Analizziamo la prima tentazione di Gesù.  Satana gli dice: “Se tu sei Figliuol di Dio, dì che queste pietre divengano pani”.
Se riflettiamo bene, la Scrittura non ci parla di un piccolo miracolo. Satana non suggerisce di trasformare in pani soltanto due o tre pietre, ma tutte le pietre di quel deserto. “Dì che “queste” pietre divengano pani!” Ebbene, lì, in quel deserto roccioso, di pietre, ce n’erano a perdita d’occhio! La Scrittura  ci sta parlando di un miracolo  bellissimo: quello di trasformare le pietre del deserto, in pani! Ci sembra già di vedere le folle accorrere per essere sfamate, come sarebbe avvenuto qualche tempo dopo (Gv. 6;26).
Se Gesù avesse accettato l’offerta di Satana, e avesse trasformato in pani le pietre del deserto, egli avrebbe risolto il problema della fame nel mondo. Sarebbe bastato ripetere quel miracolo in ogni nazione ed in ogni città. Nessuno avrebbe più patito la fame.  Dare da mangiare agli affamati, è un’opera di misericordia; ma anche in quest’opera buona può esserci il peccato e l’adorazione di se stessi e del Nemico.
Gesù sapeva che se avesse dato da mangiare ai poveri, trascurando però ciò che in quel momento era essenziale per lui, cioè vincere la battaglia contro Satana, egli avrebbe commesso un peccato! Quest’ultimo sarebbe stato un peccato di orgoglio. Satana gli suggeriva infatti, come motivazione per compierlo, un sentimento di superiorità: Tu sei il Figliuol di Dio! Tu hai la possibilità di trasformare l’indigenza e la fame, in abbondanza! Tu ne possiedi i mezzi! Dio ti ha dato la capacità di trasformare in pani le pietre del deserto!”
Cristo poté rendersi conto di questa trappola, nascosta dietro l’opera buona, che Satana gli chiedeva di fare. Potremmo noi fare altrettanto? Se risolvessimo noi il problema della fame nel mondo, potremmo non sentirci gratificati e meritevoli di lode?
Talvolta, quella di dare ai poveri è una maschera, con la quale cerchiamo di nascondere a Dio le nostre mancanze e la nostra concupiscenza. C’illudiamo che, quella di dare, sia un’alternativa alla carità, cioè all’amore, e che l’elemosina sia il prezzo che ci permetta di continuare a trascurare tutte quelle cose che dovremmo invece compiere con priorità, cioè le obbligazioni che abbiamo contratto col nostro coniuge, con i figli, o con la società.
Talvolta, incontrando un povero che ci chiede l’elemosina, sentiamo dire questa frase: “Fate la carità”. In effetti, di carità si tratta. Però, se questa carità la facciamo allo scopo di sentirci poi esonerati dall’obbligo di avere carità  con i nostri familiari, coi colleghi di lavoro, o coi fratelli, a nulla ci è valso! Non possiamo illuderci di aver avuto carità, neppure se avessimo dato a quel povero non un’intero stipendio, ma tutte le nostre sostanze. La carità non si può comprare o sostituire col denaro.
L’Apostolo Paolo ce lo ripete in maniera chiarissima: “Quand’io distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, cioè amore al mio prossimo, ciò niente mi giova!” Niente non vuol dire “mi giova poco”, cioè faccio una piccolissima cosa buona, ma vuol dire, appunto, niente, cioè uno zero assoluto!
Vogliamo far notare, ancora una volta, che la nostra elemosina  gioverà certamente al povero, cui l’abbiamo dato. Tuttavia, quest’elemosina non gioverà a noi davanti a Dio, se l’avremo usato come pretesto per trascurare i nostri doveri primari e prioritari.
La richiesta del povero, in quest’ultimo caso, non avrebbe per noi il valore di una “richiesta di carità”, ma dovrebbe essere corretta più semplicemente in quest’altra: “Mi dia un poco del suo denaro!”.
Purtroppo, l’uomo naturale non sempre si rende conto dell’inganno che si cela dietro le opere. Tutto ciò avviene a causa dell’influenza di Satana nelle nostre menti, la quale influenza ci porta a distorcere e a macchiare qualsiasi opera noi facciamo. Questo è il motivo per cui la Parola di Dio definisce le buone opere come dei “panni sporchi”, dal momento che esse non possono mai essere perfette ed eterne, ma sono sempre ed inesorabilmente accompagnate da qualche macchia, più o meno grande, ma comunque inevitabile, causata dalla nostra concupiscenza. Tutto ciò che facciamo, è macchiato dal peccato.
Non è dunque l’opera, anche se buona, a costituire il peccato, ma noi stessi, nel farla, manifestiamo inevitabilmente davanti a Dio la nostra natura di peccatori; poiché in tutte le sue azioni, anche nelle buone opere, l’uomo è manovrato dalla sua concupiscenza, ossia dall’influenza di Satana.
Facciamo ancora qualche esempio. In Matteo 16:23, l’Apostolo Pietro, avvertito del fatto che Gesù avrebbe sofferto e sarebbe stato ucciso, ebbe una reazione di pietà per la vita del suo Maestro. Egli non avrebbe voluto che morisse. Se si  fosse presentata l’occasione, egli sarebbe stato anche disposto a combattere per salvare il suo Maestro (come fece in Mat 26:51) o a dare la sua vita per lui (come non fece in Gv. 13:37).
In tutti i casi citati, questi atteggiamenti, pur se pietosi, avrebbero ottenuto però dei rimproveri. In Matteo 16:23, Gesù gli avrebbe risposto addirittura: “Vattene via da me, Satana; tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”.
Evidentemente, Cristo si rendeva conto che in quel momento la personalità di Pietro si trovava sotto l’influenza satanica, e che egli stava parlando illudendosi di essere nel giusto e credendo di fare possibilmente qualcosa di buono per il suo amato Maestro, augurandogli di scampare ad una possibile morte, mentre in realtà stava solamente tentando di ostacolare i piani della Provvidenza di Dio, e di assecondare gli interessi di Satana. In un’altra occasione, vediamo Pietro dichiarare di voler dare la sua vita per Gesù, dicendo “Signore, perché non posso seguirti ora? Metterò la mia vita per te!” (Gv. 13:37).  Questa era una dichiarazione verbale di fedeltà, ma questa dichiarazione non sarebbe poi stata seguita dall’applicazione pratica. Pietro, infatti, non avrebbe avuto il coraggio di fare ciò che aveva promesso.  Gesù gli risponderà: “Metterai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico che il gallo non canterà che già tu non m'abbia rinnegato tre volte” (Gv. 13:37,38).
In Matteo 26:51,54, leggiamo ancora: “Ed ecco, uno di coloro ch'eran con lui, stesa la mano alla spada, la sfoderò; e percosso il servitore del sommo sacerdote, gli spiccò l'orecchio.
Allora Gesù gli disse: Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendon la spada, periscon per la spada. Credi tu forse ch'io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in quest'istante più di dodici legioni d'angeli? Come dunque si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?”. Dietro alle buone intenzioni di Pietro, c’era pur sempre qualcosa di errato,  tale da suscitare il rimprovero di Cristo. L’impulsività di quest’Apostolo, cioè la sua affrettatezza nel voler operare, non faceva altro che manifestare, prima che le sue buone intenzioni, la sua concupiscenza.
In Mt. 16:23, Cristo non lo loda per la sua  bontà d’animo, ma si limita solamente a rimproverarlo. Quel sentimento d’amore e di amicizia viene condannato,  perché non può aggiungere nulla di positivo all’intrinseca natura di peccatore di Pietro.
Quando siamo chiamati ad operare, dobbiamo prima ricordare che ciò che stiamo per fare non può aggiungere nulla ai nostri meriti davanti a Dio, ma che può addirituura peggiorare la nostra condizione davanti a Lui.  Dobbiamo ricordare, ancora una volta, la frase di Gesù: “Guai a voi, Farisei, ipocriti, perché pagate... ma trascurate...”
Dobbiamo sottolineare fortemente il fatto che per l’uomo è impossibile compiere il bene. La parola di Dio ci dice chiaramente che: “Non c’è alcun giusto; no, neppure uno” (Ro 3:10).
“Non c’è nessuno che pratichi il bene, no, neppure uno” (Ro 3:12). “Il giusto vivrà solamente per fede”. “Per le opere della legge nessuno sarà giustificato al suo cospetto” (Romani 3:20). Ora, però, indipendentemente dalle opere della legge, è stata manifestata una giustizia di Dio, attestata dalla legge e dai profeti” (Romani 3:21). “Tutte le nostre buone opere, non sono altro che panni sporchi”. “Io proclamerò la tua rettitudine, e le tue opere... che non ti gioveranno nulla (Isaia 57:12). Tutti quanti siam diventati come l'uomo impuro e tutta la nostra giustizia come un abito lordato” (Isaia 64:6). Ecc...
Dobbiamo renderci conto del fatto che la Parola di Dio ci dice che qualsiasi cosa buona non verrà valutata in se stessa, né secondo l’attitudine generosa con cui essa è stata compiuta, ma viene valutata in base a criteri completamente diversi.
L’opera buona apparirà come inesorabilmente sporcata (lordata) dal contatto del nostro corpo, proprio come i panni puliti, ogni volta che li indossiamo. Anzi, più prolungato sarà il contatto, più la nostra natura di peccato macchierà tutto ciò che stiamo facendo.

La Condanna inesorabile degli Ingiusti a causa delle loro Buone Opere  
giudizio
Abbiamo riportato l’esempio di due credenti, Anania e Saffira, ai quali quel particolare lascito generoso fu imputato ad abominio e condanna. Ad altri uomini, invece, non soltanto alcune, ma tutte le loro buone opere vengono addirittura imputate da Dio come colpe imperdonabili. La legge delle opere ha comunque una validità universale, e condanna tutti coloro che ad esse si affidano, cioè tutti coloro i quali pensano di poter aggiungere qualcosa di buono alla creazione, o di poter aiutare o pagare Dio, o di essere riconosciuti benemeriti attraverso di esse. Questi pensieri sono frutto della concupiscenza e macchiano di un’ombra di peccato tutto ciò che facciamo. Nell’ultimo giorno, alcuni uomini, pensando di dover meritare qualcosa in cambio del bene che essi hanno operato, diranno infatti: “Abbiamo fatto opere potenti nel tuo nome!”; “Abbiamo esercitato tutte le opere di misericordia!”. Ma il Giudice risponderà: “Andate via da me, nell’inferno che è stato preparato per voi e per gli angeli ribelli, perché ebbi fame e non mi deste da mangiare...”. Allora questi uomini, cioè coloro che Dio considera ingiusti e che bolla con tale marchio inesorabile, risponderanno: “Quando mai ti abbiam visto aver fame e non ti abbiamo dato da mangiare...”.ma il Giudice dirà: “In quanto non l’avete fatto ad uno solo di questi miei minimi, non l’avete fatto neppure a me”.
Nelle opere, c’è dunque una maledizione: o si riesce a compierle tutte, o si è condannati come inosservanti.  E’ chiaro che mai e poi mai, nessun uomo al mondo, è stato né sarà capace di compiere tutte le opere buone per lui materialmente possibili. Ciò è escluso.  Non c’è dunque nessuna possibilità di compiere “il Bene”, ma quelle poche cose buone che ci sembra di fare, dobbiamo capire che non realizzano il Bene assoluto, né appagano la giustizia di Dio, ma che al contrario sono viste da Dio come inquadrate nell’ottica del Bene Universale; nel senso che, queste opere di bene, non potendo essere L’Opera del Bene Assoluto ed Universale, vengono cioè viste da Dio come delle colpe parziali.
Più bene facciamo, più colpe parziali accumuliamo. Gli ingiusti diranno: “Ti sbagli! Quando mai, noi non abbiamo fatto opere buone? Sempre e nei confronti di chiunque noi abbiamo continuamente bene operato!”.  Ma il Giudice dirà, ancora una volta: “In quanto non l’avete fatto a uno solo di questi miei minimi...”. Gli ingiusti saranno condannati proprio a causa delle opere buone da loro stessi piamente e devotamente compiute!
Il terribile metro della condanna sarà proprio il fatto che essi non potranno affermare di aver compiuto tutte le buone opere, ma dovranno ammettere di essersi dimenticati anche di un solo bisognoso, che attendeva, magari all’altro capo del mondo, che qualcuno gli desse da mangiare o da bere o che lo ospitasse o che lo visitasse.
Fatta questa necessaria premessa, possiamo ora capire che tutte le sollecitudini umane, che ci creiamo nell’illusione di poter migliorare lo stato generale delle cose che Dio governa e prestabilisce, è vanità. Cristo dice: “Non siate con ansietà solleciti...”. Egli vuol farci capire che non possiamo pensare di migliorare con affanno una creazione già perfetta e perfettamente governata da Dio in ogni suo angolo più recondito e durante ogni suo attimo, ma che Dio offre già alla sua creazione tutto ciò che costituisce il bene universale.
Se noi ci affannassimo ad arricchire noi stessi o qualcun altro, non faremmo altro che guastare un poco quella perfezione universale di Dio, dal momento che noi non possediamo il metro della giustizia universale, il quale è anche il metro necessario per compiere il Bene Universale. Non potremmo in alcun modo operare al posto di Dio per determinare questo Bene, sostituendoci, noi esseri imperfetti, alla Sua divina Provvidenza.

Natura Intrinseca del Peccato

A Satana, non importa che la cosa desiderata sia buona o cattiva. In entrambi i casi, infatti, egli raggiunge il suo scopo, che è quello di  indurre al peccato. Quest’ultimo consiste, infatti, non soltanto nel compiere il male, cioè nel trasgredire i Comandamenti di Dio, come ad esempio uccidere, rubare, eccetera, ma perfino nel compiere delle cosidette buone azioni. Il peccato risiede non nella cosa fatta, ma nell’atteggiamento con il quale la facciamo, che è quello di volerci sostituire a Dio. A qualcuno, potrebbe sembrare ancora una volta totalmente assurdo e a rigor di logica inaccettabile il fatto che compiendo una buona azione si possa commettere invece un grave peccato. Per spiegare ancora meglio la profonda verità di queste asserzioni vorrei citare alcuni riferimenti tratti dalla stessa Parola di Dio.
Cominciamo col peccato d’Eva. Non c’è nulla di male, nel desiderare di conoscere il bene e il male o nel desiderare di apprendere cose nuove, e non c’è nulla di male nel desiderare di non morire. Direi anzi che questi desideri sarebbero stati utili alla vita stessa dell’uomo.
La conoscenza avrebbe, infatti, portato l’uomo a trarre un usufrutto sempre migliore dal giardino d’Eden, secondo il desiderio stesso di Dio, il quale “aveva posto l’uomo nel giardino, perché lo lavorasse e lo custodisse”; mentre il desiderio di non morire avrebbe allontanato da lui possibili e indesiderabili desideri suicidi o auto-lesionistici, e ciò sempre in accordo ai desideri di Dio, il quale voleva appunto evitargli questo tipo di esperienze (vedasi la terza tentazione di Cristo in Luca 4:9).
Gli argomenti suggeriti da Satana non costituivano peccato in se stessi. Satana cercava però di suscitare attraverso di essi la concupiscenza. Non è la cosa desiderata, buona o cattiva che sia, ma è il fatto di desiderarla ardentemente, cioè il voler farsene una ragione prioritaria di vita o una cosiddetta fissazione.
Quest’influenza negativa,  è chiamata, appunto, concupiscenza, in quanto porta l’uomo a desiderare qualcosa ardentemente, fino al punto di considerare questa cosa come predominante e indispensabile nella sua vita.
Per esempio, al giorno d’oggi, l’uomo si affanna per avere l’automobile nuova, l’ultimo modello di telefonino, il televisore ultrapiatto e col telecomando in ogni stanza; ma se chiediamo in giro, tutti rimpiangono il genere di vita che si faceva una volta. La concupiscenza si potrebbe paragonare ad una sorta di “pubblicità satanica”, in quanto ci fa desiderare cose delle quali non abbiamo un bisogno prioritario, e ce le fa desiderare ardentemente ed in opposizione ai desideri di Dio per noi.


Per fare un esempio di come si possa peccare facendo cose buone, semplicemente per il fatto di non rispettare alcune priorità, pensiamo ad una persona che desiderasse andare sempre in chiesa, ma che trascurasse la famiglia e i figli. Questa persona non farebbe la volontà di Dio. A nulla le servirebbe il fatto di assistere assiduamente ai culti o di non arrivare mai in ritardo. Similmente, a nulla le servirebbe elargire continui e sostanziosi lasciti alla chiesa, se poi trascurasse di andarci o rifiutasse i doveri dell’amore e dell’ospitalità verso i fratelli.
Questa persona, sarebbe nelle condizioni di  chi, credendo di fare una buon’azione, commette in realtà una moltitudine enorme di peccati. Varrebbe per lei quella sorta di “scomunica” di cui parla l’Apostolo Paolo in 1Co 13, quando dice: “Quand'io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho carità, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho carità, non son nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova”.
L’Apostolo continua poi nel suo discorso, e descrive le caratteristiche di questa carità, cioè le caratteristiche che debbono prima di ogni altra cosa manifestare tutti coloro i quali si esercitano nelle opere di bene prima descritte, pensando di essere grati a Dio solamente attraverso di esse. Egli prosegue dunque dicendo: “La carità è paziente, è  benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non sospetta il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. La carità non verrà mai meno.  Quanto alle profezie, esse verranno abolite; quanto alle lingue, esse cesseranno; quanto alla conoscenza, essa verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. Quand'ero fanciullo, parlavo da fanciullo, pensavo da fanciullo, ragionavo da fanciullo; ma quando son diventato uomo, ho smesso le cose da fanciullo. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia: ora conosco in parte; ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto. Or dunque queste tre cose durano: fede, speranza, carità; ma la più grande di esse è la carità.
Le affermazioni di Paolo avvalorano fortemente quanto è stato finora detto. Tutti coloro che credono di fare un bene, ma trascurano di avere carità, costoro debbono convincersi che il loro sacrificio non è valso a nulla; anzi, essi non hanno fatto  altro che peggiorare la loro condizione davanti a Dio.
Nell’ultimo giorno, Cristo si unirà alle parole di Paolo, dicendo:  “Guai a voi, ipocriti, perché avete pregato senza sosta (profetizzato), e avete studiato a fondo la Bibbia, tanto da conoscerla tutta a memoria (conosciuto tutti i misteri e tutta la scienza), e avete avuto tutta la fede, tanto da riuscire a trasportare i monti! Guai a voi, perchè avete distribuito tutte le vostre facoltà per nutrire i poveri, e avete dato il vostro corpo ad essere arso, e avete sempre pagato la decima alla vostra chiesa!   Guai a voi! Guai a voi, perché, nonostante abbiate fatto tutte queste cose alla perfezione, avete però contemporaneamente trascurato le cose più gravi della legge: il giudizio, e la misericordia (cioè la carità) ... Queste erano le cose che bisognava fare, senza tralasciar le altre” (Confronta con Mat 23:23).
Queste sono delle rivelazioni terribili, per tutti coloro che pensano di aver pagato un prezzo a Dio, attraverso qualsiasi loro buona opera. La carità è il fondamento di tutte le opere buone. Se ci spogliamo di tutto ciò che abbiamo, se diamo tutte le nostre sostanze ai poveri, e se doniamo ad uno ad uno tutti i nostri organi vitali affinché siano trapiantati per salvare vite umane, sappiamo che se non abbiamo avuto carità verso il nostro prossimo, a nulla ci serve il sacrificio di privarci di ciò che possediamo di più prezioso. Saremo condannati per il bene compiuto, proprio a causa del fatto che abbiamo tralasciato la cosa più importante, cioè di  aver avuto carità. L’Amore è l’unico, gran comandamento di Dio.
Se non abbiamo “pagato” Dio con l’amore, non avremo altra moneta con cui pagargli un prezzo alternativo per la nostra salvezza. In fondo, questo è ciò che egli ha sempre voluto dall’uomo: che lo amasse con il cuore; non con il calcolo.
Ciò che Dio ricerca, è dunque il fatto che l’uomo cambi la sua natura intrinseca, prima che le sue azioni.
È proprio questa natura, contaminata dalla concupiscenza, quella che Dio aborrisce. Il bambino che piange, si dispera, batte i piedi, inveisce, e possibilmente insulta se non riesce ad ottenere, e subito, tutto ciò che desidera, ci rivela che questa natura è presente ed  operante in lui fin dall’infanzia. Egli non ha carità. Manifesta d’essere bambino e di parlare da bambino, e di pensare da bambino, e di ragionare da bambino (1 Co. 13).
La concupiscenza, ossia il peccato, lo pervade fin nel seno materno; lo domina fin dai primi vagiti, attraverso i quali manifesta non soltanto l’urgenza di un legittimo bisogno vitale, ma manifesta anche il suo egoismo prepotente e, in definitiva, la sua concupiscenza. Vuole tutto, e subito, e disperatamente! Si illude che, una volta appagato quel bisogno, tutto sia risolto nella sua vita; tutti i suoi problemi svaniscano, e non avrà più bisogno di nient’altro.
L’Apostolo Paolo vuole dirci invece che quando si decide di diventare finalmente adulti, allora si deve smettere di pensare come i fanciulli, e si deve riconoscere ed accettare il valore supremo e prioritario della carità.
I primi uomini pensarono da fanciulli. Vollero tutto e subito. Avrebbero potuto vivere ugualmente bene, pur senza desiderare “alternative prioritarie” al genere di vita suggerito da Dio (Gen 2:16,17). Essi vollero però prendere in considerazione l’alternativa sbagliata, e caddero nella concupiscenza. Finirono cioè per considerare quella stessa alternativa come prioritaria e sostitutiva, rispetto all’unica buona alternativa possibile, che era quella offerta loro dalle Parole di Dio. Essi finirono pure col considerare quell’alternativa come “liberatoria” dalle loro obbligazioni prioritarie.
Essi non potevano in alcun modo compiere un bene che risultasse maggiore rispetto a quello che Dio aveva già stabilito come il “massimo bene possibile”.
Avendo concupito, essi avevano sostituito la volontà di Dio con la loro opera personale. Ebbene, dopo la promessa del Salvatore, Dio coprì le loro nudità con una veste, la quale sta appunto a significare che i loro corpi di peccato, rappresentanti quell’opera, avrebbero dovuto essere nascosti da un’opera esterna alla loro, e indipendente da loro. Il fatto che le tuniche fossero fatte con la pelle di un animale, era una prefigurazione del sacrificio di Cristo, l’Agnello di Dio. Anche Caino cadde nell’inganno di considerare una sua opera come sostitutoria dell’opera di Dio. Egli desiderò offrire a Dio qualcosa di diverso da quell’unica cosa che Dio stesso considerava e considera come la massima e l’unica che gli si possa offrire, cioè la fede. Caino gli offrì dei frutti stupendi, desiderando ardentemente di poter cambiare in meglio i Suoi attributi, cioè cercando di far desistere Dio dal desiderare il Bene Universale, per convincerlo invece a desiderare ciò che era bene per lui, per Caino, cioè un paniere di frutta. La forza  di convincimento di Satana, manifestata nella concupiscenza di Caino, lo portò perfino a rattristarsi del fatto che Dio non avesse accettato di cambiare il Suo modo di pensare, riguardo a ciò che è bene, e non avesse accettato di smettere di pensare da Dio, per cominciare a pensare come lui!
Caino, oltre a non aver fede, non aveva neppure, e soprattutto, carità per il suo prossimo, tant’è vero che lo uccise, e Dio non poteva gradire la sua offerta, né per il primo motivo, né per il secondo. Egli impersona colui che Paolo chiamerebbe un “nano” spirituale.
Il suo tentativo personale di piacere a Dio senza la fede e senza la carità era destinato a fallire, poiché questo tentativo era macchiato dalla sua natura di peccato e dalla sua attitudine alla concupiscenza, e ciò per l’azione di Satana.
Un giorno, Whitefield fece dal pulpito quest’affermazione: “Io sono convinto, anzi, che perfino il mio miglior sermone, sia il mio più grande peccato”. Nel condividere la dichiarazione di questo grande predicatore, non vogliamo sostenere che l’uomo non debba compiere quelle opere che gli sembrano ben fatte. Vogliamo invece dire che nessun uomo, nel farle, può pensare di aver compiuto il Bene, ma che deve convincersi di non aver aggiunto nulla alla perfezione della Provvidenza. Siamo servi inutili, cioè siamo chiamati a compiere delle opere che non aggiungono nulla alla perfezione di Dio. Quando facciamo il bene, noi abbiamo fatto soltanto un nostro preciso dovere, e non acquisiamo, attraverso il bene compiuto, nessun diritto speciale. Perfino quel sentimento d’autogratificazione, che proviamo nel compiere un’opera buona, è il segno del nostro innalzarci al di sopra di chi non ha compiuto, per qualsiasi motivo, un’opera simile alla nostra. Questo sentimento è dettato da ipocrisia.Non ci sentiamo servi inutili, ma servi buoni e meritevoli di una giusta ricompensa. Al contrario, non possiamo accampare nessuna pretesa davanti a noi stessi ed a Dio. Chi pensa l’opposto, è sotto l’influenza di Satana.

Conclusioni

Chiediamoci, dunque, il motivo per cui il Tentatore induce l’uomo ad indulgere su questo tipo di convinzioni.
La realtà è che egli si oppone a Dio e tenta di sostituirsi a Lui con ogni mezzo o di sostituire a Lui qualsiasi altra creatura. L’idolatria, cioè l’adorazione di qualsiasi persona o cosa creata, al posto del Creatore, è una delle conseguenze che scaturiscono da questo suo atteggiamento. Dio, nel primo Comandamento, ha richiesto l’adorazione esclusiva, dal momento che solo Lui è il Creatore, ma Satana induce l’uomo al dubbio e all’alternativa, dicendogli: “Come? Dio ha detto di non adorare nessuna delle creature che sono nel giardino della creazione?”. “Guarda quante creature perfette, e sante, e benedette, e angeliche egli ha creato! Hai solo da sceglierne una e adorarla!”
In conseguenza di ciò, vediamo l’uomo adorare qualsiasi cosa, fuorché il Creatore: pezzi di carta stampata, quadri, pezzi di legno, souvenir, ciondoli, portachiavi, pietre, chiodi arrugginiti, pezzi di stoffa, ciambelle, ossa di morti...
La cecità prodotta da Satana, è tale che l’uomo non si rende conto che sta adorando un portachiavi al posto del Padre Eterno, Creatore di tutte le cose, che è Benedetto in eterno, ma gli sembra di rendere un culto gradito a Dio. In fondo, neanche Caino riusciva a vedere una differenza sostanziale tra la fede in Cristo e la fiducia in una cesta di frutta.
Satana usa dunque la stessa tendenza naturale dell’uomo, ossia la stessa personalità dell’uomo naturale, facendo in modo che anche lui, cadendo nella stessa idolatria di Caino, si opponga a Dio, rifiutando di rendergli un culto esclusivo, ma mettendo sugli altari persone o cose create o fatte.


   

"Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo."
(1 Giovanni 2:16)

Liberamente adattato da internet 
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