Le ricerche condotte in questo ambito dimostrano chiaramente che
le persone che si preoccupano eccessivamente hanno la tendenza a
prestare maggiore attenzione a tutto ciò che sembra confermare i loro
timori. Chi soffre di questo disturbo, sente spesso la necessità di
esplorare minuziosamente l’ambiente in cui si trova alla ricerca del
minimo segnale di pericolo. I più comuni motivi di preoccupazione, che
solitamente provocano molta ansia nelle persone che tendono a
preoccuparsi troppo, si trovano in diversi ambiti del vivere quotidiano.
Ad esempio, nel rendimento lavorativo o scolastico (come il timore di
essere licenziati o di venire respinti ad un esame); nei lavori
domestici (come il timore di non riuscire a fare tutto ciò che si
vorrebbe); nella propria situazione finanziaria (come il timore di
perdere tutto o di non essere capaci di far fronte alle spese); nella
salute personale (come la paura di contrarre una malattia); nella salute
familiare (come l’ansia per le condizioni di salute dei propri cari),
nelle relazioni affettive (come le preoccupazioni ingiustificate sulla
fedeltà del partner). In questo possono pure incidere questioni di
minore importanza (come il timore di non trovare parcheggio vicino al
posto di lavoro). È soprattutto in riferimento a esperienze del passato,
quando si è subìto un evento traumatico, specie se in modo del tutto
imprevisto, ed allora si rischia più facilmente di andare incontro a
problemi di ansia e preoccupazione cronici rispetto a chi può prevedere
il verificarsi dello stesso evento stressante. In generale, poi, le
preoccupazioni sono espressione di due diversi modi di pensare:
sopravvalutare la possibilità che possa accadere qualcosa di spiacevole:
“E se mi ammalassi gravemente?”, “E se accadesse qualcosa di male ai
miei familiari?”, oppure sopravvalutare le conseguenze negative di un
determinato avvenimento: “E’ un dramma se non riesco a trovare un
parcheggio!”.
La fenomenologia di questi disturbi è complessa e non possiamo
certo trattarla adeguatamente in questa sede. Essa era nota, però, al
nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, come pure viene trattata
nell’ambito dell’intera Parola di Dio. Nell’ambito del Sermone sul
Monte, ai Suoi discepoli, propensi non meno di altri al disturbo d’ansia
generalizzata, Gesù dice loro: “Non siate in ansia per la vostra vita”.
A tale esortazione Egli fa seguire le precise Sue ragioni,
accompagnandoli, con il Suo insegnamento, esempio e forza abilitante, a
vivere liberi da quest’ansia patologica. Con tutti loro, anche noi
abbiamo anche oggi la gioia ed il privilegio di apprenderlo.
Il testo biblico
Il testo biblico sottoposto alla nostra attenzione, ci dà
l’opportunità di trattare il problema delle sollecitudini ansiose. I
suoi termini sono tali da rendere alcuni piuttosto perplessi. Una
ragione di più per esaminarlo con attenzione: Matteo 6:25-34.
Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (Matteo 6:25-34).
I beni di questo mondo e il lavoro
Quanto il Signore Gesù dice qui sul problema delle sollecitudini
ansiose, si pone nell’ambito dell’insegnamento che Egli dà ai Suoi
discepoli al riguardo dell’atteggiamento che essi debbono avere verso “i
tesori della terra”, le risorse dei beni materiali.
Nell’insegnamento biblico, i beni materiali sono, prima di tutto, frutto
del lavoro umano che, agli occhi di Dio, non è (come alcuni
erroneamente ritengono) una maledizione, ma un privilegio che ci associa
all’opera creativa di Dio. Affaticarsi a lavorare onestamente, con
le proprie mani, per provvedere alle necessità materiali nostre e della
nostra famiglia, è, infatti, il mezzo che Dio ci ha ordinato per poter
conseguire i mezzi della nostra sussistenza. Difatti, come ci
ammonisce la Parola di Dio, “se qualcuno non vuole lavorare, neppure
deve mangiare” (2 Tessalonicesi 3:10), come pure: “Se uno non provvede
ai suoi, e in primo luogo a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede, ed
è peggiore di un incredulo” (1 Timoteo 5:8). Dio, inoltre, prescrive
che attraverso il nostro lavoro noi si dia il nostro contributo a
diverse altre finalità: sostenere chi è nel bisogno e sostenere i
ministri dell’Evangelo nella loro opera. Il lavoro è sicuramente pure
necessario, nell’insegnamento biblico per pagare ai governanti le
imposte dovute nell’amministrazione della società umana. I primi
discepoli di Gesù erano stati temporaneamente sottratti alle loro
professioni, non perché esse fossero inferiori alla loro “vocazione
spirituale”, ma per partecipare a quello che potremmo chiamare “un
periodo di formazione” grazie al generoso sostegno di altri, come ad
esempio le risorse messe a disposizione a Gesù da alcune donne
facoltose: "Giovanna, moglie di Cuza, l'amministratore di Erode; Susanna
e molte altre che assistevano Gesù e i dodici con i loro beni" (Luca
8:3).
In questo mondo decaduto, però, lavorare diventa indubbiamente
spesso cosa assai gravosa. Dio, infatti, dice ad Adamo: “...mangerai il
pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui
fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai” (Genesi 3:19).
Dio, in ogni caso, ci chiama all’impegno e condanna sempre la pigrizia:
“Il pigro non arrostisce la sua selvaggina, ma l'operosità è per l'uomo
un tesoro prezioso … Il pigro non ara a causa del freddo; alla raccolta
verrà a cercare, ma non ci sarà nulla ... I desideri del pigro lo
uccidono, perché le sue mani rifiutano di lavorare" (Proverbi 12:27;
20:4; 21:25). E’ l’operosità della formica: “Va', pigro, alla formica;
considera il suo fare e diventa saggio!” (Proverbi 6:6).
Una condizione psicologica patologica
Nell’acquisizione dei beni di questo mondo, però, può insorgere in
noi una condizione psicologica che chiamiamo “sollecitudini ansiose”.
Esse possono assumere due aspetti: quello dell’accumulo ossessivo e compulsivo di beni materiali come se questo fosse l’unico scopo della
vita, come nella parabola dell’uomo ricco, dove egli dice: “dirò
all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni;
ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti'" (Luca 12:19). Essi, così, diventano
un idolo. Oppure, di fronte alle difficoltà della vita, per ragioni vere
od immaginarie, l’ansia paralizzante e nociva che sorge dall’aver
timore di rimanere privi delle necessarie risorse vitali. Si tratta di
atteggiamenti malsani che Gesù vuole prevenire o guarire nei Suoi
discepoli.
Nel Sermone sul monte, Gesù tratta della prima “distorsione”, al
capitolo 6 dal versetto 19 al 24 e della seconda, le “sollecitudini
ansiose” dai versetti 25 a 34, il testo che consideriamo oggi.
Esaminiamolo con attenzione.
1. “Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra
vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro
corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo
più del vestito?” (25).
L’angoscia di poter rimanere privi dei mezzi di sussistenza non è
solo un sentimento moderno suscitato dallo “spettro della
disoccupazione” o dalla malattia, ma, come rileva Gesù stesso, è sempre
stata, in ogni tempo, caratteristica dell’atteggiamento di molte
persone, anche evidentemente fra i Suoi stessi discepoli. Essa è una
condizione psicologica che può essere qualcosa sia che paralizza e
consuma corpo e spirito come pure qualcosa che causa una sorta di
compulsiva “immersione nel lavoro” come se il lavoro fosse il tutto
della vita. È l’atteggiamento di coloro che considerano la vita qualcosa
di futile, una condanna a lavorare per mangiare e mangiare per
lavorare. Può diventarlo, ma non è questa la sua vocazione ultima.
“Mangiare” e “vestirsi”, con i mezzi a questo finalizzati, dice Gesù,
non è e non può essere “il tutto” della vita. Sono cose necessarie e
comandate da Dio per le quali Egli provvede, ma la vita è “più del
nutrimento” e il corpo è “più del vestito”. Nutrimento e vestito sono
strumenti che ci permettono di realizzare con la nostra vita, fini più
alti, quelli che Dio ha stabilito per le creature umane. Si dovrebbe
meglio dire: nutrimento e vestiti sono strumenti che ci permettono di
realizzare quei fini più alti che Dio ha stabilito per ciascuno di noi
singolarmente, nessuno escluso, e che dobbiamo scoprire proprio nella
particolare situazione in cui ci troviamo, qualunque essa sia. Questo
“fine della vita” è stato così definito: Il fine sommo e principale
dell'uomo è glorificare Dio e fruirlo (goderlo) perfettamente in
eterno, secondo quant’è scritto: "Sia dunque che mangiate, sia che
beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di
Dio" (1 Corinzi 10:31). Anche il discepolo di Cristo, quindi, deve
lavorare, mangiare e vestirsi, ma è sbagliato, agitarsi, affannarsi,
preoccuparsi troppo per queste cose. Dovremmo semplicemente confidare ed
ubbidire a Dio, proseguendo nell’adempiere la nostra vocazione ultima,
quella che Dio ci rivela.
2. "Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non
mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre.
Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua
preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita?" (26-27).
Le lezioni che ci impartisce la natura sono sempre importanti.
L’operosità della formica, come abbiamo visto, ha molto da insegnare al
pigro, ma anche, qui, molto hanno da insegnarci gli uccelli del cielo.
Essi ci vengono indicati da Gesù come “privi di angosce” ed operosi
nell’ambito di ciò che Dio provvede per loro. Gesù qui non dice che gli
uccelli del cielo trovino tutto pronto... La loro vita non è sempre
facile e sono costantemente impegnati. In questo mondo, però, secondo la
rispettiva specie, Dio ha provveduto i mezzi della loro sussistenza ed
essi “confidano in Dio”. Se noi costantemente ci preoccupiamo di non
avere abbastanza cibo e vestiario, mostriamo di non aver appreso la
lezione di base che ci insegna la natura stessa: ciascuno nel suo
ordine, Dio provvede per le necessità delle Sue creature. Inoltre, Dio è
il Padre celeste di coloro che ha adottato come Suoi figli in Cristo.
Di conseguenza, Dio si prenderà maggior cura di loro, indicando dove e
come possono conseguire quanto loro necessario. Questo non significa
essi possano trascurare il lavoro, ma significa che essi possono e
devono essere liberi da ogni sollecitudine ansiosa. Agitarsi e
preoccuparsi troppo non potrà allungarci la vita, anzi logora e accorcia
la vita, precludendoci la realizzazione del nostro potenziale.
3. “E perché siete così ansiosi per il vestire?
Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non
filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria,
fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l'erba
dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di
più per voi, o gente di poca fede?” (28-30).
I gigli della campagna erano forse i bianchi fiori primaverili
che fiorivano abbondantemente in Galilea, in ogni caso, Gesù si
riferisce ai fiori non coltivati. Dio è così buono da coprire la terra
di bei fiori selvatici per noi privi di valore produttivo e che durano
poco. Una volta seccata, l’erba diveniva combustibile per la Palestina
povera di legname. La cura provvidenziale di Dio non rende pigro il
discepolo di Gesù, ma lo rende fiducioso che Dio provvederà similmente
per lui ed a maggior ragione. La bellezza della natura, creazione di
Dio, è ancora maggiore di quella che caratterizzava i vestiti più
scargianti di Salomone, re di Israele.
L’ansia per le cose essenziali della vita dimostra mancanza di
fiducia in Dio, nella Sua presenza, provvidenza e fedele mantenimento
delle Sue promesse. Può capitare di perdere questa costante
consapevolezza, ma non dev’essere così. La preghiera del discepolo di
Cristo che si trova in questa situazione dev’essere: “Io credo; vieni in
aiuto alla mia incredulità” (Marco 9:24).
4. Questo concetto è ulteriormente ribadito da Gesù: “Non
siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci
vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il
Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose” (31-32).
Un atteggiamento di ansia e di paura, di fatto, è quello dei
pagani, degli scettici e degli increduli, di quelli che non conoscono e
non credono in Dio, che non sono in rapporto con Lui come ad un Padre
verso i Suoi figli. Non è l’atteggiamento di coloro che hanno visto la
loro vita presa in carico, per grazia di Dio, in Cristo. Conoscere Dio e
far parte della Sua famiglia (o popolo) significa godere della Sua protezione e provvigione. Egli provvede ai Suoi figli quanto essi
abbisognano. Dato che Dio fornisce i Suoi di quanto loro serve, non è
solo insensato, ma anche pagano affannarsi per ciò che Dio promette di
provvedere. Il discepolo assillato vive come un incredulo che non crede e
non considera Dio. Una tale persona è incentrata su sé stessa, dedica
troppa attenzione ai beni materiali e finisce per non occuparsi delle
cose veramente importanti della vita. La chiave per vincere l’ansia è di
rendere il Regno di Dio la priorità assoluta della propria vita,
concentrare in esso la propria attenzione. È possibile che i figlioli di
Dio cadano nella tentazione dell’incredulità, dimenticando chi essi
sono (in rapporto con Dio) e soprattutto chi è Lui, quello che Egli ha
promesso di fare, ha fatto nel passato ed ancora farà nella Sua fedeltà.
E’ come “perdere i sensi”, ma devono riprenderli e tornare a
focalizzarsi sull’obiettivo del cristiano. Difatti, Gesù dice:
5. “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più” (33).
Il discepolo di Cristo tiene le cose nella giusta prospettiva.
Ubbidisce a Dio quando Egli gli comanda di perseguire diligentemente la
sua vocazione professionale, ma vede ogni cosa nella prospettiva della
promozione del Regno di Dio. Lavora “per Dio” e, così facendo, come
conseguenza accessoria, ottiene quanto gli serve per vivere e molto più
ancora. “Cercare il regno di Dio” implica perseguire le cose del regno
per le quali Gesù aveva insegnato ai Suoi discepoli di pregare nel
“Padre nostro”, vale a dire l’onore di Dio, il Suo regno, e la
realizzazione della Sua volontà (9,10). “Cercare la giustizia di Dio”
significa perseguire ciò che è giusto agli occhi di Dio in ubbidienza
alla Sua volontà rivelata in Cristo e tutt’attraverso le Scritture. Il
discepolo di Cristo, servendolo fedelmente, non pensa nemmeno alla
propria salvezza eterna, ma all’affermazione di Dio e la Sua gloria: la
sua salvezza la otterrà come conseguenza accessoria. La sua pietà
religiosa non è egocentrica, ma teocentrica. Le sue ambizioni non sono
la promozione di sé stesso, ma la promozione del Regno di Dio. Le “cose”
che Dio “darà in più” sono quelle che Egli provvede con la Sua
provvidenza, quelle che Gesù ha ammonito a non preoccuparsi. Qui Gesù
promette di provvedere ai bisogni di coloro che si impegnano alla
promozione del Suo regno e della Sua giustizia.
Qualcuno potrebbe, però, pure dire: come possiamo spiegare che vi
siano cristiani che vengono privati a forza di risorse materiali e
persino della loro vita? Può accadere. Il cristiano sa di vivere in un mondo decaduto dove gli effetti del peccato pervadono ogni aspetto della
vita. A volte i credenti, non per colpa loro, sono coinvolti nelle
conseguenze del peccato, soffrono e muoiono. Gesù non elabora qui questa
dimensione della vita ma la presume come qualcosa che i Suoi uditori
ben conoscevano e comprendevano. Essa non pregiudica le promesse di Dio
in favore dei Suoi. Quanti martiri della fede sono morti dopo orrende
persecuzioni e sofferenze, senza mai perdere la loro fede nella
provvidenza di Dio. Essi sapevano che questo mondo non è tutto ciò che
abbiamo e, vivendo in prospettiva dell’eternità, “guardavano oltre”.
Infine, Gesù dice:
6. “Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (34).
Dato che abbiamo una tale promessa appoggiata dalla testimonianza
della divina provvidenza, noi non dovremmo agitarci per il futuro. C’è
già abbastanza di cui occuparsi per l’oggi. Oltretutto, i guai che
temiamo per il futuro, potrebbero anche non materializzarsi. Dio ci
fornisce solo grazia sufficiente per trattare la vita un giorno alla
volta. Per il domani, a suo tempo, Dio provvederà. Questa è la fiducia
del discepolo di Gesù. Il suo rapporto con le risorse di questo mondo è
confidare in Dio ed impegnarsi totalmente a perseguire il regno e la
Sua giustizia. Non acumulazione ossessiva o perseguimento della
ricchezza fine a sé stessa. Dio, non Mammona, deve essere il magnete per
la vita del discepolo. Il frutto di tale atteggiamento è libertà
dall’ansia per i beni materiali di cui abbiamo bisogno giorno per
giorno.
Conclusione
L’ansia, più o meno seria e duratura, è indubbiamente uno stato
psichico complesso e serio. Dobbiamo stare molto attenti a non
banalizzarla e credere che vincerla sia facile. Colpevolizzare
semplicemente chi ne è affetto non giova neppure. L’ansia fa
indubbiamente parte, da sempre, del vivere quotidiano in questo mondo.
Essa è caratterizzata da una combinazione di emozioni negative che
includono paura, apprensione e preoccupazione, quella di chi, in modo
più o meno fondato “teme il peggio”. “Che farei se mi trovassi in una
situazione di bisogno? A chi mi rivolgerei? Come reagirei?”. È la paura
dell’ignoto o dell’incerto, di ritrovarsi senza risorse, in una
situazione di bisogno che si reputa irrisolvibile. È spesso accompagnata
da sensazioni fisiche come palpitazioni, dolori al petto, respiro
corto, nausea, tremore interno. Ansia è trepidazione, apprensione,
affanno. È un pensiero che occupa la mente determinando inquietudine.
Essa assorbe ed occupa tutta l’attenzione, distraendo la mente ed
impedendo altre attività. È una tensione nervosa che logora ed affatica
il corpo e la mente.
Il mondo dice: “...è impossibile eliminate questo stato d’animo
dalla propria esistenza, dalla propria vita, perché in fondo è una
condizione che può anche presentarsi di continuo, nelle più svariate
occasioni. (....) Purtroppo, in particolare in questo sciagurato
momento storico del nostro Paese, l’ansia è una compagna indesiderata
della nostra esistenza. Si sveglia con noi di primo mattino, ancor prima
del suono della sveglia, per seguirci passo passo in quasi tutte le
attività della giornata e, infine, per coricarsi con noi la sera tardi,
con il sonno che tarda ad arrivare. Vivere senz’ansia è praticamente
impossibile, e non vi è nulla che la possa tenere sotto controllo se
non una ferrea determinazione a non farsi condizionare dalle vicende
della vita, anche le più banali”. Il mondo, però, non ci può dare
questa “ferrea determinazione”. Il mondo suggerisce di avvalerci di
psicofarmaci, di tecniche yoga per liberarci la mente dai pensieri, da
psicoterapie... Tutto questo non la può fondamentalmente risolvere.
Perché?
Perché dobbiamo dire chiaramente che l’ansia fa parte del vivere
quotidiano di questo mondo decaduto che non conosce Dio né ha fatto
l’esperienza della Sua presenza, provvidenza e fedeltà alle Sue
promesse. Per vincere l’ansia l’unico rimedio è diventare discepoli del
Signore e Salvatore Gesù Cristo che, riconciliandoci con Dio, riaggiusta
tutto il nostro modo di guardare alle cose ed ai fatti della vita
permettendoci di reagirvi in modo costruttivo ed inserendoci
nell’ambiente solidale e provvidente del Suo popolo, la Sua chiesa.
Riconciliati con Dio e per esperienza, possiamo ripetere le parole del
Salmo che dicono: “In verità l'anima mia è calma e tranquilla. Come un
bimbo divezzato sul seno di sua madre, così è tranquilla in me l'anima
mia” (Salmo 131:2), avendo risposto all’appello che dice: "Confida in
lui in ogni tempo, o popolo; apri il tuo cuore in sua presenza; Dio è il
nostro rifugio" (Salmo 62:8).
E quando un cristiano è colto dall’ansia e dal circolo vizioso
delle sollecitudini ansiose? Per un cristiano cadere nell’ansia
significa cedere ad una tentazione, ricadere nella condizione
psicologica “di prima” di essere stato raggiunto dall’Evangelo. È uno
“scivolamento” indietro. Grazie a Dio, però, la Scrittura dice: “Nessuna
tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e
non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la
tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate
sopportare” (1 Corinzi 10:13). Se non fosse per la mano di Dio che “ci
riagguanta” per riportarci sul “terreno solido” della realtà, quella di
Dio, saremmo senza speranza come quelli che non conoscono Dio. Per
questo, se ci troviamo in questa situazione, dobbiamo immergerci nella
Parola di Dio e nelle Sue promesse, distogliendo lo sguardo da noi
stessi e, con i nostri fratelli e sorelle in fede, impegnandoci
nell’opera del Signore. Allora “tutto il resto ci sarà dato in più”. "A
colui che è fermo nei suoi sentimenti tu conservi la pace, la pace,
perché in te confida" (Isaia 26:3).
di Paolo Castellina
"Dite
a quelli che hanno il cuore smarrito: «Siate forti, non temete!». Ecco
il vostro DIO verrà con la vendetta e la retribuzione di DIO; verrà
egli stesso a salvarvi."
(Isaia 35:4)
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