Confessioni di un condannato a morte | CONSAPEVOLI NELLA PAROLA

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domenica 21 febbraio 2010

Confessioni di un condannato a morte



E' una testimonianza forte, lo dico subito. Ma vale la pena leggerla, per capire cosa possa essere il perdono di Gesù, quanto posa essere grande.
Questa testimonianza mi ha ricordato l'episodio del ladrone:

Luca 23,39-43
39 Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!»
40 Ma l'altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio?
41 Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male».
42 E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!»
43 Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso».

Il Suo perdono è qualcosa di incredibile.
Se vi va, leggete. Alla fine, si rimane solo in silenzio.

Da qui.



CONFESSIONE DEI MIEI CRIMINI

Ai famigliari e agli amici di Robert, Paul Bower, Vonda Bellofatto, mia madre, Paul Lee Bellofatto, mio patrigno (le tre persone uccise da Sean, n.d.t.).

Anzitutto devo scusarmi per non avervi scritto prima una confessione . Per giustificarmi posso dire che non capivo la necessità di farlo. Non sapevo che fosse importante perché nessuno me lo ha mai detto. Oltre a ciò, molte persone hanno fatto di tutto per tenere una barriera tra noi. Sono stati i miei avvocati, che cercavano di proteggermi legalmente, i miei amici,che non capiscono il dolore che io ho causato, e anche voi che non siete mai venuti a chiedermi il perché e il come, o a vedere se non c’era in me un qualche pentimento. Se avessi capito prima quanto è importante parlarvi di ciò che è accaduto, lo avrei fatto da molto. Vi prego di perdonarmi prima di tutto per questo.

Questa non è una testimonianza. So che a voi non importa del mio “stato spirituale”, e non volete sentirmi dire che mi sono gettato alle spalle i miei misfatti. So che a voi sembra che voglia scrollarmeli di dosso. Non è così. Questa mia confessione non ha altro scopo che offrirvi le risposte che meritate e meritavate molto tempo fa. Voglio anche che capiate che vi sto solo spiegando come sono andate le cose e non voglio affatto imputare la colpa ad altri. Ci sono dei motivi per cui ho fatto ciò che ho fatto, ma sono stato io a farlo e la responsabilità, al di là dei motivi, E’ SOLO MIA .

Non ero una persona crudele. Non ho ucciso perché provavo piacere nel causare dolore. Ho avuto degli animali tutta la vita e volevo diventare veterinario. Non ero un attaccabrighe, né ho mai provocato zuffe o picchiato persone deboli. Ho partecipato a lotte solo per difendere persone aggredite. Da bambini si provano solo dei sentimenti. Da adulti guardiamo alla nostra adolescenza e comprendiamo ciò che provavamo e perché lo provavamo. C’era molta rabbia in me da bambino. Non me ne rendevo conto, ma c’era.

Mamma mi ha avuto a 16 anni, così quando lei aveva 21 anni io ne avevo 5. Non mi ricordo molto di prima di quell’età, ma proprio a cinque anni lei mi lasciò con suo padre, mia nonna Geneva, e i miei bisnonni. Poi lei partì. Incontrò Lee, il mio “papà” per tutta la vita, e andò via. La rivedevo solo ogni 2 o 3 settimane, quando lei poteva. Poi ogni volta lei e papà ripartivano, io sorridevo, salutavo, andavo in bagno, chiudevo la porta e piangevo. Ogni volta così. Non mi sono mai lasciato vedere da nessuno

A scuola ero Sean Sellers. Ma i miei nonni si chiamavano Blackwell, mia madre e mio padre si chiamavano Bellofatto. Non sapevo cosa accidenti fosse un “divorzio”, o perché avevo un nome diverso. Ciò che sapevo era che in quella cittadina ero l’unico ad avere un nome diverso dai genitori. Ero diverso. E alle elementari nessuno vuole essere diverso.

A 8 anni, papà e mamma si trasferirono a L. Angeles, e io andai a vivere con loro. Senza esagerazioni la scuola dove andai a L. A. era grande quanto il paese dove abitavo con i nonni. Detestavo quella nuova condizione. Bambini che parlavano spagnolo a scuola, noi che vivevamo nell’appartamento di una zia di papà, dove i bambini non erano ben accetti, per cui dovevo stare sempre buono.

Venivo da un posto dove potevo correre dappertutto, salire sugli alberi, conoscere le persone. Ora dovevo stare dentro l’appartamento o nel cortile del palazzo, facendo da bravo, non dando confidenza a nessuno e subendo continuamente rimproveri. Nella casa della zia Terrie non c’era posto per bambini. Venivo sempre sgridato perché facevo chiasso, o per paura che rompessi qualcosa. A scuola ero tiranneggiato da ragazzi venti cm più alti di me, in gruppo. Questo fu il mio incontro con le gang. Ero un ragazzo bianco di una cittadina dell’Oklahoma tra i messicani di Los Angeles. Prima di allora non avevo mai avuto paura di andare a scuola. Un giorno nel palazzo un parente mi molestò. Mi costrinse a … (omesso). Non lo dissi mai a nessuno. Pensavo di essere finito nei guai, e mi vergognavo. Non stemmo molto là e io tornai in Oklahoma dai nonni, ma c’era in me MOLTA rabbia per ciò che avevo vissuto. Negli anni successivi mamma e papà mi prendevano e mi portavano qua e là. Non stavamo in una casa più di qualche mese, o in una città più di un anno. Così frequentai diverse scuole e non ebbi mai amicizie durature. Questo fece montare in me molto risentimento.

Poi c’erano cose come il carattere di mamma. Mi sculacciava con una cintura e mi colpiva anche in altri modi. Mi dava schiaffi in faccia, mi “ammaccava la bocca” con il palmo della mano che mi faceva sbattere le labbra contro i denti. Faceva così per farmi smettere quando facevo il prepotente, rendendomi la bocca livida. Così riusciva a farmi star zitto. Mi colpiva la testa con cucchiai di legno, manici di coltello da macellaio, spazzole da capelli, tutto ciò che si trovava in mano. Sempre perché facevo qualcosa di sbagliato o mi agitavo mentre lei mi tagliava i capelli. SMACK! “Stai fermo accidenti!” Non sapevo mai perché venivo colpito, così imparai a stare molto attento con mamma. Camminavo in punta di piedi e la evitavo quando potevo. Cercavo di stare nella mia stanza il più possibile. La odiavo tanto quanto la amavo.

Così da teenager avevo MOLTA rabbia dentro. Qualche volta essa montava in me ed esplodeva. Andavo nella mia stanza e strappavo qualcosa o andavo fuori e prendevo a calci un albero finché mi facevo male. A tredici anni un nipote di papà, Steven, venne ad abitare con noi. Mi piaceva molto Steven. Aveva 18 anni e mi iniziò al Ninjutsu. Entrai nelle arti marziali e nelle pratiche Ninja, vedendo in Steven qualcosa che io desideravo. A papà piaceva. Steven era insensibile, rude, gli piaceva il mondo militare, e papa parlava con lui spesso. Papà non passò MAI del tempo solo con me. La volta che stemmo più tempo vicini fu quando mi disposi di aiutarlo ad aggiustare qualcosa intorno alla casa. Non avevo preso coscientemente questa decisione, ma guardando indietro mi accorgo oggi che volevo essere come Steven per piacere a papà.

Per questo motivo approfondii le mie conoscenze del mondo Ninjutsu. Ma ciò non mi fece ottenere quello che speravo. Finii ad abitare con mia zia Debbie e zio James per un periodo e James pensava che il Ninjutsu fosse una stupidaggine. Mi ridicolizzava, mi prendeva in giro e pensava che ero uno stupido a spendere soldi per lezioni di arti marziali. Rise quando seppe che il mio istruttore si era rotto una mascella in una rissa al bar. Tutto questo, più un nuovo cambio di scuola nel mezzo dell’anno scolastico, si sommarono alla mia rabbia. I libri che trovavo sul Ninjutsu dimostravano modi per uccidere le persone. Il Ninjutsu non è mai stata un’arte di sola difesa. Oggi si è evoluta in questo senso, ma originariamente I Ninja erano soldati la cui arte era l’assassinio. Nient’altro. I libri che stavo leggendo sul Ninjutsu parlavano molto di come uccidere le persone. C’erano fotografie che mostravano passo per passo con istruzioni come uccidere un uomo con un coltello, un bastone o a mani nude. Non c’erano dimostrazioni di autodifesa, ma modi di tendere imboscate e uccidere. Questa filosofia era lo Zen.

Quando il film First Blood uscì, andammo tutti a vederlo. Io, mamma, papa, e Steven. Steven e papà lo gradirono. Quando uscì Rambo, il romanzo, Steven lo comprò. Io lo lessi. John Rambo era un buddista. Scelse quella religione perché gli insegnava come uccidere senza soffrire di rimorsi di coscienza. Lo Zen nei libri di arti marziali insegnava le stesse cose. È una filosofia secondo la quale il “karma” governa la vita. È il karma di qualcuno morire ed è il karma di qualcun altro uccidere. Tutto qui. Papà aveva ucciso delle persone nel Vietnam. Essere capace di farlo e non provare fastidio per questo era un segno di forza per lui. Quando seppe che Martin Sheen aveva avuto un esaurimento nervoso facendo “Apocalypse Now”, disse, “il film non era nulla. Avrebbe dovuto essere là per davvero” e questo era il suo modo per dire che l’attore era debole. Volevo essere come mio padre e per quanto possa sembrare folle, ciò voleva dire avere la forza di uccidere. Non avevo intenzione di uccidere qualcuno, volevo solo avere la forza di farlo. Volevo essere come papa ed essere anch’io capace di alzare le spalle e dire,”Non è difficile uccidere”. Lo sentii dire queste parole a Steven, ed ero sicuro che lo aveva fatto davvero.

A 15 anni vivevamo in Colorado, dove mi trovavo molto bene. Mi ero arruolato nell’aviazione civile ed ero capo cadetto del mio squadrone. Papà era orgoglioso di me per quanto stavo facendo nell’aviazione. Avevo messo da parte le pratiche Ninja. Ma presto ci trasferimmo di nuovo. Implorai i miei di farmi restare. Niente da fare. tornammo in Oklahoma e tutto cambiò. Fu l’ultima goccia per me. Per la prima volta ero davvero, DAVVERO felice nel Colorado, ma era tutto finito. Qualcosa si ruppe in me e tutta la mia rabbia si trasformò in disprezzo. Per un po’ smisi di cercare di farmi nuovi amici a scuola. Lavoravo senza parlare con nessuno. Fu allora che cominciai a praticare l’occultismo. Incontrai una strega, imparai la magia nera, e mi interessai al Satanismo. Ero furioso con Dio. Non mi piaceva Dio per il modo in cui lo percepivo e il materiale che lessi sul satanismo diceva due cose che mi attraevano. 1° offriva libertà e 2° mi prometteva il potere di controllare la mia vita e quella degli altri. Ero stato trascinato qua e là per tutta la vita, schiaffeggiato, picchiato e ogni mia richiesta veniva ignorata. Ero furioso e l’idea di controllare la mia vita per ottenere quel che volevo era una manna per me. In più guardavo la vita di chi mi stava intorno e vedevo che gli insegnamenti letti sulla Bibbia satanica erano vissuti inconsapevolmente dai miei genitori e da tutti quelli che conoscevo. Nessuno era un vero cristiano. Non andavamo mai in Chiesa. Non abbiamo mai parlato di Dio. Mamma e papà imprecavano come se fossero stati per anni camionisti. Mamma mi comprò una scatola di preservativi quando avevo 13 anni, papà mi disse di usarli, rubavamo merce dal camion dove papà lavorava, ho visto mamma mentire in faccia alle persone per fare affari o vendere qualcosa, i miei zii insieme a papà e mamma fumavano erba, compravano pasticche. Come si può pretendere di servire Dio quando si vive da satanisti? Il satanismo mi insegnava che dovevo farmi io le regole per vivere la mia vita, e questo era esattamente ciò che facevano coloro che mi circondavano. Mi addentrai sempre di più nel satanismo. Pensavo che fosse un onesto modo di vivere e i riti satanici mi avrebbero presto messo in grado di controllare la mia vita. Allora non volevo uccidere nessuno. Questo desiderio sarebbe sopraggiunto più tardi.

Quando cominciai a praticare quei riti, mi trovai ad avere qualche problema. Da bambino sentivo delle voci in testa. Una delle ragioni per cui non parlai con nessuno delle molestie di Los Angeles fu che una di quelle voci mi diceva di non farlo. Quelle voci erano solo una parte del mio modo di pensare e non detti mai ad esse molta importanza. Ma quando cominciai quei riti quelle voci cambiarono. Cominciarono a sembrare diverse e come satanista decisi che erano demoni. I demoni erano esseri che facevano ciò che io volevo. Erano la chiave del potere che il satanismo mi prometteva, così non avevo paura di loro. Ma altri fatti cominciarono ad accadere. Ogni tanto avevo dei Black out di memoria, per cui non ricordavo ciò che stavo facendo. Mi sentivo anche molto vuoto dentro. E freddo. Quella rabbia divenuta disprezzo si stava trasformando in freddo odio verso mia madre in particolare e di riflesso verso mio padre.

Prima di continuare è importante che sappiate questo. Una volta provai ad uscire dal satanismo. Non mi piaceva ciò che stava accadendo dentro di me ed avevo paura. Chiamai un consulente spirituale in TV. Parlai con un prete cattolico. Andai ad un incontro cristiano di preghiera. Ma avevo “venduto l’anima” a Satana e pensavo di avere il destino segnato. Nessuno sapeva come aiutarmi, perché nessuno aveva esperienza in merito. Volevo davvero uscirne e quando scoprii che non potevo avevo due possibilità.

1° andare all’inferno come quei ipocriti che vivevano secondo i principi satanici ma non lo adoravano;

2° continuare ad adorare Satana e governare quegli ipocriti all’inferno. Cosi tornai all’occultismo. O Signore, come vorrei non averlo fatto!

Dopo ciò le cose peggiorarono. Ero molto confuso. Dissi a mamma che stavo diventando pazzo. Lo dissi ad un insegnante a scuola, la Sig.ra Noel che insegnava recitazione. Ne parlavo anche con il mio migliore amico, Richard Howard, con il quale cominciammo a trattare strani argomenti. Non so di preciso quando cominciò il tutto. Eravamo entrambi coinvolti nel satanismo e Richard sembrava il più entusiasta. Parlava di rapire la sua ex ragazza, di rapinare il suo capo (una donna) della borsa di denaro che portava in banca tutte le notti e di ucciderla. Stavo bene con lui. Mi divertivo a parlare di cose cattive tanto quanto si divertiva lui. Progettavamo furti, rapimenti e violenze, ma MAI con l’intento di portare veramente a termine questi atti. Dicevamo “non sarebbe divertente farlo?” e ci ridevamo su.

La volta che veramente ci avvicinammo a compiere ciò che progettavamo fu per la borsa del suo capo. Ci appostammo alla cassa continua dove si depositava la borsa col denaro. Osservammo attentamente e studiammo nei dettagli il piano. Richard voleva che fossi io a compiere materialmente la rapina perché praticando il Ninjutsu ero in grado di piombare d’improvviso sulla donna per rapinarla.

Fu durante una di queste conversazioni, dopo un rito satanico notturno nel cortile della casa di Richard, che decidemmo di uccidere Paul Bower. Vorrei potervi raccontare come arrivammo a questa decisione ma l’unico ricordo che ho di quella notte è della nebbia e di me e Richard che parlavamo. R. prese le armi. Il revolver 357 del padre, caricato con 5 proiettili che mi sembravano palline vuote, e il fucile del fratello.

Diverse volte avevamo parlato di uccidere il padre della sua ragazza, Al Hawks. Richard lo voleva morto perché una notte aveva picchiato Tracy ferendola al viso dopo averla scoperta al telefono con lui. Pensavo che quella notte avremmo ucciso Al, ma per qualche motivo avevamo deciso di uccidere prima Paul Bower. Non ricordo esattamente ma forse l’idea era che io andassi da solo ad uccidere Paul Bower e Richard Al Hawks, così che nessuno avrebbe potuto testimoniare dell’omicidio dell’altro.

Fu Richard a scegliere Paul Bower. Io non lo conoscevo nemmeno. Io dicevo che volevo sapere cosa si provava ad uccidere qualcuno. Lo avevo detto tante volte, ma non era questo il motivo per cui stavamo per uccidere quest’uomo.

Faceva il turno di notte in un remoto locale dove una volta Richard si fermò a chiacchierare a lungo, di ritorno da una visita a Tracy. Dopo ciò Richard pensava che Paul gli avrebbe venduto della birra (negli USA non è consentito vendere alcolici ai minorenni, n.d.t.). Così andammo là una volta insieme ma Mr. Bower rifiutò di darci birra e ciò rese Richard furioso. Questo lo qualificò come qualcuno che ci sarebbe piaciuto uccidere, così parlammo di lui in quella conversazione sugli omicidi. Quella notte decidemmo in qualche modo di farlo veramente. Sarebbe stata un’offerta a Satana per accreditarci ai suoi occhi.

Andammo al locale e Richard parlò con Mr. Bower per circa un’ora. Ordinammo bibite e chiacchierando gli chiedemmo se c’erano delle telecamere nel locale. Non era pericoloso? Qualcuno avrebbe potuto ucciderlo e derubarlo. Paul non era preoccupato. Non c’erano mai più di 50 $ in cassa, il resto veniva messo al sicuro. Nessuno lo avrebbe ucciso per così poco. Richard ed io ci lanciavamo sguardi divertiti. Pochi clienti entrarono e uscirono. Finalmente Paul uscì per vedere la frizione nella macchina di Richard (ne avevamo appena fatta mettere una nuova e Paul voleva vederla). Richard mi guardò e disse “adesso!”. Presi la pistola e li seguii all’interno del pub, ma raggelai prima di entrare. Giravo fuori dal locale. Non riuscivo a farlo, non potevo. Allora sentii la voce in me che mi diceva che ero un debole. Ero un codardo. Qualcosa scattò a quel punto nella mia mente. L’unico modo in cui posso descrivere quel che mi accadde è il seguente: un secondo prima pensavo che non potevo farlo e d’un tratto mi ritrovai freddo e determinato, senza cuore e malvagio. Girai attorno ritto in piedi, aprii la porta ed entrai.

Richard mi vide e tenendo qualcosa in mano chiese “quanto fa questo?” .Paul Bower stava prendendo un caffè. Avvicinò la tazza alla bocca, bevve, disse qualcosa e poggiò la tazza sotto il bancone.

Quando si alzò, sollevai la pistola fino al bancone, mirai alla testa e appena egli guardò verso di me sparai. Lo mancai. scappò e io sparai di nuovo. Cadde e lo mancai. Lo sentii urlare. Poi afferrò una giacca che usava quando entrava nella cella frigo e, tenendola in alto con entrambe le mani, cerco di ripararsi correndo avanti indietro al bancone. Vidi i suoi occhi terrorizzati oltre la giacca e sentii Richard che diceva “ora “. Io sparai, Paul Robert Bower cadde all’indietro. Il suo sangue si sparse da per tutto. Non si muoveva. Quando mi girai Richard stava cercando di aprire la cassa.” Andiamo via” gli gridai, ma non si mosse. Feci qualche passo e gli urlai di nuovo di andare via. Spalancò la porta e uscimmo di corsa. In macchina ridemmo dell’accaduto; un modo ancora peggiore del fatto in sé. Vorrei sempre omettere questa parte ma non lo farò. Non voglio permetterlo. Ridevamo dell’accaduto. Uccidemmo quell’uomo e sghignazzavamo come fosse stato uno scherzo. Non so perché, ma non andammo da Al Hawks subito dopo come avevamo pensato. Richard rimise apposto la pistola di suo padre.

Io avevo ucciso qualcuno. Qualche volta volevo dirlo a papà perché fosse orgoglioso della mia forza. Mi avrebbe visto come un forte e non come un debole. Ogni tanto mi dimenticavo di ciò che avevo fatto. Non vivevo nella consapevolezza di aver ucciso qualcuno. La maggior parte delle volte non mi accorgevo nemmeno di quanto era accaduto. Era ancora quella scintilla nella mia testa. La parte di me che non sapeva uccidere non sapeva di averlo fatto, poi BLINK! La parte di me che sapeva uccidere si ricordava tutto. Questo è il miglior modo per spiegare il mio stato d’animo. Quando ero “quella” persona, quell’assassino, mi sentivo superiore. Disprezzavo le persone con la segreta consapevolezza che avevo ucciso ed ero capace di uccidere anche loro. Quando non ero quella persona, ero un normale, confuso teen ager, che andava a scuola, lavorava, faceva scuola guida, ancora pieno di rabbia, che non vedeva l’ora di compiere 18 anni per andare via da casa.

La vita diventava sempre più stressante. Incontrai e mi innamorai di una ragazza di nome Angela. Mamma la odiava. La odiava davvero. Angela aveva abbandonato la scuola. Aveva 15 anni, fumava e penso che mamma vedesse in lei molto di sé stessa. Mamma rimase incinta di me a 15 anni. Sparlava sempre di Angela con me. La chiamava …, diceva di lei che era una poco di buono, una perdente e faceva di tutto per impedirmi di vederla.

Dopo una vivace discussione con Richard a casa, mentre papà e mamma si preparavano ad uscire con degli amici, mamma mi disse : “vuoi andartene? Fai pure, prendi i tuoi stracci e vai al diavolo”. Dopo che furono usciti fu esattamente ciò che io e Richard facemmo. Me ne andai. Ma quella notte papà venne al lavoro, prese le chiavi del mio furgoncino e mi disse di tornare a casa dopo il lavoro. Il giorno seguente fui costretto a tornare a casa. Mia madre voleva rispedirmi in California dal mio vero padre, Rick Sellers, ma papà non voleva. Così non andai. Facevo tutto ciò che mi veniva ordinato di fare.

Dopo questo episodio le cose peggiorarono ancora. Mamma continuava a sproloquiare su Angela, e una volta venimmo persino alle mani. Non era una vera e propria lotta. Mamma mi urlò come al solito, ma ora io ero molto più grande di lei, e semplicemente la spinsi. Nel mentre quei lampi nella mia mente diventavano più frequenti e peggioravano. Non potevo andar via. Decisi di uccidere mia madre. Comprai del veleno per topi e lo misi nel suo caffè, ma la cosa non funzionò neppure dopo che le servii tre tazze di quell’intruglio. Ma dopo ciò un nuovo LAMPO nella mia mente e tutto cambiò. Parlammo, ma io volevo solo partire. Non volevo ucciderla. Poi un nuovo lampo e stavo di nuovo progettando la sua morte.

Una notte avvertii di nuovo quel lampo ed io ero di nuovo diventato quel freddo assassino che aveva ucciso Robert Paul Bower. Andai nella stanza dei miei prima che loro vi entrassero e presi la pistola dal cassetto di fianco al letto. La misi in camera mia ed attesi che loro andassero a dormire. Papà mi disse che avremmo risistemato insieme il motore del mio furgoncino. Quando loro erano a letto, andai nella mia stanza, feci un rito, indossai solo le mie mutande nere, e mi introdussi nella loro camera. Non c’era altro che freddo odio in me. Sentivo qualcosa come “Sean ha bisogno di liberarsi e questo lo libererà. Non c’è altro modo”. Non era un pensiero consapevole, ma solo una sensazione. Era come se quello fosse il pretesto, la motivazione che giustificava ciò che stavo per fare. Non stavo commettendo un omicidio. Stavo solo rimuovendo un ostacolo dalla mia strada. Stavo abbattendo la porta della mia prigione. Provavo comunque solo una sensazione di freddezza.

Misi la pistola vicino alla testa di papà e sparai. Immediatamente sparai di nuovo alla testa di mamma. La sua testa di sollevò, il collo si tese all’indietro e io feci ancora fuoco. Lasciai la pistola per terra nel corridoio e andai nella mia stanza. Provavo un gran sollievo. Era come se un enorme peso mi fosse stato sollevato dalle spalle. Mi feci una doccia, poi i miei lampi ricominciarono. Così frequenti da non lasciarmi dei chiari ricordi. Finii a casa di Richard, dove ci mettemmo d’accordo su come fare per la polizia. Non era tutto finito. Un nuovo lampo e piansi lacrime sincere, un altro ancora ed ero pronto a ricominciare lo show.

Vivo da 12 anni nella consapevolezza e nel rimorso per quei 3 omicidi. Non è importante, ma dopo anni di lavoro il continuo susseguirsi di flash è cessato. Ricordo chiaramente tutto ciò che fecero le due parti di me. I momenti che non ricordo sono quelli in cui la frequenza dei lampi era troppo forte. Era come un interruttore che si accendeva e si spegneva. Flick, Flick, Flick, ON, Flick, Flick, Flick, OFF. Ricordo solo gli ON e gli OFF, ma non ricordo i momenti intermedi.

Vedo gli occhi di Robert Paul Bower pieni di panico. Immagino il terrore dei suoi ultimi momenti di vita e mi chiedo quanto tempo sia rimasto agonizzante. Era cosciente? Come ho potuto farlo?

Sento le parole di papà che mi diceva che avremmo aggiustato il motore del mio furgoncino. Lo avremmo fatto insieme! Finalmente potevamo fare qualcosa io e lui. Vedo le cene di Natale che non potremo mai festeggiare. Vedo mia madre con un nipotino in braccio.

Questi sono i fantasmi con i quali vivo. Mi odio per tutto ciò che ho fatto e sono diventato. Non provo solo dei rimorsi, sono perseguitato. Penso a tutti quelli a cui ho fatto del male, ai momenti che ho rubato, so che merito di morire. Non è giusto che io continui a vivere mentre queste 3 persone non possono farlo. Tutto ciò che posso offrirvi sono le risposte al perché l’ho fatto, è dirvi che la mia vita è distrutta da quando l’ho fatto. Non importa quanto vivrò o dove vivrò, ho distrutto la mia vita quando ho ucciso Paul, papà e mamma.

Vi chiedo perdono. So che non lo merito e che voi mi odierete sempre, ma vi prego, sappiate che sono profondamente dispiaciuto. Perdonatemi per il dolore che vi ho causato.

Da tutto ciò spero che capiate cos’è accaduto e perché, ma non cercherò nessun tipo di giustificazione o attenuante; non contano i motivi, non contano le spiegazioni, io sono l’unico responsabile delle mie azioni e do la colpa solo a me stesso. Non ho nemmeno scritto tutto questo per accusare Richard per la sua parte. Ero il solo ad avere la pistola in mano, e come andarono le cose è irrilevante. Ve l’ho raccontato cosi, nel modo più onesto che potevo.

Vi prego di credere che per quanto vivrò sarò perseguitato da rimorso per i crimini che ho commesso. Considero la morte una grazia maggiore di quanto merito per il modo in cui ho vissuto. Fino a quel giorno voglio che sappiate che trascorrerò la mia vita cercando di toccare il mondo in modo positivo, cercando di restituire ciò che vi ho tolto. Questo è tutto ciò che posso offrirvi con le mie mani e il mio cuore. È tutto ciò che ho.

Vi prego di perdonarmi.

SEAN SELLERS

N.D.T. ; Sean Sellers, dopo essere stato condannato per tre omicidi commessi all’età di 16 anni, è stato giustiziato con un’iniezione letale il 4 Febbraio 1999, nello stato dell’Oklahoma, USA.

La sua storia dimostra che non le esperienze negative influenzano il comportamento, ma che allo stesso tempo le nostre azioni sono il frutto di scelte deliberate. L’onestà con la quale Sean racconta la sua vita in questo scritto testimonia del cambiamento avvenuto in lui in seguito alla sua conversione a Gesù Cristo.

Il “satanismo inconsapevole”, vissuto da molte persone nella ns. società, deve far riflettere sulla necessità di una chiara scelta tra il vivere secondo Dio o secondo le regole che ognuno di noi si fa per giustificare le sue azioni




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