La libertà di tornare a casa | CONSAPEVOLI NELLA PAROLA

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giovedì 2 giugno 2011

La libertà di tornare a casa

umiltà


“Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:48).
“E, come figlioli d’ubbidienza, non vi conformate alle concupiscenze del tempo passato quand’eravate nell’ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta” (1 Pietro 1:14-15).

Dalla lettura di questi versetti potremmo intendere che per essere graditi a Dio bisogna essere perfetti, santi e immuni dal peccato. Soprattutto, chi ha avuto un’infanzia caratterizzata da una educazione piuttosto severa, basata sulla meritocrazia per essere degni di ricevere le attenzioni e l’approvazione dei genitori, o chi è cresciuto col senso di colpa per non essersi mai sentito all’altezza delle richieste del papà o della mamma, o chi non ha avuto la presenza continua e affettuosa  dei genitori perché impegnati in attività esterne alla casa e decisamente stressanti per cui non avevano né tempo, né energie per occuparsi dei figli, o chi è stato rinchiuso in collegio o, peggio ancora, è stato abbandonato in tenera età, tende ad entrare in una spirale di perfezionismo perché sospinto dall’ansia di essere approvato e, di conseguenza, amato da chi lo ha concepito e indirettamente anche da chi lo circonda ed entra in relazione con lui. La stessa cosa succede a molti  peccatori ravveduti nei confronti di Dio, il Padre celeste, che ci ha generati nello Spirito.

Bisogna quindi fare una netta distinzione tra “Perfezionismo” e “Ricerca della perfezione”. Il primo è un impulso prettamente carnale che porta l’interessato a cercare di liberarsi dall’ansia del rifiuto da parte di chi entra in contatto con lui con le proprie forze, mentre la seconda è il desiderio di raggiungere una meta ritenuta buona per la propria vita, utilizzando tutte le risorse che qualcun'altro gli offre. Riportando il tutto nel campo spirituale, il perfezionista vuole sentirsi gradito a Dio tramite i suoi sforzi umani, “Siete voi così insensati? Dopo aver cominciato con lo Spirito, volete ora raggiungere la perfezione con la carne?” (Galati 3:3), mentre colui che cerca la perfezione si appoggia interamente a Gesù Cristo “Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla” ( Giovanni 15:5).



Dio desidera che noi diventiamo simili a Cristo e tutti i suoi interventi nella nostra vita tendono a questo scopo. Vuole plasmare il nostro carattere fino al punto di farci rispecchiare l’animo di Gesù,  cioè fino al punto che il frutto dello Spirito diventi la nostra attitudine naturale: amore, allegrezza, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza (cfr. Galati 5:22). L’amore, poi, comprende altri aspetti come l’umiltà, la misericordia, la compassione, la sottomissione, il perdono, che Dio apprezza molto e che fanno parte di quel tesoro che Lui ci vuole offrire ma, soprattutto, incidere nei nostri cuori. Come si possono sviluppare queste virtù nella nostra vita? 
 
Gesù, nel discorso della montagna, ha detto: “Beati i poveri in ispirito, perché di loro è il regno de’ cieli” (Matteo 5:3) e Giovanni nella sua prima epistola dichiara: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:8-9). Quindi, solo chi vede le proprie debolezze e le confessa può sperare di esserne liberato e di vedere, come conseguenza, la santità di Gesù, lasciandosene governare. E’ quanto espresso anche dall’apostolo Paolo: “Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me (una scheggia nella carne); ed egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza. Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo io mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché quando son debole, allora sono forte” (2 Corinzi 12:8-10).


Consideriamo adesso un esempio tratto dalle Scritture: 


figliol prodigo

In Luca 15 ci viene presentato un giovane che, stanco di sottostare alle regole della casa del padre e voglioso di godere della vita gestendosela a suo piacimento, chiede la sua parte di eredità e lascia la famiglia per avventurarsi nel mondo. Si dà ad una vita dissoluta e nel giro di breve tempo sperpera tutta la sua fortuna. Trovandosi nel bisogno, pur di sopravvivere, accetta di pascolare dei porci. E’ profondamente umiliato, si disprezza e ripensa con nostalgia ai tempi in cui viveva nell’abbondanza e nel rispetto di se stesso a casa di suo padre. Capisce il grave errore che ha commesso ed è disposto a riconoscerlo pubblicamente chiedendo perdono. Ritorna verso casa e, consapevole di non poter più aspettarsi il riconoscimento di figlio, chiede il permesso di tornare con le mansioni di servo. Il suo pentimento è genuino, il padre lo percepisce, e  lo abbraccia come se nulla fosse successo organizzando una grande festa per la gioia di aver ritrovato un figlio creduto ormai morto.


Il giovane rimane stupito per l’accoglienza, sa di meritare una forte reprimenda, per quello che ha fatto, ed è cosciente che il padre potrebbe chiudergli la porta in faccia. Teme il rifiuto e invece viene abbracciato e baciato. Pensa, a ragione, di sentirsi odiato per quanto ha commesso e invece si sente amato, forse, per la prima volta in vita sua. E’, finalmente, cosciente  che è la sua persona che interessa al padre e non i risultati ottenuti, si sente amato per quello che è e non per quello che ha fatto o prodotto. Teme di essere spogliato, destituito dalla sua posizione di figlio e invece si vede rivestire con la veste più bella. Pensa di ricevere disprezzo e ingiurie e invece in suo onore viene ammazzato il vitello ingrassato, riservato alle grandi occasioni. Pensa di trovare volti corrucciati, sguardi sfuggenti ed esprimenti condanna, invece per il suo ritorno viene organizzata una grande festa. Si avvicina alla casa paterna con profonda insicurezza perché non sa come verrà accolto, ma poi si sente sicuro, capisce con certezza che il padre non lo rifiuterà, qualunque cosa possa succedere o lui possa compiere di sbagliato, purchè sia pentito e  capisca quanto è importante essere amati ma soprattutto amare.


Diventa, così, cosciente di cose che prima non percepiva, e cioè dell’amore del padre nei suoi confronti, del valore che egli rappresenta agli occhi del genitore, della sicurezza di non venire  lasciato a se stesso;  avverte il senso di protezione dalle insidie del mondo da parte delle mura domestiche. Percepisce anche una nuova visione del concetto di libertà. Infatti, poichè, è per sua scelta che è tornato dal padre, finalmente,  accetta le regole della casa perchè capisce che è lui ad aver  deciso di farlo  e non perchè  gli sono state imposte. Prima si vedeva in gabbia, limitato, frustrato nei suoi desideri, con un’unica meta nella mente: evadere da quella situazione. Adesso che sa che nessuno gli impone niente e che è lui che sceglie, finalmente, si sottomette spontaneamente e con gioia. Ha capito che la libertà non è dar libero sfogo ai propri istinti, alle proprie passioni, ma piuttosto quello svincolarsi dal potere che questi stessi esercitano sulla sua persona e, che in fondo, la schiavizzano. Ha compreso, inoltre,  il concetto di misericordia perchè essendo cosciente di non meritare alcun favore, ma di averlo avuto lo stesso,  è diventato capace di offrire questo bene prezioso anche al suo prossimo. La misericordia è una virtù essenziale per convivere con gli altri, per favorirne lo sviluppo della personalità e del senso di dignità, senza condannare, rifiutare, schiacciare, usare o ridicolizzare.


fariseo
 
Nella parabola compare anche un terzo personaggio: il fratello maggiore. Questi è l’esatto opposto del secondogenito, perché è sottomesso, ubbidiente, fedele, consacrato al servizio e ligio al dovere. Sembrerebbe il figlio ideale, infatti, ha sempre avuto un comportamento esemplare e irreprensibile, ha agito sempre in maniera semplicemente perfetta. Ma la sua è una perfezione formale, dettata  solo dal senso del dovere, basata quindi sulla legge e non sull’amore. Sia  Paolo: “Non abbiate altro debito con alcuno se non d’amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge…L’amore non fa male alcuno al prossimo; l’amore, quindi, è l’adempimento della legge” (Romani 13:8-10), che Giovanni: “Dio è amore; e chi dimora nell’amore dimora in Dio, e Dio dimora in lui” (1 Giovanni 4:16), ci dicono che la dimostrazione della nostra perfezione spirituale è  la manifestazione tangibile dell’amore
 
La perfezione legalista del fratello maggiore, invece, lo porta: 
vittima
 
1) a sentirsi vittima di un’ingiustizia. Vive, infatti, con il concetto della meritocrazia, cioè di avere dei  meriti per quanto ha  fatto. E’ più incentrato sul suo diritto che non sul datore della ricompensa;
2) a considerarsi buono, ma ad essere incapace di fare del bene. Il concetto della meritocrazia lo ha indurito e in lui manca totalmente il senso della misericordia per gli altri. Anzi, è la condanna che governa la sua mente e il suo cuore;
3) a pretendere, ma ad essere incapace di dare. Per il suo impegno e la sua serietà si aspetta approvazione e attenzioni. Pensa che gli altri debbano, per dirittto, accorgersi di lui, lodarlo e premiarlo, ma lui non vede gli altri se non per quello che hanno prodotto o realizzato e ne prova anche invidia;
4) ad essere geloso e a non percepire la compassione. Non sente il dolore del fratello e non realizza il suo dramma vissuto, ma in sè stesso alimenta solo rabbia, perché non vede valorizzata la sua persona, le sue prestazioni e i suoi sacrifici;
5) a non percepire la riconoscenza, pensando che tutto gli sia dovuto.


Il peccato ha permesso al figlio minore, nella suo umiliarsi riconoscendo i suoi errori, di conoscere veramente il grande cuore del padre e di entrare in una relazione più intima con lui, mentre il legalismo del primogenito ha prodotto solo freddezza e distacco nel rapporto col genitore e il fratello. Lo sbaglio riconosciuto del primo figlio non solo non ha chiuso l’accesso al trono della grazia, ma ha aperto le cataratte del Cielo per una benedizione abbondante. 
Tutto ciò non vuol dire, di certo,  che dobbiamo, volontariamente, lasciare che la carne ci domini a ci allontani progressivamente di Dio, perché “ciò a cui la carne ha l’animo è inimicizia contro Dio” (Romani 8:7), ma che non dobbiamo neanche temere, continuamente,  di sbagliare, paventando di continuo un possibile rifiuto da parte del nostro Padre celeste per non riuscire a  soddisfare appieno alle sue richieste.

Conclusione


Se, quindi, ti senti lontano da Dio perchè hai sbagliato peccando e, stai sempre più allontanandoti da Lui, credendo, ormai, di non poter più essere perdonato, vai tranquillamente ai Sui piedi e aprigli il tuo cuore, il perdono, se sei sinceramente pentito, non tarderà. Molte volte il non volere ascoltare Dio è soltanto il sintomo di un male più profondo e lacerante: la nostra mancanza di umiltà di riconoscerci imperfetti. E se, invece,  ti senti ingiustamente punito da Dio con delle prove troppo forti, anche se dentro di te pensi di non meritarle, ricordati che, se qualcuno ama davvero un'altra persona, cerca sempre di migliorarla, ulteriormente, affinchè non abbia a cadere in tranelli o difficoltà che possano abbatterla: pensa per un attimo ad un allenatore, che pur sapendo che i suoi giocatori, sono bravi, di fronte alle partite importanti cerca  di farli allenare ancora di più, affinchè non perdano la partita per mancanza di fiato o di poco allenamento. 
Ancora oggi il Signore è alla ricerca di uomini e donne che siano disposti a dare tutto sé stessi a Lui in umiltà e amore, affinché l'Evangelo, che è giunto fino a noi, possa continuare a brillare tra le genti, fino al  ritorno di Cristo Gesù il  Nostro Signore. 
 
 

“Qual è il figliolo che il Padre non corregga?…Egli lo fa per l’util nostro, affinché siamo partecipi della sua santità. Or ogni disciplina sembra, è vero, per il presente non esser causa d’allegrezza, ma di tristizia; però rende poi un pacifico frutto di giustizia a quelli che sono stati per essa esercitati.”
(Ebrei 12:7,10-11)


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