Il mondo d'oggi è un tempo di grandi viaggi e spostamenti: per lavoro,
vacanza, studio ecc. Un tempo, raccontano gli anziani, in Bregaglia gran parte
della gente viveva per tutta la vita nell'ambito di una trentina di chilometri,
ma anche qui ci sono sempre state persone che hanno viaggiato molto emigrando
in condizioni estremamente più difficili delle nostre.
Ho letto recentemente un breve articolo di riflessione sul
significato e sui valori del viaggiare, un articolo che vorrei proporvi per
intero quest'oggi. Dopodiché vorrei, sulla scorta della Parola di Dio, che noi
imparassimo a vedere la nostra stessa vita come un viaggio, e questo mondo come
un luogo di transito verso lidi migliori, quelli a cui Dio, nella Sua grazia,
ci chiama. Applicheremo così i valori e le scoperte di chi viaggia in questo
mondo all'atteggiamento che noi dovremmo avere nella vita nel suo complesso,
intesa appunto come viaggio.
L'articolo
Ascoltate così che cosa dice l'autore di questo articolo:
"Il viaggio è una forza positiva attraverso cui l'individuo
costruisce sé stesso, la sua identità e, nello stesso tempo, nuovi rapporti
umani. La storia dell'Occidente è il risultato dei contatti, delle lotte, degli
scambi, delle nuove relazioni nate dai viaggi. Ma se si scava a fondo, ci si
accorge che la capacità creativa del viaggio, l'arricchimento nascono,
paradossalmente, da una perdita, da una sofferenza.
Lo vediamo con chiarezza nei viaggi mitici di Ulisse o di Gilgamesh.
Ulisse è costretto ad errare, perde il bottino, i compagni, diventa
"nessuno". Gilgamesh, chiamato dal Dio, lascia la sua reggia, giunge
fino ai confini del mondo, ma non può riportare né l'immortalità né la
giovinezza. Nel medioevo il cavaliere errante lascia la corte e si addentra da
solo nelle foreste misteriose dove lo attendono mostri e giganti, sofferenza e
paura.
Per produrre valore, crescita, il viaggio richiede un radicale
distacco da ogni cosa rassicurante, dalla propria casa, dalla certezza
delle relazioni note, quotidiane. Richiede di perdere la propria identità
sociale, di smarrire, diventando "nessuno" e poi ritrovarsi,
rinascere diverso, migliore. Il viaggio, nella nostra tradizione, è quindi una
ricerca della propria identità più vera lasciando quella superficiale,
inautentica. Una purificazione dei propri vizi, dell'orgoglio, delle debolezze,
dei pregiudizi, per arrivare ai valori profondi e conoscere il mondo con
oggettività.
I viaggi organizzati, le vacanze della nostra epoca, sono molto lontani
da questo ideale. C'è lo spostamento fisico, ma il rischio, il disagio, il
contatto con la diversità e lo sradicamento, vengono ridotti al minimo. Nei
villaggi vacanze la gente finisce per trovare la sua civiltà, i suoi comfort.
La scoperta diventa visita guidata, la competizione sport.
Il significato ideale del viaggio oggi si realizza in altri modi. Uno è
emigrare, andare a lavorare lontano. Gli extra-comunitari, i dirigenti delle
multinazionali che vengono da noi, i nostri lavoratori che vengono inviati
dalle loro imprese in tutti i paesi del mondo, sono costretti a sradicarsi
dalle proprie abitudini, ad imparare la lingua degli altri, ad inventare nuovi
rapporti con loro.
Ma c'è un altro tipo di viaggio, quello compiuto non solo nello spazio,
ma anche nella conoscenza. Sto pensando agli studiosi, ai manager che vanno a
compiere un lungo periodo di studio all'estero, in un'importante università.
Lasciano i loro privilegi, il loro status, la loro sicurezza, per ritornare sui
banchi come quando erano bambini. Anche questo è un esercizio di purificazione
e di umiltà. L'occasione non solo per apprendere, ma per ripensare, per
guardare di nuovo a distanza, sottratti dalla propria presunzione.
E' strano, ma la vera efficacia del viaggio non dipende dalla diversità
che incontriamo, ma dall'estraniazione dal nostro io abituale. Ciò che conta
non è tanto vedere cose nuove, quanto riuscire ad imparare a vedere con occhio
diverso ogni cosa. E per arrivare a tanto bisogna diventare di nuovo
bambini, dimenticare il nostro io ipertrofico, goloso di riconoscimenti
sociali. Il momento più vero del viaggio è perciò, paradossalmente, la
solitudine" (F. Alberoni). Fin qui il nostro articolo.
Il testo biblico
"Per fede Abrahamo, quando fu chiamato, ubbidì per andarsene verso
il luogo che doveva ricevere in eredità; e partì, non sapendo dove andava. Per
fede Abrahamo dimorò nella terra promessa, come in paese straniero, abitando in
tende con Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché
aspettava la città che ha i fondamenti, il cui architetto e costruttore è Dio
... Tutti costoro sono morti nella fede, senza avere ricevuto le cose promesse
ma, vedutele da lontano, essi ne furono persuasi e le accolsero con gioia, confessando
di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Coloro infatti che dicono
tali cose dimostrano che cercano una patria. E se avessero veramente avuto in
mente quella da cui erano usciti, avrebbero avuto il tempo per ritornarvi. Ma
ora ne desiderano una migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si
vergogna di essere chiamato il loro Dio, perché ha preparato loro una
città" (Eb. 11:8-16).
Limitate prospettive
E' però questo il tutto? Sarà un viaggio si, ma senza prospettiva, come una
giostra -che può essere per altro molto bella, ma che gira sempre su sé stessa
e che termina di girare quando viene staccata la corrente... E' questo che
intendiamo quando parliamo della vita come di un viaggio? No.
Ampliare gli orizzonti
E' solo Abramo, e quelli come lui accolgono la vocazione di Dio, che
veramente partono per un viaggio che possa dirsi degno di questo nome. Lasciano
le sicurezze illusorie di questo mondo, lasciano la loro "patria", e
con fede si incamminano verso un'altra patria; ne desiderano una migliore, la
terra promessa loro, quella celeste noi. Non considerano più la terra che
abbandonano loro, e questo mondo noi, come tutto ciò che essi possono avere in
sorte, né la morte come unico e solo loro traguardo. I beni di questo mondo per
loro sono relativi e guardano verso qualcosa di meglio che, secondo le promesse
di Dio, stà al di là di questa nostra dimensione. Per il popolo che Dio chiama
ad appartenergli in modo speciale, questo mondo non è più loro patria, ora si
considerano come stranieri e di passaggio su questa terra. E tutto allora
assume una prospettiva diversa.
1. Identità
E' soltanto in seguito alla vocazione di Dio alla
quale rispondono e mettendosi in viaggio che essi escono dalla massa anonima di
questo mondo ritrovando la loro vera identità e nello stesso tempo nuovirapporti umani. Lasciare le proprie sicurezze terrene è un salto nel buio, ma
facendo con fiducia questo "salto" cadono fra le braccia paterne di
Dio e scoprono tutta la forza positiva e costruttiva della fede.
2. Dimore temporanee
Considerate la condizione del popolo di
Dio, la loro attuale dimora. Mentre sono nel mondo essi si sentono come in
terra straniera, lontani da casa. La loro abitazione è come una casa presa in
affitto, qualcosa non di loro proprietà, come stare temporaneamente in un
albergo durante il viaggio verso casa. Non sorprendetevi se vi accorgete che il
loro cuore non è nelle cose di quaggiù: essi non sono di quaggiù. Certo sulle
prime, quando odono la chiamata di Dio potranno anche dispiacersi di lasciare
le cose di quaggiù, ma sempre la capacità creativa del viaggio nasce da una
perdita, da una sofferenza. Abitando qui solo provvisoriamente, non
"comprano" troppe cose in questo mondo, perché diventerebbero un
fardello troppo grave per il loro viaggio. Essi posseggono più in speranza che
di fatto. Il loro tesoro, corona e gloria è a casa, la casa del loro Padre.
Fintanto che non vi giungeranno, saranno stranieri dovunque.
3. Usanze estranee
Per il popolo di Dio il mondo è paese straniero,
e la gente di questo mondo per loro è gente che parla una lingua straniera, che
ha strane usanze, strane leggi, molto diverse da quelle della loro patria
celeste. Non sorprendetevi perciò che non amino e non seguino gli usi e i
costumi di questo mondo. Aspirano a ben altro, e già lo stanno pregustando:
hanno prestato ascolto a Colui che ha detto: "Gustate e vedete quanto
il Signore sia buono" e "Tu mi hai messo più gioia nel cuore di
quanto ne provano essi, quando il loro grano e il loro mosto abbondano" (Sl.
4:7) "c'è abbondanza di gioia alla tua presenza; alla tua destra vi
sono delizie in eterno" (Sl. 16:11).
4. Odio del mondo
Non appartenendo a questo mondo, non sorprendetevi
che il mondo non li ami, né che essi non amino questo paese. Viaggiano verso un
altro paese, quello che considerano veramente casa loro, un paese migliore, un
paese celeste, quella città che è stata preparata per loro, il cui architetto e
costruttore è Dio. E' proprio per questo che spesso il popolo di Dio qui
subisce molti abusi. Disse Gesù: "Se il mondo vi odia, sappiate che ha
odiato me prima di voi. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma
poiché non siete del mondo, ma io vî ho scelti dal mondo, perciò il mondo vi
odia" (Gv. 15:18,19). In questo paese straniero incontrano solo pochi
amici, e molti che fanno loro del male. Le loro usanze lingua, pratiche, è
quella del loro paese celeste, e sono contrarie a quelle di questo mondo e non
vengono comprese, anzi, qui incontrano solo opposizione, derisione, rimproveri,
odio.
5. I loro cari
Il loro soggiorno sulla terra è breve. Non dimorano
che in tende, dimore mobili, che possono essere facilmente e rapidamente
spostate. Non hanno alcuna dimora che abbia fondamenta e che sia durevole
finché non saranno a casa. Considerate poi le persone alle quali sono più
attaccati. Amano stare in compagnia di coloro che hanno gli stessi loro
sentimenti, quelli che chiamano fratelli e sorelle in fede, coloro che sono
come loro in cammino, non coloro che amano stare in questo mondo."Tutta
la mia affezione è riposta negli uomini santi ed onorevoli che sono sulla
terra" (Sl. 16:3). I loro parenti più cari, in effetti, sono in un
altro paese. Il loro Padre, il loro Sposo, il loro Fratello maggiore, il loro
più caro Amico, il loro Consolatore, e la più gran parte dei loro fratelli e
sorelle sono in cielo.
Conseguenze
La prospettiva della vita cristiana come viaggio verso "una patria
migliore" comporta notevoli conseguenze. Prima di tutto essa è:
1. Riprensione
E' una forte riprensione verso coloro che professano
di essere popolo di Dio, ma non vivono come Suo popolo; vivono sulla terra come
se questa fosse loro dimora stabile e si preoccupano del cielo tanto poco come
se si trattasse di terra straniera; i loro affetti, pensieri, interessi sono
così concentrati sulla terra e le cose della terra come se il mondo fosse tutta
la casa che essi si aspettano. Invece di essere stranieri per il mondo, sono
essi stessi stranieri ai pensieri, interessi e ambizioni celesti. Si affaticano
per accumulare tesori sulla terra, e ad essi vi avvolgono cuore ed anima. Non
amano la parola di Dio, il culto, la preghiera, la comunione con i fratelli in
fede... Fanno essi veramente parte del popolo di Dio?
2. Esortazione al popolo di Dio
Voi però che sapete d'essere
stranieri e pellegrini dovete veramente mostrare di essere tali. Vi aspettate
di morire nella fede, vivete allora in modo da poter morire così. Questo testo
ci esorta a:
(1) Non avere troppa familiarità col mondo. I piaceri e gli interessi
carnali che gli sono propri non ci debbono interessare più di quel tanto
sapendo quanto transitori siano. Il nostro articolista diceva: "Per
produrre valore, crescita, il viaggio richiede un radicale distacco da ogni
cosa falsamente rassicurante, dalla propria casa, dalla certezza delle
relazioni note, quotidiane. Richiede di perdere la propria identità sociale, di
smarrire, diventando "nessuno" e poi ritrovarsi, rinascere diverso,
migliore".
(2) Ad avere coscienza e a non amareggiarci quando siamo nella
sofferenza, sotto gli affronti, rimproveri, ferite che il mondo ci infligge. E'
proprio quello che di solito vien fatto agli stranieri. Non aspettiamoci
rivalsa che se non quando saremo a casa.
(3) Accontentarci delle cose di cui già godiamo. Anche se sembra
poco, è già abbastanza per uno straniero. Di più per noi sarebbe un fardello,
ed i viaggiatori dovrebbero evitare di aver troppa roba al seguito.
(4) A non dare attenzione esclusiva a nulla che sia di quaggiù.
Ricordiamo che mentre siamo sulla terra è solo come stare in un albergo.
Consideriamo le cose di questa terra come transitorie; usiamole, ma come se non
le usassimo.
(5) Ad affrettarci verso casa deponendo gli inutili fardelli delle
cure mondane, progetti, concupiscenze carnali, e i pesi che così facilmente ci
turbano. Affrettiamoci ricordando dove stiamo andando ed a chi. Nostro Padre ci
aspetta; lo Sposo non vede l'ora che veniamo, affinché possa per sempre
rallegrarsi di noi.
(6) A non avere troppa paura della morte. Non è che un sonno.
Conclusione
La vita moderna dunque è all'insegna dei grandi viaggi e dei grandi
spostamenti, all'insegna della mobilità: ma sarà sempre un girare a vuoto per
poi finire nel nulla, nella morte. Attraverso la Sua Parola, però, Iddio ci
vuole chiamare ad un altro viaggio, viaggio in un'altra dimensione, ad un'altra
"patria", a vedere le cose da un altro punto di vista. Se il primo
porta ad un vicolo cieco, spostarci al livello della spiritualità ci apre a
nuove e rinnovate prospettive, a nuovi e rinnovati obiettivi, quelli a cui noi,
come creature umane, eravamo destinate fin dall'inizio. Quando di fronte alle
incertezze della vita esclamiamo per consolarci: "Siamo solo di
passaggio", intendiamolo veramente. Siamo chiamati a ben altro che alle vanità
di questo mondo per terminare solo nella polvere, ma ad un destino eterno come
discepoli del Salvatore e Signore Gesù Cristo. Potremo allora apprezzare
veramente quanto dice l'articolo che abbiamo citato all'inizio: "Il
viaggio è una forza positiva attraverso cui l'individuo costruisce sé
stesso, la sua identità e, nello stesso tempo, nuovi rapporti umani",
e sarà tale per noi solo se lo affronteremo consapevolmente nella dimensione
dello Spirito.
di Paolo Castellina
"Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dalle carnali concupiscenze che danno l'assalto contro l'anima."
(1 Pietro 2:11)
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