“Non colui che denigra se stesso è umile, ma colui che riceve con gioia le ingiurie, gli affronti e le critiche del prossimo”
Un termine impopolare
"... E tutti rivestitevi di
umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia
agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché Egli
vi innalzi a suo tempo; gettando su di Lui ogni vostra preoccupazione, perché
Egli ha cura di voi" (1 Pietro
5:5-7)
Quando ad un grande santo venne chiesto
quale secondo lui fosse la più importante virtù cristiana, egli rispose: l’umiltà.
E la seconda? L’umiltà. E la terza? L’umiltà.
Siate umili... umiliatevi... umiltà: non
esiste oggi virtù che sia più impopolare di questa. Un moto di orrore e di
incredulità aveva colto una persona che conoscevo quando aveva udito le parole
di un canto cristiano che dicono: "Umilia te stesso davanti a Dio".
Nella nostra cultura moderna, infatti, umiliarsi è soltanto un concetto
negativo, del tutto riprovevole e persino patologico! Com’è possibile, si
osserva stupefatti, che l’umiliazione possa essere un atteggiamento positivo e
lodevole? In un’epoca come la nostra, infatti, in cui si mette così tanto in
evidenza la grandezza, la nobiltà, la dignità dell’essere umano, dove il valore
più importante è l’affermazione di sé stessi, avere un alto concetto di sé
stessi, non piegarsi di fronte a niente e a nessuno, "non lasciarsi
calpestare", umiliarsi volontariamente è considerato qualcosa di
aberrante. Si dice: "ha dovuto subire tante umiliazioni", oppure
"non tollero umiliazioni di sorta". Da molti persino l’atteggiamento
tipico della religione, cioè la preghiera e il senso di dipendenza da Dio, è
visto come "umiliante", cioè qualcosa che degrada e che è lesivo
della propria dignità. Non per nulla molti "si vergognano" a dare
intendere di essere "religiosi".
Un semplice vocabolario della lingua
italiana, però, dimostra, al contrario, che "umiliarsi" può essere
qualcosa di molto sobrio ed onesto da parte nostra... Umiliarsi, secondo il
vocabolario, significa infatti: "dichiarare apertamente i propri limiti,
la propria inferiorità, i propri difetti; fare atto di sottomissione". Non
volersi umiliare significa di fatto credere di essere onnipotenti, di potere
agire senza limite alcuno, di essere superiori agli altri, di essere un
"Dio in terra" che non deve sottomissione a niente ed a nessuno... in
una parola, di essere degli intollerabili presuntuosi!
Andiamo avanti nella nostra ricerca su un
semplice e comune vocabolario. L’aggettivo umile deriva dal latino humilis,
che a sua volta proviene da humus cioè "terra",
propriamente di chi è "terra terra". Questo aggettivo si riferisce a
persona che, consapevole dei propri limiti, non si inorgoglisce né aspira a
riconoscimenti, a lodi, a onori non dovuti; persona che di buon grado si
sottomette all’autorità o al volere di chi oggettivamente gli è superiore. La
persona umile è immune da ogni sentimento di orgoglio, è remissiva, sottomessa,
pronta ad ubbidire a ciò che è giusto.
Umiliarsi significa così forse:
degradarsi, ledere la propria dignità? Non necessariamente. Umiliarsi significa
vedersi quali effettivamente noi siamo, ammettere onestamente i propri limiti,
riconoscere un’autorità legittima al di sopra di noi e sottomettersi volentieri
ad essa.
Il termine originale
La stessa "allergia" moderna all’umiltà
la troviamo nel significato originale del termine greco usato dal nostro testo.
Quando, infatti, la Parola di Dio, nel nostro testo ci esorta a rivestirci di
umiltà gli uni verso gli altri e ad umiliarsi davanti a Dio, essa usa una
famiglia di vocaboli collegati a tapeinós, da cui deriva il termine
italiano "tapino", un termine letterario che designa chi è misero ed
infelice, oppresso da continue tribolazioni, disgraziato, meschino, sventurato.
Tapeinós significa: essere situato in basso, socialmente in
basso, povero, privo di potere e di posizione sociale, impotente,
insignificante, servile, non libero, e persino scoraggiato ed abbattuto. Il
verbo derivato presenta le accezioni di: abbassare, livellare, danneggiare,
rendere inferiore in senso sociale, politico ed economico, indurre ad
ubbidienza, a modestia, sottomettersi ad un ordinamento. Umile, secondo il
pensiero greco è chi è ...pusillanime, debole e servile.
Un appello al realismo
Scopriamo dunque come quella che abbiamo
definito come "allergia all’umiltà", non sia tanto un pensiero
"moderno", ma una costante del carattere umano, dell’uomo che
orgogliosamente si ritiene "signore e padrone" della propria vita,
"Dio e legge a sé stesso".
Nel mondo greco, caratterizzato da una
visione antropocentrica dell’uomo (dove cioè l’uomo è al centro di ogni cosa e
dove pure le divinità non sono che proiezioni della natura umana), l’inferiorità
è una vergogna da evitare, qualcosa che va superato, sia nel pensiero che nell’azione.
Nella Bibbia, però, caratterizzata da un’immagine teocentrica dell’uomo (cioè
che mette Dio al centro di ogni cosa, e non l’uomo), i termini riguardanti l’umiltà
servono prevalentemente a designare il fatto per il quale l’uomo è indotto ad
un adeguato rapporto con Dio e anche ad un adeguato e corretto rapporto con i
suoi simili.
Quando la Parola di Dio, nel nostro testo
ci esorta a rivestirci di umiltà gli uni verso gli altri e ad umiliarci davanti
a Dio, e quando davanti a queste esortazioni sorge naturale la nostra
ribellione e "scandalo" si rivela così la radicale
contrapposizione fra due modi di vedere le cose, tra due "sovranità":
la pretesa sovranità e grandezza dell’essere umano che vuole essere Dio a sé
stesso e la legittima sovranità di Dio alla quale noi dobbiamo essere
sottomessi in quanto siamo solo creature da Lui in tutto e per tutto
dipendenti.
L’appello ad umiliarsi diventa così una
denuncia senza compromessi della colpevole arroganza umana, esortazione ad
avere un concetto sobrio, realista ed autentico di chi siamo, un’intimazione al
ravvedimento. Per questo l’apostolo Paolo, nel riassumere il succo della sua
missione, dice: "ho avvertito solennemente Giudei e Greci di ravvedersi
davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo" (At.
20:21).
L’apostolo Giacomo similmente esorta: "Sottomettetevi
dunque a Dio... avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi. Pulite le
vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo! ...
Umiliatevi davanti al Signore, ed egli vi innalzerà" (Gm. 4:7-10).
Le caratteristiche dell’umiltà
Sebbene l’orgoglio sia un peccato, l’umiltà,
il suo opposto, non è tanto una virtù, ma una grazia, grazia che solo un
rapporto autentico con Dio ci può conferire. Esaminiamo però quali siano le
caratteristiche dell’umiltà a cui Dio ci chiama.
1. Coscienza dell’essere dipendenti
Se da una parte l’orgoglio, l’alterigia, l’arroganza,
la presunzione, è quel sentimento che procede da un’eccessiva stima di sé
stessi o poca o nessuna degli altri, l’umiltà consiste nell’avere una
concezione realista di noi stessi, una concezione che corrisponda alla
realtà dei fatti, come Dio ce l’ha rivelata. Si può dire così che l’orgoglio
sia figlio dell’ignoranza o della cieca illusione e che l’umiltà sia frutto
della conoscenza. L’orgoglio viene generato quando si crede ad una
menzogna, come quella che si illude che l’uomo sia grande, libero,
indipendente... l’altra è il sentimento prodotto dall’avere accolto la verità,
la verità su noi stessi e la verità su Dio, quella che autorevolmente ci viene
rivelata dalla Bibbia. L’umiltà può essere riferita sia al nostro rapporto con
Dio che al nostro rapporto con gli altri: non si tratta però di due virtù,
ma della stessa valutazione corretta della realtà dei fatti che ci porta a
rapportarci in modo sobrio sia con Dio che con il nostro prossimo. L’umiltà consiste
in un debito senso di dipendenza, l’orgoglio può solo esistere nel
fantasticare una nostra presunta indipendenza.
Noi siamo esseri totalmente dipendenti. Ogni cosa che siamo ed abbiamo deriva da Dio: "Difatti,
in lui viviamo, ci muoviamo, e siamo" (At. 17:28) dice la Scrittura.
Se siamo umili, sarà per noi un pensiero consolante e non minaccioso il fatto
che Dio abbia controllo illimitato su di noi, che a Lui dobbiamo tutto, e che
indiscutibilmente Egli abbia diritto a condurre la nostra vita secondo il
beneplacito della Sua volontà. Nell’adempimento dei suoi doveri, nella
prosperità come nell’avversità, quando la vita le infonde un senso di
insicurezza ed incertezza, o quando fa i suoi piani per il futuro, la persona
umile non si affida al suo discernimento, né sulla sua forza, ma piuttosto
confida nel Signore con tutto il suo cuore, Lo riconosce in tutte le sue vie e
guarda a Lui affinché guidi ogni suo passo. L’apostolo Giacomo scrive:
"E
ora a voi che dite: Oggi o domani andremo nella tal città, vi staremo un anno,
trafficheremo e guadagneremo, mentre non sapete quel che succederà domani! Che
cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi
svanisce. Dovreste dire: Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro.
Invece voi vi vantate con la vostra arroganza. Un tale vanto è cattivo"
(Gm. 4:13-16).
Siamo però anche dipendenti, in modo
subordinato, da tutte le altre creature. La società umana è un complesso
ordinato di rapporti, c’è una stretta connessione fra tutte le sue parti, ed
una costante dipendenza dell’una dall’altra. Umiltà è non disprezzare il
contributo nemmeno di colui che riteniamo più insignificante. Nessuno può dire:
"Io non ho bisogno di te, sono sufficiente a me stesso". Il Signore
dice in Apocalisse ad una chiesa orgogliosa della propria
"autonomia":
"Sono ricco, mi sono arricchito, e non ho bisogno di niente! Tu
non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e
nudo" (Ap.
3:17).
Quelli di grado più alto non possono fare
a meno di quelli di grado più basso, e questi ultimi sono ugualmente dipendenti
dai primi. Per questo il nostro testo dice: "Così anche voi, giovani,
siate sottomessi agli anziani". Guai a pensare di non aver bisogno
degli altri!
2. Coscienza della nostra importanza relativa
L’umiltà consiste in una
valutazione appropriata della nostra importanza relativa. Rispetto a Dio, noi
siamo nulla davanti a Lui; Egli è l’Altissimo e l’Eccelso che dimora nell’eternità;
da sempre e per sempre Egli è Dio; Egli è illimitato in potenza, infinito nelle
Sue perfezioni. E noi, chi pretendiamo di essere?
L’umiltà verso gli altri consiste in una
debita valutazione della nostra importanza relativa, non solo dell’uno verso l’altro,
ma davanti a Dio stesso.
Quante distinzioni facciamo in seno all’umanità!
Diciamo "I bianchi sono i migliori, quelli del nord sono migliori di
quelli del sud... quelli là sono ...una sottospecie umana!" Dice la Scrittura: "Egli ha tratto da uno solo tutte
le nazioni degli uomini" (At. 17:26). La Scrittura dice pure: "Non
fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà,
stimi gli altri superiori a sé stesso" (Fl. 2:3).
Quando contempliamo la massa dell’umanità e
gli immensi valori morali e spirituali in essa nascosti, che cosa pensiamo di
essere agli occhi di Dio, il quale non fa distinzione di persone? L’umiltà non
metterà valore decisivo alle distinzioni che facciamo sulla terra; sarà gentile
e cortese verso tutti, e soprattutto di fronte alle sofferenze ed alle miserie
che contempliamo in altri. Umiltà sarà pure rendere a ciascuno il
dovuto: "Rendete a ciascuno il dovuto: l’imposta a chi è dovuta l’imposta,
la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore; l’onore a chi l’onore"
(Ro. 13:7).
L’umiltà è ciò che meglio di ogni altra
cosa preserva la pace e l’ordine, e di conseguenza l’orgoglio è ciò che più di
ogni altra cosa può disturbarla. Dice l’apostolo Giacomo:
"Da dove vengono le guerre e le contese fra di voi? Non derivano
forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? Voi bramate e non
avete; voi uccidete ed invidiate e non potete ottenere..." (Gm. 3:1,2).
3. Coscienza di sapere solo in modo limitato
L’umiltà consiste un una sobria valutazione di ciò
che di fatto noi conosciamo. "Non vi stimate saggi da voi stessi" (Ro.
12:16) dice l’Apostolo. Quante volte ci vantiamo di sapere tutto e meglio degli
altri! La persona umile dice: "Io so di non sapere". Quante volte ci
ostiniamo a pretendere di saperla più lunga di tutti gli altri! Umiltà è
disponibilità ad ascoltare e ad imparare, "Esaminate ogni cosa e
ritenete il bene" (1 Ts. 5:21), dice la Scrittura.
A volte riteniamo che la scienza sia
onnipotente, che sappia e possa conoscere ogni cosa, che abbia ogni risposta
indipendentemente da Dio. L’arroganza dell’approccio scientifico che disprezza
la religione e non ne vuole nemmeno tenere conto, non è qualità del vero
scienziato. Lo scienziato è cosciente di conoscere solo un’infinitesima parte
del reale. Il fisico Tullio Regge scrive nel suo libro "Infinito":
"Noi
ci troviamo più o meno nella situazione di chi cerca di ricostruire cos’è
avvenuto negli ultimi anni in una certa stanza, avendo a disposizione solo
poche fotografie riprese dal buco della serratura lungo un intervallo di pochi
secondi... Da cambiamenti quasi impercettibili nella posizione e nell’aspetto
di cose o persone, potremmo indovinare il loro movimento o il loro stato d’animo,
ma anche essere indotti da circostanze accidentali o non significative a
commettere grossolani errori" (p. 10).
L’umiltà ci poterà a moderare la nostra
valutazione di ciò che conosciamo. Chi ha molto studiato di solito corre il rischio
di vantarsi della propria conoscenza e sottovalutare gli altri o diversi punti
di vista. Molta sapienza, però, vi può essere anche in chi non ha fatto molte
scuole. L’umiltà metterà in rilievo come le nostre capacità di conoscere
siano limitate. La persona umile dice: "Non pretendo di sapere ogni cosa né
di poter spiegare ogni cosa". In ogni campo della conoscenza umana sentirà
il limite della Parola di Dio che dice: "Fin qui e non più oltre".
4. Coscienza della corruzione umana
L’umiltà consiste in una valutazione corretta
della nostra condizione morale. La filosofia umanista, derivante dalla new age, molto corrente oggi,
ritiene che l’uomo in sé stesso sia buono e non vuole ammettere il contrario
neppure di fronte alle evidenze.
In realtà, non solo siamo soggetti ai
divini ordinamenti, ma siamo pure creature colpevoli, sotto la condanna della
legge di Dio. Qualunque cosa possa suggerire l’orgoglio umano "Tutti si
sono sviati, tutti sono corrotti, non c’è nessuno che faccia il bene, neppure
uno" (Salmo 14:3). L’umiltà valuta giustamente la desolazione morale in
cui giace l’umanità. Essa prepara così la mente per la rivelazione della
misericordia di Dio, ad accogliere volentieri la buona notizia al riguardo di
un Salvatore, e a sottomettersi al metodo che Dio ha stabilito per rigenerare l’essere
umano. E se per grazia siamo condotti a dipendere solo da Cristo per la nostra
salvezza, l’umiltà caratterizzerà in questo modo ogni susseguente valutazione
di noi stessi. "Per la grazia di Dio io sono quel che sono; e la sua
grazia verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non
io però, ma la grazia di Dio che è con me" (1 Co. 15:10).
Una valutazione appropriata della nostra
condizione morale si esprimerà pure adeguatamente nei nostri rapporti con i
nostri simili ispirandoci tolleranza e comprensione per i sbagli altrui,
spirito di perdono e di solidarietà.
La promozione dell’umiltà
Ecco così che comprendiamo come l’umiltà
sia fondamentale nella prospettiva cristiana e la necessità di promuovere e
coltivare in noi stessi l’umiltà studiandoci di viverla in ogni circostanza
della nostra vita. L’umiltà viene descritta dal nostro testo come "un
abito" o "un’abitudine" da indossare. La parola che il testo usa
per "indossare" è la stessa che indica l’indossare il grembiule
bianco del servitore, ed indubbiamente ricorda ciò che fece Gesù in occasione
dell’ultima cena quando cintosi di un asciugamano, aveva incominciato a lavare
i piedi dei suoi discepoli. Gesù disse: "Se dunque io, che sono il
Signore ed il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi
gli uni degli altri. Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come
vi ho fatto io" (Gv. 13:14,15). Per questo l’umiltà è:
1. Implicita alla fede cristiana.
Per sua natura essa è necessaria per ricevere la
fede cristiana stessa. Quant’è difficile per un superbo ed un arrogante entrare
nel regno di Dio perché la porta della salvezza è bassa e la si entra solo
abbassandoci. Gesù disse: "Chi pertanto si farà piccolo come questo
bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli" (Mt. 18:4).
2. Implicita al concetto stesso di
religione.
Essa è parte essenziale
della religione intesa come sentimento di debita dipendenza da Dio. Il nostro
cuore non può essere a posto con Dio fintanto che non comprendiamo la Sua maestà
e la nostra piccolezza, fintanto che non ci rendiamo conto di essere totalmente
dipendenti da Lui, fintanto che, con fede umile e implorante, cerchiamo il
Salvatore Gesù per la nostra salvezza, e siamo disposti a dire: "Signore,
io credo, ma sovvieni alla mia incredulità".
L’umiltà è pure necessaria per perseverare
nella grazia di Dio. E’ il senso della nostra dipendenza da Dio che generà
vitalità nella nostra religione; nostra miglior sicurezza è il senso di
diffidare di noi stessi.
3. Grandemente valorizzata da Dio.
Dio ha posto un particolare onore sull’umiltà di
mente, mentre Egli ha detto chiaramente quanto detesti lo spirito opposto. Il
nostro testo dice: "Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli
umili". E poi per esempio: "Chi ha un cuore superbo è in
abominio al Signore; certo è che non rimarrà impunito" (Pr. 16:5). "Gli
occhi alteri ed il cuore superbo, lucerna degli empi, sono peccato"
(Pr. 21:4). Dovunque però Egli raccomanda uno spirito umile: è la disposizione
di mente che Egli si compiace di favorire. "Si, eccelso è il Signore,
eppure ha riguardo per gli umili" (Salmo 138:6).
4. Esemplificata dal Signore Gesù.
Questa virtù viene promossa dallo stesso
comportamento del Signore Gesù, l’abbiamo già visto nell’episodio della lavanda
dei piedi. L’Apostolo Paolo dice:
"Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo
Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a
Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo la
forma di servo, divenendo simile agli uomini... ubbidiente fino alla
morte" (Fl.
2:2:5-7).
5. Il futuro appartiene all’umiltà. L’umiltà è una grazia immortale: fiorirà più
perfettamente in cielo. Il Signore Gesù disse: "Beati i mansueti, perché
erediteranno la terra" (Mt. 5:5). Tutti i santi e gli angeli sono
rivestiti di questa appropriata veste della creatura. Coltiviamo dunque una
qualità del carattere che rimarrà con noi per l’eternità, la sola che ci renderà
degni della gloria futura. "A suo tempo", dice il nostro
testo, al tempo che Dio riterrà più opportuno e producente per la Sua propria
gloria e nostro vero benessere, Egli ci eleverà a grande onore.
Un’inaspettata conclusione
C’è uno strano, ma illuminante poscritto a
queste esortazioni all’umiltà. Che c’entra quanto dice l’apostolo Pietro con
queste parole: "...gettando su di Lui ogni vostra preoccupazione, perché
Egli ha cura di voi"? C’entra perché la fiducia riposta in noi stessi è
tale da deluderci sempre. Abbiamo molte preoccupazioni nella vita, ma non le
risolveremo contando solo su noi stessi. Sottomettendoci alla mano potente di
Dio, scopriremo quanto sia vero che Egli ha cura di noi. Sottomettendo o
meglio, sottoponendo a Dio le nostre preoccupazioni quelle che ci
appesantiscono e ci tormentano scopriremo che Egli se ne prenderà efficacemente
cura.
Siate umili... umiliatevi... umiltà: non
esiste oggi virtù che sia più impopolare di questa, eppure, davanti a Dio, essa
si rivelerà sempre vincente.
"Tutte queste cose le ha fatte la mia mano, e così son tutte venute all’esistenza, dice l’Eterno. Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui ch’è umile, che ha lo spirito contrito, e trema alla mia parola."
(Isaia 66:2)
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