“Oh,
profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio!
Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie!”
(Ro. 11:33).
“La
salvezza viene dal SIGNORE” (Gi. 2:10), ma il Signore non salva tutti.
Perché no? Egli, di fatto, ne salva alcuni. Se, però, Egli ne salva
alcuni, perché non salva anche gli altri? E’ perché sono troppo
peccatori e depravati? No, perché l’Apostolo scrive: “Certa è
quest'affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo
Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il
primo” (1 Ti. 1:15). Se quindi Dio salva “il primo dei peccatori”,
nessuno n’è escluso a causa della sua depravazione. Allora, perché Dio
non salva tutti? E’ forse perché alcuni hanno un cuore troppo di pietra
per essere da Lui raggiunti? No, perché di chi maggiormente ha il cuore
di pietra è scritto: “Io darò loro un medesimo cuore, metterò dentro di
loro un nuovo spirito, toglierò dal loro corpo il cuore di pietra, e
metterò in loro un cuore di carne” (Ez. 11:19). Forse è perché sono
troppo ostinati, troppo intrattabili, troppo ostili che Dio non riesce
ad attirarli a Sé?
Prima
di rispondere a questa domanda, facciamocene un’altra? Faccio appello
all’esperienza dei cristiani che stanno leggendo. Amico:
non c’era forse un tempo in cui anche tu camminavi secondo il consiglio
degli empi, un tempo in cui tu ti fermavi nella via dei peccatori, un
tempo in cui ti sedevi in compagnia degli schernitori? Non c’era un
tempo in cui anche tu dicevi: “Non vogliamo che Costui regni su di noi"
(Lu. 19:14)? Non c’era forse un tempo in cui tu non volevi venire a
Cristo per avere la vita? Sì, non c’era forse un tempo in
cui la tua voce si confondeva con chi dice a Dio: “Ritirati da noi! Noi
non ci curiamo di conoscere le tue vie! Che cos'è l'Onnipotente perché
lo serviamo? Che guadagneremo a pregarlo?" (Gb. 21:14,15). Con vergogna
devi riconoscere che vi era certamente un tempo in cui eri così. Come
mai, però, oggi non sei più così? Che cos’è che ti ha portato dalla tua
passata ed arrogante sufficienza all’umile spirito del supplicante,
dall’inimicizia con Dio alla pace con Lui, dall’illegalità alla
volenterosa sottomissione, dall’odio all’amore? Non c’è dubbio, come uno
che sia “nato dallo Spirito”, risponderesti: “Per la grazia di Dio io
sono quello che sono” (1 Co. 15:10). Vedi, allora, come il fatto che
altri ribelli non siano salvati non sia dovuta ad una carenza nelle
capacità di Dio, né al Suo rifiuto di forzare l’uomo? Se Dio è stato in
grado di sottomettere la tua volontà e conquistare il tuo cuore, e
questo senza interferire nella tua responsabilità morale, non sarebbe
forse in grado di fare lo stesso con altri? Certamente. Allora vedi come
sia incoerente, illogico, folle, cercare di trovare ragioni per lo
stato attuale ed il destino ultimo degli empi, alla presunta incapacità
di Dio di salvarli, o che essi non Glielo abbiano permesso? Dici: “E’
venuto però per me il tempo in cui volevo ricevere Cristo come mio
Salvatore”. Si, è vero, ma è stato il Signore a fare in modo che tu lo
volessi “è
Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno
benevolo” (Fl. 2:13); “Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno
del tuo potere” (Sl. 110:3). Perché Iddio, allora non fa in modo
che tutti lo vogliano? Oh bella, perché Egli è sovrano e fa tutto ciò
che Gli piace!
Per
tornare, però, alla domanda fatta all’inizio: “Perché mai non sono
tutti salvati, soprattutto quelli che, di fatto, odono l’Evangelo?”.
Risponderesti ancora a questa domanda: “Perché la maggioranza rifiuta di
credere”. Beh, questo è vero, ma si tratta solo di una parte della
verità. Si tratta di una verità dal punto di vista umano. Vi è anche,
però, un punto di vista di Dio, ed è necessario pure evidenziare questo
punto di vista, sennò deruberemmo Iddio della Sua gloria. I non salvati
sono perduti perché rifiutano di credere, gli altri sono salvati perché
credono. Perché, però, questi ultimi credono? Che cos’è che fa sì che
essi pongano la loro fede in Cristo? E’ forse perché essi sono più
intelligenti dei loro compagni, e più pronti a discernere il loro
bisogno di salvezza? Non sia mai! “Che cosa, infatti, ti rende diverso?
Che cosa hai tu che non l'abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti
glori come se non l'avessi ricevuto?” (1 Co. 4:7).
E’
Dio stesso la differenza fra gli eletti ed i non-eletti, perché è
scritto: “Ma noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato
intendimento, affinché conosciamo colui che è il Vero” (1 Gv. 5:20). La
fede è un dono di Dio, “perché non tutti hanno la fede” (1 Ts. 3:2).
Vediamo, quindi, come Dio non conferisca questo dono a tutti. A chi
dunque Egli conferisce questo favore salvifico? Risposta: Ai Suoi
eletti: “tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero” (At.
13:48). Per questo leggiamo: “Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù
Cristo per promuovere la fede degli eletti di Dio e la conoscenza della
verità che è conforme alla pietà” (Tt. 1:1). Dio non sarebbe così
parziale nella distribuzione dei Suoi favori? Si, ma non ha Egli il
diritto di farlo?
Ancora
ci sono coloro che oserebbero mormorare contro Dio? Egli risponderebbe loro
così: “Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal
occhio che io sia buono?” (Mt. 20:15). Dio è sovrano nell’elargizione
dei Suoi doni, sia nel campo naturale che in quello spirituale.
Fin qui l’affermazione generale del principio in discussione. Passiamo ora ad un’esposizione più particolareggiata.
1. La sovranità di Dio Padre nell’opera di salvezza
Il
testo biblico per eccellenza che afferma nel modo più forte l’assoluta
sovranità di Dio in connessione con la determinazione che Egli attua sul
destino delle Sue creature, è forse il nono capitolo dell’epistola ai
Romani. Non intendiamo qui passare in rassegna l’intero capitolo, ma
limitarci ad esaminare i versetti che vanno dal 21 al 23: “Il vasaio non
è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per
uso nobile e un altro per uso ignobile? Che c'è da contestare se Dio,
volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha
sopportato con gran pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione,
e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di
misericordia che aveva già prima preparati per la gloria”. Questi
versetti presentano l’umanità decaduta come altrettanto impotente ed
inerte di pasta d’argilla. Questo testo biblico rende evidente come non
vi sia differenza alcuna in sé fra gli eletti ed i non eletti: essi sono
“argilla della stessa pasta”. Questo concorda con Efesini 2:3 dov’è
detto che tutti sono per natura “figli d’ira”. Esso insegna che il
destino ultimo d’ogni individuo è deciso dalla volontà di Dio: “meno
male” che sia così, perché se la cosa fosse lasciata alla nostra
volontà, il destino ultimo di tutti noi sarebbe solo il Lago di fuoco.
Esso dichiara che Dio stesso di fatto fa una differenza fra le
rispettive destinazioni che Egli assegna alle Sue creature, perché un
vaso è stato “per uso nobile e un altro per uso ignobile”; alcuni sono
“vasi d'ira preparati per la perdizione” mentre altri sono: “vasi di
misericordia che aveva già prima preparati per la gloria”.
Certo
è che questi testi abbassano molto l’orgoglioso cuore della creatura
perché lo rappresentano come argilla nelle mani del vasaio, ma è
esattamente ciò che le Scritture di Verità dicono a questo riguardo.
Oggi è il tempo dell’arroganza, dell’orgoglio intellettuale, della
deificazione dell’uomo, ed è proprio oggi che abbiamo più che mai
bisogno di insistere sul fatto che il “vasaio” abbia pieno diritto di
operare con l’argilla e sull’argilla quello che meglio crede. Al tempo
stesso dobbiamo insistere come Dio, quando modella i Suoi vasi come
vuole e secondo il Suo beneplacito, tratti sempre con giustizia con le
Sue creature: come Giudice di tutta la terra, Egli fa e farà sempre ogni
cosa per motivi giusti e buoni. Dio esige il Suo incontestabile diritto
di fare come vuole con ciò che Gli appartiene.
Dio
non ha solo il diritto di fare con le Sue creature ciò che vuole, ma
Egli di fatto esercita questo Suo diritto, cosa che Egli mostra in modo
evidentissimo nella Sua grazia predestinante. Prima ancora della
fondazione del mondo Iddio fece una scelta, una selezione, un’elezione.
Davanti ai Suoi occhi onniscienti stava l’intera razza di Adamo, e da
essa Egli estrasse un popolo, predestinandolo alla “adozione di figli”,
predestinandolo “ad essere conforme “all’immagine di Suo Figlio”,
“ordinandolo a vita eterna”. Molti sono i testi biblici che presentano
questa verità benedetta. Concentreremo ora la nostra attenzione su sette
fra essi.
1.
“Gli stranieri, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la
Parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna,
credettero”(At. 13:48). Sono stati escogitati tutti gli artifizi
immaginabili per smussare la lama tagliente di questo testo biblico, per
cercare di eludere il significato ovvio di queste parole, ma è stato
invano, perché nulla mai sarà in grado di riconciliare questo ed altri
brani simili con la mente dell’uomo naturale, infatti:“Tutti quelli che
erano ordinati a vita eterna, credettero”. Qui apprendiamo quattro cose:
(1) che credere è la conseguenza e non la causa del decreto di Dio; (2)
che solo un numero limitato di persone sono state “ordinate a vita
eterna”, perché, se tutti senza eccezione fossero così ordinati da Dio,
allora le parole “tutti quelli che” sarebbero prive di significato; (3)
che questa “ordinazione” di Dio non si riferisce a semplici privilegi
esteriori, ma a “vita eterna”, non al servizio, ma alla salvezza stessa;
(4) che tutti, “tutti quelli che”, e non uno di meno – che sia stato
ordinato da Dio a vita eterna – certamente giungerà a credere. Vale la
pena di citare a questo riguardo, le parole del beneamato Spurgeon. Egli
disse: “Sono stati fatti molti tentativi per provare che queste parole
non insegnano la predestinazione, ma questi tentativi fanno così
chiaramente violenza all’oggettività di questo testo, che non sprecherò
nemmeno il mio tempo a rispondere loro. Io leggo: “Tutti quelli che
erano ordinati a vita eterna, credettero”, e non cercherò di contorcere
il testo, ma darò gloria alla grazia di Dio attribuendo a quella grazia
soltanto la fede dell’uomo. Non è forse Dio a dare la disposizione a
credere? Se gli uomini sono disposti ad avere vita eterna, non è forse
Lui, in ogni caso, a così disporli? Sarebbe forse sbagliato per Dio
accordare così la Sua grazia? Se è giusto per Lui accordarla, sarebbe
per Lui sbagliato proporsi di accordarla? Vorresti che Egli l’accordasse
incidentalmente? Se è giusto per Lui accordare grazia oggi, non era
giusto forse che Egli si proponesse di accordarla prima d’oggi? Inoltre,
dato che Egli non cambia, non sarebbe giusto che a questo si fosse
proposto dall’eternità?”-
2.
“Così anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia. Ma se è per
grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia”
(Ro. 11:5,6). Le parole “Così anche” all’inizio di questa citazione, si
riferiscono al versetto precedente, dove è detto: “Ma che cosa gli
rispose la voce divina? «Mi sono riservato settemila uomini che non
hanno piegato il ginocchio davanti a Baal»”. Notate in particolare la
parola “riservato”. Al tempo d’Elia, vi erano settemila uomini (una
piccola minoranza) che erano stati divinamente preservati dall’idolatria
e portati alla conoscenza del vero Iddio. Questa preservazione ed
illuminazione non era dovuta ad alcunché avesse potuto trovarsi in loro,
ma solo alla speciale influenza ed opera di Dio. Quale gran favore
questi individui avevano ricevuto da Dio! Ora, dice l’apostolo, proprio
come vi era stato un “residuo riservato per Dio” ai tempi d’Elia, così
pure avviene nell’attuale dispensazione. “Un residuo eletto per grazia”:
ecco così che la causa dell’elezione è fatta risalire alla sua fonte.
La base sulla quale Dio ha eletto questo “residuo” non era la fede che
Egli aveva “previsto” in loro, perché una scelta basata sulla previsione
di buone opere non avrebbe potuto essere chiamata “grazia”, ma
“ricompensa”, perché, dice l’apostolo “se è per grazia, non è più per
opere; altrimenti, la grazia non è più grazia”. Tutto questo vuol
ricordare che grazia ed opere sono due cose contrapposte, non hanno
alcunché un comune, non si possono mescolare più di quanto lo possano
acqua ed olio. L’idea, quindi, di un bene intrinseco, previsto nelle
persone così scelte, o di alcunché di meritorio operato in loro, è
rigidamente escluso. “Un residuo eletto per grazia” significa una scelta
incondizionata risultante dal sovrano favore di Dio; in una parola, si
tratta di un’elezione assolutamente gratuita.
3.
“Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di
voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili;
ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio
ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha
scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose
che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si
vanti di fronte a Dio” (1 Co. 1:26-29). In questo brano, per ben tre
volte si fa riferimento alla scelta di Dio, e una scelta necessariamente
presuppone una selezione, prenderne alcuni e lasciarne altri. Colui che
sceglie è Dio stesso, come disse Gesù ai Suoi apostoli: “Non siete voi
che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi” (Gv. 15:16). Il
numero delle persone scelte è strettamente definito: “Non ci sono tra di
voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti
nobili…”, il che concorda con Matteo 20:16: “Così gli ultimi saranno
primi e i primi ultimi, perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”
(Mt. 20:16 ND). Questo per quanto riguarda il fatto della scelta da
parte di Dio; notate, però, ora, gli oggetti di questa scelta. Coloro
che sono oggetto di una scelta da parte di Dio sono “le cose deboli del
mondo… le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate…”. Perché? Per
dimostrare e magnificare la Sua grazia. Le vie di Dio, come pure i Suoi
pensieri, sono diversi da quelli dell’uomo. La mente carnale avrebbe
supposto che Dio avesse scelto persone opulente e d’influenza, persone
gradevoli e colte, così che il cristianesimo avesse conquistato
l’approvazione e l’applauso del mondo sfoggiando gloria carnale. No, non
è avvenuto così, “perché quello che è eccelso tra gli uomini, è
abominevole davanti a Dio” (Lu. 16:15). Dio sceglie “le cose ignobili”.
Lo fece ai tempi dell’Antico Testamento. La nazione che Egli scelse come
portatrice dei Suoi santi oracoli ed il canale attraverso il quale la
Discendenza promessa sarebbe venuta, non era l’antico Egitto, i fieri
babilonesi, i greci, altamente civilizzati ed eruditi. No, coloro sui
quali Yahweh ripose il Suo amore e considerò “pupilla dei Suoi occhi”,
furono gli ebrei, nomadi e disprezzati. Così fu quando il nostro Signore
mise la Sua tenda fra gli uomini. Coloro che Egli chiamò in favorita
intimità con Sé e li mandò nel mondo come Suoi ambasciatori, erano, per
la maggior parte, incolti pescatori. Così è stato da allora. Così è
oggi. All’attuale percentuale di crescita, non ci vorrà molto prima che
diventi chiaro che il Signore avrà più persone che Gli appartengono
nella disprezzata Cina più che negli altamente favoriti U. S. A.; più
fra i neri non civilizzati dell’Africa di quanto non ne abbia
nell’erudita (?) Germania! Lo scopo della scelta di Dio, la ragion
d’essere della sua selezione è “perché nessuno si vanti di fronte a Dio”
– affinché non ci sia nulla negli oggetti della Sua scelta per il quale
si pensi che essi abbiano titolo ai Suoi speciali favori. Allora tutta
la lode sarà liberamente attribuita alle straripanti ricchezze della Sua
molteplice grazia.
4.
“Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha
benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo.
In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi
e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a
essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il
disegno benevolo della sua volontà. In lui siamo anche stati fatti
eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che
compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà” (Ef.
1:3-5,11). Ancora una volta qui c’è detto a quale punto del tempo (se
può chiamarsi tempo) in cui Dio scelse coloro che avrebbero poi dovuto
essere Suoi figli mediante Gesù Cristo. Non fu dopo che Adamo era
caduto, affondando la sua razza nel peccato e nella maledizione, ma
molto prima che Adamo vedesse la luce, persino prima che il mondo stesso
fosse fondato, che Dio ci scelse in Cristo. In questo testo pure
apprendiamo quale sia lo scopo che Dio aveva di fronte a Lui al riguardo
dei Suoi eletti, cioè: “Perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a
lui”, per “essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli”,
un’affermazione, questa, che confuta l’empia accusa che spesso viene
sollevata che, per Dio, decidere il destino eterno delle Sue creature
prima che siano nate, sia tirannico ed ingiusto. Infine noi qui veniamo
informati che, in questa questione, Egli non chiese consiglio a nessuno,
ma che siamo “stati predestinati secondo il proposito di colui che
compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà”.
5.
“Ma noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal
Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante
la santificazione nello Spirito e la fede nella verità” (2 Ts. 2:13).
Qui vi sono tre cose che meritano speciale attenzione. In primo luogo,
il fatto che ci venga espressamente detto che gli eletti di Dio siano
stati “eletti a salvezza”. Più chiaro di così non si può. Queste parole
spazzano via con sol colpo tutti i sofismi e gli equivoci di coloro che
affermano che l’elezione non si riferisca altro che a privilegi
esteriori o a livello di servizio! E’ ai fini della “salvezza” stessa
che Dio ci scelse. In secondo luogo, è qui pure molto chiaro che
l’elezione a salvezza non trascura l’uso di mezzi appropriati per
effettuarla. La salvezza si raggiunge “mediante la santificazione nello
Spirito e la fede nella verità”. Non è affatto vero che proprio perché
Iddio ha scelto una certa persona affinché siano salvata, questa sia
salvata volente o nolente, sia che crede oppure no: non c’è alcuna
evidenza di questo nelle Scritture. Lo stesso Dio che predestinò il
fine, pure ne stabilì i mezzi; lo stesso Dio che “elesse a salvezza”,
decretò pure che il Suo proposito si realizzasse attraverso l’opera
dello Spirito e la fede nella verità. In terzo luogo, che Dio ci abbia
scelto a salvezza è causa profonda di fervente lode. Notate come
l’Apostolo esprima questo: “Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi,
fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti
ecc.”. Invece di ritirarsi con orrore dalla dottrina della
predestinazione, il credente, quando vede questa verità benedetta
com’essa è sviluppata dalla Scrittura, scopre in essa la base della
gratitudine e del suo rendimento di grazie come nient’altro potrebbe
fare.
6.
“Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo
delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che c’è
stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità”. La Scrittura è davvero
chiara e lineare! E’ l’uomo che, con le sue parole, oscura il consiglio
di Dio. E’ impossibile affermare la cosa in modo più chiaro e forte di
questo. La nostra salvezza non ci risulta “a motivo delle nostre opere”,
cioè, non è dovuta a nulla che vi sia in noi, né è la ricompensa di
alcunché che noi si possa aver fatto. Al contrario, è il risultato del
“proposito” e della grazia di Dio, e questa grazia ci è stata accordata
in Cristo Gesù “fin dall’eternità”. E’ per grazia che siamo stati
salvati, e nel proposito di Dio, questa grazia ci è stata conferita non
solo prima che noi venissimo alla luce, non solo prima della caduta di
Adamo, ma anche prima di quel distante “principio” di Genesi 1:1. E’ qui
che giace l’incrollabile certezza del popolo di Dio. Se la Sua scelta è
stata dall’eternità, essa durerà per tutta l’eternità! “Non c’è nulla
che sopravviva all’eternità se non ciò che proviene dall’eternità, e ciò
che così è venuto, lo sarà” (G. S. Bishof).
7.
“…eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione
dello Spirito, ad ubbidire e ad essere cosparsi del sangue di Gesù
Cristo: grazia e pace vi siano moltiplicate” (1 Pi. 1:2). Qui ancora
l’elezione da parte del Padre precede l’opera dello Spirito Santo nel
credente e la stessa obbedienza della fede, in coloro che sono salvati.
Questo lo sottrae completamente dalla creatura, fondandosi solo sul
compiacimento sovrano dell’Onnipotente. La “prescienza di Dio Padre” non
si riferisce qui alla Sua prescienza d’ogni cosa, ma significa che i
santi erano presenti da ogni eternità in Cristo davanti alla mente di
Dio. Dio non “preconosceva” che certe persone avrebbero udito l’Evangelo
ed avrebbero creduto indipendentemente dal fatto che Egli avesse
“ordinato” queste alla vita eterna. Ciò che la prescienza di Dio vide in
tutti gli uomini era piuttosto amore per il peccato ed odio verso di
Lui. La “prescienza” di Dio è basata sui Suoi propri decreti, com’è
chiaro da Atti 2:23: “Quest’uomo, quando vi fu dato nelle mani per il
determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui,
inchiodandolo sulla croce, lo uccideste” – notate qui l’ordine delle
espressioni: prima il “determinato consiglio” di Dio (il Suo decreto),
poi la Sua “prescienza”. Ancora vediamo questo in Romani 8:28,29:
“Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere
conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito
tra molti fratelli”. Qui la prima parola, “perché”, si riferisce al
versetto precedente e all’ultima sua espressione, che dice: “Or sappiamo
che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali
sono chiamati secondo il suo disegno”- questi sono coloro che Egli ha
“preconosciuti” e “predestinati”. Dev’essere, infine, rilevato che,
quando leggiamo nella Scrittura che Dio “conobbe” certe persone, la
parola indica “conoscere con approvazione ed amore”: “Se qualcuno ama
Dio, è conosciuto da lui” (1 Co. 8:3). Agli ipocriti, Iddio dirà: “Io
non vi ho mai conosciuto”, cioè, “io non vi ho mai amato”. “…eletti
secondo la prescienza di Dio Padre” significa, quindi, scelti da Lui
come oggetto speciale della Sua approvazione ed amore.
Riassumendo
l’insegnamento di questi sette brani, apprendiamo che Dio ha “ordinato a
vita eterna” certuni e che, come conseguenza di questa ordinazione,
essi, a tempo debito, “credono”; che l’ordinazione di Dio alla salvezza
dei Suoi eletti non è dovuta a cose buone che si trovano in loro, né ad
alcunché di meritorio che essi abbiano compiuto, ma solo per la Sua
“grazia”; che Dio ha appositamente selezionato gli oggetti più
impensabili per essere recipienti dei Suoi speciali favori, affinché
“nessuno si glori alla Sua presenza”; che Dio scelse il Suo popolo in
Cristo prima della fondazione del mondo, non perché essi lo fossero, ma
affinché diventassero irreprensibili e senza macchia di fronte a Lui;
che, avendo selezionato alcuni alla salvezza, Egli pure decretò i mezzi
attraverso i quali il Suo eterno consiglio si fosse realizzato; che la
stessa “grazia” mediante la quale siamo salvati era, nei propositi di
Dio, “data a noi in Cristo Gesù prima che il mondo iniziasse”, che molto
prima che essi erano stati di fatto creati, gli eletti di Dio erano già
presenti nella Sua mente, erano da Lui “preconosciuti”, cioè erano
oggetti ben definiti del Suo eterno amore.
Prima
di volgerci alla prossima divisione di questo capitolo, è necessaria
un’ulteriore parola al riguardo dei soggetti della grazia predestinante.
Ci soffermiamo ancora su questo terreno, perché è a questo punto che la
dottrina della sovranità di Dio nel predestinare alcuni alla salvezza è
attaccata più di frequente. Coloro che pervertono questa verità,
cercano invariabilmente di trovare una qualche causa al di fuori della
stessa volontà di Dio, che possa così spingerlo ad impartire salvezza ai
peccatori; qualcosa o altro che possa essere attribuito alla creatura,
che dia loro titolo a ricevere la misericordia dalle mani del Creatore.
Ritorniamo così alla domanda: “Perché Dio sceglie quelli che sceglie?”,
che cosa c’era negli eletti stessi che attraeva il cuore di Dio verso di
loro? Forse perché in loro vi erano delle virtù? Perché avevano un
cuore generoso, un carattere dolce, perché dicevano la verità? In una
parola, perché erano “buoni” che Dio li scelse? No, perché nostro
Signore disse: “Uno solo è il buono” (Mt. 19:17). Forse Dio li scelse
per opere buone da essi compiute? No, perché è scritto: “Tutti si sono
sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la
bontà, no, neppure uno” (Ro. 3:12). Forse perché essi davano evidenza di
serietà e zelo nel cercare Dio? No, perché ancora sta scritto: “Non c'è
nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio” (Ro. 3:11). Era
perché Dio aveva previsto che essi avrebbero creduto? No, perché come
potrebbero credere in Cristo coloro che erano “morti nei loro peccati e
nelle loro trasgressioni”? Come poteva Dio preconoscere che alcuni
uomini avrebbero creduto, quando la fede sarebbe stata loro impossibile?
La Scrittura dichiara che quelli: “avevano creduto mediante la grazia
di Dio” (At. 18:27). La fede è un dono di Dio, e indipendentemente da
questo dono nessuno potrebbe mai credere. La causa della Sua scelta
giace in Lui stesso e non negli oggetti della Sua scelta. Egli scelse
coloro che scelse semplicemente perché Egli scelse di scegliergli!
“Noi
siamo figli per l’elezione divina, noi che crediamo in Cristo. Per
destinazione eterna, grazia sovrana, noi ora riceviamo, Signore, la Tua
misericordia. Per questo ti rendiamo grazie e gloria!”.
2. La sovranità di Dio il Figlio nella salvezza
Per
chi è morto Cristo? Certamente non si può contestare il fatto che il
Padre avesse uno specifico proposito, quando Lo consegnò alla morte, o
che il Figlio avesse davanti a Lui uno specifico progetto nel deporre la
Sua vita: “A Dio sono note da sempre tutte le opere sue” (At. 15:18
ND). Qual era, dunque il proposito del Padre e il progetto del Figlio?
Rispondiamo: Cristo morì per gli eletti di Dio. Siamo ben consapevoli
del fatto che il progetto limitato nella morte del Figlio, sia stato
oggetto di molte controversie – quale grande verità della Bibbia, per
altro, non lo è stata? Nemmeno dimentichiamo che tutto ciò che abbia a
che fare con la Persona e l’opera del nostro Salvatore benedetto, debba
essere trattata con il massimo rispetto, e che in appoggio ad ogni
affermazione che facciamo, sia necessario poter dire “Così dice il
Signore”. Faremo dunque appello alla Legge ed alla Testimonianza.
Per
chi morì Cristo? Chi erano quelli che Egli intese redimere attraverso
lo spargimento del Suo sangue? Certamente il Signore Gesù aveva una
qualche determinazione assoluta davanti a Sé prima di andare alla Croce.
Se l’aveva, ne consegue che l’estensione di quel proposito, dovesse
essere certamente limitata, perché un proposito o una determinazione
assoluta deve essere pienamente realizzata. Se la determinazione di
Cristo avesse incluso tutta l’umanità, allora tutta l’umanità sarebbe
stata certamente salvata. Per sfuggire a quest’inevitabile conclusione,
molti hanno affermato che non vi fosse davanti a Cristo alcuna
determinazione assoluta, ma che nella Sua morte, fosse stata
semplicemente provveduta, per tutta l’umanità, una possibilità di
salvezza, su condizione. Si può contestare, però, quest’idea, notando
come, di fatto, vi siano precise promesse fatte dal Padre al Figlio
prima che Lui andasse alla croce, prim’ancora di incarnarsi. Le
Scritture dell’Antico Testamento presentano il Padre che promette al
Figlio una certa ricompensa per le Sue sofferenze in favore dei
peccatori. In questa fase ci limiteremo a due affermazioni che si
trovano nel famoso capitolo 53 di Isaia. Lì troviamo Iddio che dice:
“Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una
discendenza … Egli vedrà il frutto del suo tormento interiore, e ne
sarà saziato” e che il giusto Servo di Dio “renderà giusti i molti” (vv.
10 e 11). Fermiamoci qui e chiediamoci: in che modo potrebbe essere
certo che Cristo avrebbe visto “la Sua discendenza” ed essere “saziato”
del “frutto del Suo tormento” salvo che la salvezza di certi membri
della razza umana non fosse stata divinamente decretata, e quindi resa
certa?[Andando
alla croce, Gesù non pensava: “Magari, morendo in croce, qualcuno
riporrà la sua fiducia nel mio sacrificio espiatorio e sarà salvato. Non
ne sono sicuro. Speriamo”. No, pensava: “Il mio sacrificio sarà
certamente efficace per coloro dal Padre sono stati destinati alla
salvezza”] In che modo avrebbe potuto essere certo che Cristo avrebbe
“reso giusti i molti”, se non fosse stato disposto che essi lo avrebbero
accolto come loro Salvatore? D’altro canto, insistere che il Signore
Gesù espressamente si fosse proposto la salvezza di tutta l’umanità,
significherebbe accusarlo di ciò di cui nessun essere intelligente
dovrebbe essere reso colpevole, cioè, proporsi, progettare ciò che, in
virtù della Sua onniscienza, Egli sapeva che mai sarebbe avvenuto[Espressamente, infatti, in più luoghi, le Scritture parlano dell’effettiva dannazione di una parte dell’umanità].
L’unica alternativa che ci rimane, quindi, per quanto riguarda il
proposito predeterminato della Sua morte, è che Cristo sia morto solo
per gli eletti. Per riassumere con una sola frase, che confidiamo essere
intelligibile ad ogni lettore, diremmo: Cristo è morto non solo per
rendere possibile la salvezza di tutti coloro che il Padre Gli aveva
affidato, ma per rendere certa la salvezza di tutti coloro che il Padre
Gli aveva affidato. Cristo non è morto semplicemente per rendere
perdonabili i peccati, ma “per annullare il peccato con il suo
sacrificio” (Eb. 9:26). Inoltre, per sapere chi sono coloro il cui
peccato sarebbe stato “annullato”, la Scrittura afferma chiaramente
trattarsi del peccato degli eletti , “il mondo” (Gv. 1:29) del popolo di
Dio!
1.
L’estensione limitata del progetto di Redenzione è conseguenza
necessaria della scelta operata dall’eternità dal Padre a che certuni
fossero salvati. Le Scritture ci informano che, prima della stessa
incarnazione del Signore, Egli disse: “Allora ho detto: "Ecco, vengo"
(nel rotolo del libro è scritto di me) "per fare, o Dio, la tua volontà"
(Eb. 10:7). Dopo essersi incarnato, Egli dichiara: “Sono disceso dal
cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha
mandato” (Gv. 6:38). Se dall’inizio Dio aveva scelto alcuni affinché
fossero salvati, allora, siccome la volontà di Cristo era in perfetto
accordo con quella del Padre, Egli non certo avrebbe cercato di
allargare il numero degli eletti. Ciò che qui abbiamo affermato, non è
solo una nostra deduzione plausibile, ma è in stretta armonia con
l’espresso insegnamento della Parola. Ripetutamente il Signore fa
riferimento a quelli che il Padre gli aveva “dato”, e riguardo ai quali
Egli era particolarmente esercitato. Dice infatti: “Tutti quelli che il
Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori
... Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda
nessuno di quelli che egli mi ha dati, ma che li risusciti nell'ultimo
giorno” (Gv. 6:37,39). E ancora: “Padre, l'ora è venuta; glorifica tuo
Figlio, affinché il Figlio glorifichi te ... giacché gli hai dato
autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che
tu gli hai dati. ... Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi
hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno
osservato la tua parola. ... Io prego per loro; non prego per il mondo,
ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi ... Padre, io voglio
che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché
vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima
della fondazione del mondo" (Gv. 17:1, 2, 6, 9, 24). Prima della
fondazione del mondo, il Padre ha predestinato un popolo affinché fosse
conforme all’immagine di Suo Figlio, e la morte e risurrezione del
Signore Gesù era stata finalizzata per portare a compimento questo
divino proposito.
2.
La natura stessa della Redenzione rende evidente come, nella sua
applicazione ai peccatori, nei propositi di Dio essa fosse limitata.
L’opera espiatoria di Cristo può essere considerata da due punti di
vista principali – rispetto a Dio e rispetto all’umanità. Rispetto a
Dio, l’opera che Cristo compì sulla croce era una propiziazione,
placando essa l’ira di Dio, una soddisfazione resa alla divina giustizia
e santità. Rispetto all’uomo, essa era una sostituzione o atto vicario,
in cui l’Innocente aveva preso il posto del colpevole, il Giusto che
moriva per l’ingiusto. Una stretta sostituzione, però, di Persona a
persona, e l’infliggere su di Lui sofferenze volontarie, implica il
definito riconoscimento da parte del Sostituto (o Vicario) e di Colui
per il quale Egli opera la propiziazione delle persone per le quali
agisce, delle persone che Egli rappresenta e i cui peccati Egli porta,
quelle i cui obblighi legali Egli assolve. Inoltre, se il Legislatore
accoglie la soddisfazione operata dal Sostituto, allora, coloro per i
quali agisce il Sostituto, devono essere necessariamente assolti. Se io
ho un debito e non sono in grado di pagarlo, e subentra un altro che
paga per me pienamente il mio creditore, ricevendone per riconoscimento
un attestato, una ricevuta, allora, agli occhi della legge, il mio
creditore non può pretendere più nulla da me. Sulla croce, il Signore
Gesù Cristo diede Sé stesso come prezzo di riscatto, e che questo fosse
stato accettato da Dio, fu attestato dalla tomba trovata vuota tre
giorni dopo. La questione ora è questa: per chi è stato offerto questo
prezzo di riscatto? Se fosse stato offerto per tutta l’umanità, allora
il debito incorso da ogni essere umano sarebbe stato cancellato. Se
Cristo portò nel Suo stesso corpo sul legno i peccati di tutta l’umanità
senza eccezione, allora nessuno perirebbe. Se Cristo fosse stato “reso
maledizione” per tutta la razza d’Adamo, allora nessuno oggi sarebbe
“sottoposto a condanna”. Dio non può esigere due volte il pagamento,
prima dalle mani del Garante e poi ancora dalle mie. Cristo, però, non
pagò i debiti di tutta l’umanità senza eccezione, perché ancora vi sono
persone che verranno “gettate in prigione” (cfr. 1 Pi. 3:19, dove
ricorre la medesima parola per “prigione”), e “di là non usciranno,
finché non abbiano pagato l'ultimo centesimo” (Mt. 5:26), cosa che,
ovviamente, non potrà mai avvenire. Cristo non portò i peccati di tutta
l’umanità, perché ancora vi sono persone che “moriranno nel loro
peccato” (Gv. 8:21), e nelle quali il peccato “rimane” (Gv. 9:41).
Cristo non “divenne maledizione” per tutta l’umanità, perché d’alcuni
Egli ancora dirà: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno,
preparato per il diavolo e per i suoi angeli!” (Mt. 25:41). Dire che
Cristo morì per tutti indistintamente, dire che Egli sia divenuto
Sostituto e Garante per l’intera umanità, dire che Egli soffrì in favore
ed al posto di tutta l’umanità, significa dire che Egli: “Portò la
maledizione di molti che ora portano la maledizione da sé stessi; che
Egli soffrì il castigo per molti che ora sono all’inferno nei tormenti;
che Egli pagò il prezzo della redenzione per molti che ancora dovranno
pagare nella loro eterna angoscia, il salario del peccato, cioè la
morte” (G. S. Bishop). D’altro canto, però, affermare che Cristo sia
stato trafitto per le trasgressioni del popolo di Dio, significa
sostenere che Egli operò una redenzione che redime veramente e
totalmente, che Egli offerse una propiziazione che veramente propizia,
che Egli è un Salvatore che veramente salva!
3.
Strettamente connesso con ciò che abbiamo detto prima, ed ulteriore sua
conferma, è l’insegnamento della Scrittura al riguardo del sacerdozio
del Signore. E’ come grande Sommo Sacerdote che ora Cristo compie opera
d’intercessione. Per chi, però, Egli la fa? Per chi sta intercedendo?
Per l’intero genere umano, o solo per il Suo popolo? La risposta che a
questa domanda fornisce il Nuovo Testamento è chiara come la luce del
sole. Cristo è entrato in un luogo santissimo: “Per comparire ora alla
presenza di Dio per noi” (Eb. 9:24), cioè per coloro che sono “partecipi
della celeste vocazione” (Eb. 3:1). Ancora è scritto: “Egli può salvare
perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal
momento che vive sempre per intercedere per loro” (Eb. 7:25). Questo
concorda strettamente con la tipologia dell’Antico Testamento. Dopo aver
ucciso l’animale sacrificale, Aaronne entrava nel luogo santissimo come
rappresentante ed in nome del popolo di Dio: erano i nomi delle tribù
d’Israele ad essere incisi sul suo pettorale, ed era nei loro interessi
che egli compariva di fronte a Dio. Concordano con questo, pure le
parole del nostro Signore in Giovanni 17:9: “Io prego per loro; non
prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi” .
Un altro testo che merita particolare attenzione a questo riguardo, si
trova in Romani 8. Nel versetto 33 troviamo la domanda: “Chi accuserà
gli eletti di Dio?”, al che segue l’ispirata risposta: “Dio è colui che
li giustifica. Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e,
ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per
noi”. Notate particolarmente come morte ed intercessione abbiano un
unico e solo oggetto! Com’era nel tipo, così è nell’antitipo –
espiazione e supplica coprono lo stesso ambito. Se dunque Cristo
intercede solo per gli eletti e “non per il mondo”, allora Egli è morto
solo per loro. Si osservi poi come la morte, risurrezione, esaltazione
ed intercessione di Gesù Cristo siano considerati la ragione per cui
nessuno potrà mai lanciare “accuse” contro gli eletti di Dio. Chi ancora
vorrebbe contestare questo fatto, soppesi attentamente la domanda
seguente – se il beneficio della morte di Cristo si estende ugualmente a
tutti, in che modo essa può diventare una garanzia contro un’accusa,
dato che tutti coloro che non credono rimangono sottoposti alla condanna
da parte di Dio “Chi
crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non
ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio” (Gv. 3:18)?
4.
Il numero di coloro che partecipano ai benefici della morte di Cristo,
non solo è determinato dalla natura della Sua opera espiatoria e dal Suo
sacerdozio, ma anche dalla Sua potenza. Dato che Colui che morì sulla
croce era Dio manifesto in carne, ne consegue inevitabilmente che ciò
che Cristo si è proposto di fare, Egli lo realizzi nel modo più certo;
che ciò per cui Egli ha pagato il prezzo, Egli di fatto possieda; che
ciò sul quale Egli ha posto la Sua affezione, sarà senz’alcun dubbio
assicurato a Lui. Se è vero che il Signore Gesù possiede ogni potere in
cielo e sulla terra, allora nessuno potrà mai resisterGli e prevalere su
di Lui. Qualcuno però dirà: “Questo è vero in generale, ma è Cristo che
rifiuta di esercitare questo potere in quanto Egli non forzerà mai
nessuno a riceverlo come Salvatore”. In un certo senso
quest’osservazione è vera, ma in un altro senso assolutamente No. La
salvezza d’un qualunque peccatore dipende solo dalla potenza divina. Per
natura, il peccatore si trova in stato di inimicizia contro Dio, e
nient’altro che la potenza divina operante in lui, potrà sconfiggere
quest’inimicizia. Per questo è scritto: “Nessuno può venire a me se non
lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo
giorno” (Gv. 6:44). Quello che solo può far si che il peccatore voglia
venire a Cristo per ricevere vita, è la potenza divina che infrange
l’inimicizia contro Dio, che in lui è innata. Questa inimicizia, però,
non viene spezzata in tutti. Perché? E’ forse perché essa è troppo forte
per poter essere piegata? Forse che alcune persone sono così
ostinatamente ostili a Lui che Cristo non è in grado d’entrare in loro?
Rispondere di sì a queste domande, significa negare la Sua onnipotenza.
In ultima analisi non si tratta tanto della maggiore o minore
disponibilità del peccatore ad andare a Cristo, perché per natura tutti
non sono disponibili, per natura nessuno avrebbe intenzione alcuna
d’andare a Lui. La disponibilità, la volontà di venire a Cristo è solo
il risultato finale della potenza divina che opera nel cuore e nella
volontà dell’uomo e che infrange la sua “inimicizia” cronica e
congenita, com’è scritto: “Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel
giorno del tuo potere” (Sl. 110:3 ND). Sostenere che Cristo non sia in
grado di conquistare a Sé coloro che non vogliono venire a Lui,
significa negare che Egli abbia potere in cielo e sulla terra. Affermare
che Cristo non possa dispiegare la Sua potenza, senza distruggere la
responsabilità umana, significa volutamente ignorare il dato di fatto
che è solo per la Sua potenza che Egli ha fatto si che volessero venire a
Lui coloro che l’hanno fatto. Se Cristo l’ha fatto senza distruggere la
loro responsabilità, perché non potrebbe Egli fare lo stesso con altri?
Se Egli è in grado di conquistare a Sé il cuore di un peccatore, perché
non quello d’un altro? Dire, come di solito si dice, che gli altri non
glielo permettono, significa mettere in questione la Sua sufficienza. In
gioco è la Sua volontà. Se fosse vero che il Signore Gesù avrebbe
decretato, desiderato e progettato la salvezza di tutta l’umanità,
allora l’intera razza umana sarebbe salvata, oppure Egli non avrebbe la
capacità di realizzare le Sue intenzioni. In tale caso non si potrebbe
dire: “Egli vedrà il frutto del suo tormento interiore, e ne sarà
saziato” (Is. 53:11). Questa questione implica la divinità del
Salvatore, perché un Salvatore frustrato e sconfitto non potrebbe essere
Dio.
Abbiamo
così trattato alcuni dei principi generali che esigono che noi si creda
che la virtù della morte di Cristo abbia un raggio d’applicazione
limitato. Considereremo ora alcune fra le più esplicite affermazioni
della Scrittura che espressamente l’affermano.
In
quel meraviglioso ed inimitabile capitolo 53 d’Isaia, Iddio, a
proposito di Suo Figlio, ci dice: “Dopo l'arresto e la condanna fu tolto
di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era
strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio
popolo?” (v. 8). In perfetta armonia con questo era la parola rivolta
dall’angelo a Giuseppe: “Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome
Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati” (Mt.
1:21), cioè non semplicemente Israele, ma tutti colo che il Padre Gli
avrebbe “dato”. Il Signore stesso dichiara: “il Figlio dell'uomo non è
venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come
prezzo di riscatto per molti” (Mt. 20:28). Perché qui dice “per molti”
se Egli avrebbe dato la Sua vita per tutti senza eccezione? E’ “il Suo
popolo” che Egli ha riscattato (Lu. 1:68). Il Buon Pastore l’ha fatto
per “le pecore”, non per le “capre”. Chi sono quelli che Egli “ha
acquistato con il proprio sangue”? La “Chiesa di Dio” (At. 20:28). Se
però nella Scrittura c’è un testo che, più di qualunque altro, ci può
persuadere al riguardo è Giovanni 11:49-52: “Uno di loro, Caiafa, che
era sommo sacerdote quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla, e non
riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il
popolo e non perisca tutta la nazione». Or egli non disse questo di suo;
ma, siccome era sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù
doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche
per riunire in uno i figli di Dio dispersi”. Qui ci viene detto che
Caiafa “non disse questo di suo”, che la sua profezia non proveniva da
una sua particolare interpretazione (2 Pi. 1:21), ma che in questo Egli
era stato mosso dallo Spirito Santo. Quest’affermazione, quindi, è
rivelazione di Dio, proviene da Lui. Qui troviamo espressamente
affermato che Cristo morì per “quella nazione”, vale a dire Israele, e
pure per il Corpo unico della Sua Chiesa, perché è nella Chiesa che i
figli di Dio “dispersi” fra le nazioni, saranno raccolti ora insieme in
un solo corpo, “in uno”. Non è notevole qui il fatto che i membri della
Chiesa qui siano chiamati “figli di Dio” persino prima che Cristo fosse
morto, e quindi prima ancora che Egli cominciasse ad edificare la Sua
Chiesa? La più gran parte d’essi non era nemmeno ancora nata, eppure
sono considerati “figli di Dio”. Sono figli di Dio perché sono stati
eletti in Cristo prima della fondazione del mondo, e quindi:
“Predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo
come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà” (Ef.
1:5). Allo stesso modo, Cristo disse: “Ho anche altre pecore, che non
sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno
la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore” (Gv. 10:16).
Durante l’ultima settimana del Suo ministero terreno, il nostro
benedetto Salvatore aveva, nel cuore e sulle labbra, un unico e grande
interesse. Qual era? Erano “i Suoi”:“Or prima della festa di Pasqua,
Gesù, sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al
Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”
(Gv. 13:1). Erano “i Suoi amici”: infatti, ancora Egli disse: “Nessuno
ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici” (Gv.
15.13). Inoltre: “Per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi
siano santificati nella verità” (Gv. 17:19), cioè in favore di coloro
che il Padre gli aveva “dato” che Egli si mise a parte per morire sulla
Croce. Ci si può ben chiedere: perché una tale discriminazione di
termini se Gesù fosse morto indiscriminatamente per tutti?
Prima
di chiudere questa parte, considereremo brevemente
alcuni altri brani che sembrano insegnare che la virtù della morte di
Cristo abbia un raggio d’azione illimitato.
1.
In 2 Corinzi 5:14 leggiamo: “uno solo morì per tutti”. Uno solo morì
per tutti? Questo, però, non è tutto ciò che dice questo testo. Se
esaminiamo l’intero versetto nel suo contesto, troveremo che, invece di
insegnare il concetto d’una redenzione illimitata, esso insegna proprio
il contrario, cioè l’estensione limitata dei benefici della morte di
Cristo. Il versetto intero dice: “L’amore di Cristo ci costringe, perché
siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi
tutti morirono”. E’ necessario rilevare come in greco, prima dell’ultimo
“tutti”, vi sia l’articolo determinativo e che il verbo sia posto nel
tempo aoristo. Letteralmente bisognerebbe quindi leggere: “Possiamo così
concluderne che: se Uno solo morì per tutti, quei tutti morirono”. E’
chiaro che qui l’apostolo sta traendo la conclusione del ragionamento
precedente. Egli intende dire questo: coloro per i quali Cristo è morto,
possono essere considerati come se essi fossero altresì morti,
legalmente morti. Il versetto seguente afferma: “…e ch'egli morì per
tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per
colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Co. 5:16). Quell’Uno non
solo è morto, ma pure “è risuscitato” per loro: per questo pure si può
dire che “quei tutti”, tutti coloro per i quali Egli è risuscitato,
siano altresì “viventi”. Un rappresentante, o sostituto, agisce in nome
di coloro che rappresenta, così che ciò che egli compie è come se
l’avessero compiuto loro; ciò che egli consegue è come se l’avessero
conseguito coloro per i quali egli agisce. Di fronte alla legge, il
rappresentante (sostituto) ed i rappresentati, sono uno. Lo stesso vale
agli occhi di Dio. Cristo s’identifica con il Suo popolo ed il Suo
popolo s’identifica in Lui, per cui, quando Egli muore, anch’essi
(legalmente) muoiono, e quando Egli risorge, anch’essi risorgono. In
questo brano troviamo pure altro, vale a dire, v. 17 "Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove”, che se uno è in
Cristo, egli è una nuova creatura, ha ricevuto una nuova vita, sia di
fatto che di fronte alla legge. E’ per questo che quei “tutti” per i
quali Cristo è morto, sono esortati a non vivere più per sé stessi, ma
“per colui che è morto e risuscitato per loro”. In altre parole, coloro
che appartengono a questi “tutti” e per i quali Cristo è morto, sono
esortati a manifestare in pratica nella loro vita quotidiana ciò che per
loro è vero legalmente: devono vivere “per colui che è morto per loro”.
Ecco così che è definito ciò che s’intende per “uno solo morì per
tutti”. Quei “tutti” per i quali Cristo è morto sono gli stessi che
“vivono” e che qui sono esortati a vivere “per Lui”. Questo brano, così,
insegna tre importanti verità, e per meglio evidenziarle, le citeremo
nell’ordine inverso: (a) alcuni sono esortati a non vivere più per sé
stessi, ma per Cristo; (b) chi sono questi? Sono “coloro che vivono”,
vale a dire che vivono spiritualmente, vale a dire i figli di Dio,
perché nel contesto dell’umanità solo loro possiedono vita spirituale
(gli altri sono morti nei loro peccati e nelle loro trasgressioni); (c)
coloro che così vivono, sono coloro, quei “tutti” per i quali Cristo è
morto e risorto. Questo brano, quindi, chiaramente insegna che (a)
Cristo morì per tutti coloro che appartengono al Suo popolo, vale a dire
tutti gli eletti, coloro che il Padre ha affidato al Figlio; che (b)
come risultato della Sua morte e risurrezione “per loro”, essi “vivono” –
e che (c) gli eletti sono i soli che così vivono, e questa vita che
loro appartiene mediante Gesù Cristo, deve essere vissuta “per Lui”: ora
l’amore di Cristo “li costringe”.
2.
“Infatti c'è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli
uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato sé stesso come prezzo di riscatto
per tutti; questa è la testimonianza resa a suo tempo” (1 Ti. 2:5,6). Ci
concentreremo sulle parole: “Che ha dato se stesso come prezzo di
riscatto per tutti”. Nelle Scritture la parola “tutti” (applicata
all’umanità) è usata in due modi – in modo assoluto ed in modo relativo.
In alcuni brani essa significa tutti senza eccezione; in altri
significa tutti senza distinzione. Quale di questi significati possa
essere applicato al caso esaminato, dipende dal contesto e deve essere
deciso confrontando i brani paralleli delle Scritture. Che la parola
“tutti” sia usata in modo ristretto e relativo, e in tal caso significa
tutti senza distinzione, e non tutti senza eccezione, risulta chiaro da
un certo numero di brani biblici, dai quali ne sceglieremo due o tre
come esempi. “Tutto il paese della Giudea e tutti quelli di Gerusalemme
accorrevano a lui ed erano da lui battezzati nel fiume Giordano,
confessando i loro peccati” (Mr. 1:5). Forse che questo significa che
ogni uomo, donna e bambino da tutta la Giudea ed ogni singolo abitante
di Gerusalemme fosse andato da Giovanni per essere battezzato? Certo No.
Luca 7:30 dice chiaramente: “I farisei e i dottori della legge, non
facendosi battezzare da lui, hanno respinto la volontà di Dio per loro”.
Allora, che cosa significa “tutti … erano da lui battezzati”?
Rispondiamo: non significa tutti senza eccezione, ma tutti senza
distinzione, vale a dire ogni tipo di persone, classe e condizione. La
stessa spiegazione s’applica a Luca 3:21: “Ora, mentre tutto il popolo
si faceva battezzare, anche Gesù fu battezzato; e, mentre pregava, si
aprì il cielo”. Leggiamo pure in Giovanni 8:9 “All'alba tornò nel
tempio, e tutto il popolo andò da lui; ed egli, sedutosi, li istruiva”:
dobbiamo comprendere quest’espressione in modo assoluto o relativo?
“Tutto il popolo” significa ogni singola persona che lo componeva,
oppure persone d’ogni tipo? Certamente la seconda ipotesi, perché il
Tempio non avrebbe potuto ospitare tutti coloro che in quel tempo
abitavano a Gerusalemme, cioè alla Festa dei Tabernacoli. Ancora
leggiamo in Atti 2:15: “Perché tu gli sarai testimone davanti a tutti
gli uomini delle cose che hai viste e udite”. Quel “tutti” certamente
non significa ogni singolo membro della razza umana. Ora, noi sosteniamo
che “…che ha dato sé stesso come prezzo di riscatto per tutti” 1 Ti.
2:6 non significhi “tutti senz’eccezione”, ma “tutti senza distinzione”.
Egli diede Sé stesso come prezzo di riscatto per gente d’ogni
nazionalità, d’ogni generazione, d’ogni classe, in una parola, per gli
eletti, come leggiamo in Ap. 5:9 “Essi cantavano un cantico nuovo,
dicendo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue,
gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione”. Che non si tratti di
un’interpretazione arbitraria del “tutti” nel nostro brano è chiaro da
Mt. 28:20: “il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per
servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”.
Questa limitazione sarebbe del tutto priva di significato se Egli diede
la Sua vita come prezzo di riscatti per tutti senza eccezione. Inoltre,
le parole qui di qualificazione “questa è la testimonianza resa a suo
tempo”, devono pure essere considerate. Se Cristo diede Sé stesso come
prezzo di riscatto per l’intera razza umana, in che senso questo vedrà a
suo tempo la testimonianza, dato che moltitudini di persone saranno
certamente perdute per l’eternità? Se però il nostro testo significa che
Cristo diede Sé stesso come prezzo di riscatto per gli eletti di Dio,
per tutti senza distinzione, senza distinzione di nazionalità, prestigio
sociale, carattere morale, età o sesso, allora il significato di queste
parole di qualificazione diventa del tutto comprensibile, perché “a suo
tempo” questo risulterà chiaro, ne riceverà testimonianza, quando
ciascuno di loro sarà effettivamente salvato.
3.
“Vediamo colui che è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè
Gesù, coronato di gloria e di onore a motivo della morte che ha
sofferto, affinché, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti”
(Eb. 2:9). Non è necessario soffermarsi molto su questo brano. Chi sono
questi “tutti”? Il versetto seguente lo spiega: “Infatti, per condurre
molti figli alla gloria, era giusto che colui, a causa del quale e per
mezzo del quale sono tutte le cose, rendesse perfetto, per via di
sofferenze, l'autore della loro salvezza” (Eb. 2:10). Si tratta di
“tutti” quei “molti figli” che saranno condotti alla gloria. Si vede
così che questo brano insegna non una salvezza illimitata, ma una
salvezza limitata: “molti figli”, non significa “tutti”, ma “un gran
numero”, e questo è in perfetto accordo con gli altri testi biblici
citati. E’ stato per “i figli” e non per l’intero genere umano che il
nostro Signore ha “gustato la morte”.
Chiudiamo questa sezione dicendo che l’unica limitazione
nell’opera di Redenzione, quella che abbiamo fin ora sostenuto, sorge
dalla pura sovranità di Dio: non è una limitazione di valore o di virtù,
ma di progetto e di applicazione. Consideramo ora così:
3. La sovranità di Dio lo Spirito Santo nella salvezza
Dato
che lo Spirito Santo è una delle tre persone della santa Trinità, ne
consegue necessariamente che Egli sia in piena concordanza con la
volontà e progetto delle altre Persone dell’Essere di Dio. Il proposito
eterno del Padre nell’elezione, l’applicabilità limitata della virtù
della morte del Figlio, e la prospettiva limitata dell’opera dello
Spirito Santo, sono in accordo perfetto. Se il Padre scelse alcuni prima
della fondazione del mondo e li affidò a Suo Figlio, e se è per loro
che Cristo diede Sé stesso come prezzo di riscatto, allora non è vero
che lo Spirito Santo stia lavorando per “portare il mondo a Cristo”. La
missione dello Spirito Santo nel mondo oggi, è quella di applicare i
benefici del sacrificio redentore di Cristo. La questione che ci deve
occupare ora, non è quanto lo Spirito Santo sia potente – su questo non
c’è alcun dubbio: la Sua potenza è illimitata – ma ciò che cercheremo di
mostrare è che la Sua potenza ed operazioni sono dirette dalla sapienza
e dalla sovranità divina. Abbiamo appena affermato che la potenza ed
operazioni dello Spirito Santo sono dirette dalla divina sapienza e
dall’indiscutibile sovranità di Dio. Prova di questo la troviamo nelle
parole che il nostro Signore dice a Nicodemo in Giovanni “Il vento
soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né
dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv. 3:8). Qui si fa
un raffronto fra il vento e lo Spirito. Il raffronto è duplice: in primo
luogo sia il vento che lo Spirito agiscono in modo sovrano, in secondo
luogo: in modo misterioso. Il raffronto è evidenziato dalla parola
”così”. Il primo punto dell’analogia si riscontra nelle parole “dove
vuole”, il secondo in “non sai”. Non ci occuperemo del secondo punto
dell’analogia, ma del primo vogliamo continuare a riflettere. “Il vento
soffia dove vuole … così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Il vento è
un elemento che nessuno può né imbrigliare né impedire. Il vento non si
consulta con l’uomo, prima di soffiare, né può essere regolato da
artifici di sorta. Così è dello Spirito. Il vento è regolato dalla
divina sapienza, eppure, per quanto riguarda l’uomo, esso è
assolutamente sovrano nelle sue operazioni. Così è con lo Spirito.
Talvolta il vento soffia così dolcemente che a malapena fa tremare una
foglia; altre volte soffia con tale violenza che il suo ruggito può
essere udito per miglia. Così è per quanto riguarda la nuova nascita.
Con alcuni lo Spirito opera in modo molto delicato, tanto che la Sua
opera è impercettibile ad umani osservatori. Con altri la Sua opera è
così potente, radicale, rivoluzionaria, che le Sue operazioni sono
evidenti per tutti. Alcune volte il vento ha un influsso solo locale,
altre volte insiste su intere regioni. Così è per lo Spirito: oggi
agisce su un’anima o su due, domani Egli può, come a Pentecoste,
“compungere il cuore” d’intere moltitudini di persone. Sia però che
operi su pochi o su molti, Egli non si consulta prima con l’uomo, ma
agisce a Suo piacimento. La nuova nascita dipende dalla volontà sovrana
dello Spirito.
Ciascuna
Persona della santa Trinità si occupa della nostra salvezza. Il Padre
si occupa della predestinazione, il Figlio della propiziazione, lo
Spirito della rigenerazione. Il Padre ci scelse; il Figlio morì per noi;
lo Spirito ci vivifica. Il Padre s’interessò di noi; il Figlio versò il
Suo sangue per noi; lo Spirito compie la Sua opera in noi. Ciò che fece
il Primo era di valenza eterna; ciò che il secondo fece era di valenza
esterna; ciò che lo Spirito fa è di valenza interna. E’ dell’opera dello
Spirito ciò di cui ora ci occupiamo, della Sua opera nell’ambito della
nuova nascita, ed, in particolare delle sue operazioni sovrane
nell’ambito della nuova nascita. Il Padre si propose la nostra nuova
nascita; il Figlio rese possibile la nuova nascita (con il Suo
“travaglio”), ma lo Spirito Santo realizza la nuova nascita – “nati
dallo Spirito” (Gv. 3:6).
La
nuova nascita è esclusivamente opera di Dio lo Spirito, e l’uomo in
questo non ha né arte né parte. L’idea stessa di nascita esclude che vi
possa essere un qualsiasi contributo da parte della persona che nasce. A
livello personale noi non possiamo “partecipare” alla nuova nascita più
di quanto abbiamo partecipato alla nostra nascita naturale. La nuova
nascita è una risurrezione spirituale, un “passare dalla morte alla
vita” (Gv. 5:24) e, chiaramente, la risurrezione è altresì cosa alla
quale l’uomo cooperi. Nessun cadavere è in grado di rianimare sé stesso.
Per questo è scritto: “È lo Spirito che vivifica; la carne non è di
alcuna utilità” (Gv. 6:63). Lo Spirito, però, non “vivifica” tutti:
perché? Di solito a questa domanda si risponde: “Perché non tutti
credono in Cristo”. Si suppone così che lo Spirito Santo vivifichi solo
coloro che credono. Questo, però, è mettere il carro davanti ai buoi.
Non è la fede la causa della nuova nascita, ma la sua conseguenza. E’
così ovvio che non varrebbe neppure la pena di discuterne. La fede (in
Dio), non è un qualche cosa di esotico che sia congenito al cuore umano.
Se la fede fosse un prodotto naturale del corpo umano, l’esercizio di
un principio comune alla natura umana, non vi sarebbe scritto: “Poiché
non tutti hanno la fede” (2 Ts. 3:2). La fede è una grazia spirituale,
il frutto di una natura spirituale. Coloro che non sono rigenerati sono
spiritualmente morti, “…voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei
vostri peccati” (Ef. 2:1), ne consegue che in loro la fede è
impossibile, perché un uomo morto non può credere in alcunché. “…e
quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio” (Ro. 8:8): lo
potrebbero se fosse possibile per la carne il credere. Confrontate
questo con il versetto citato frequentemente di Ebrei 11:6 “senza fede è
impossibile piacergli”. Potrebbe forse Dio essere
compiaciuto o soddisfatto con una qualsiasi cosa che non avesse origine
in Sé stesso? Che l’opera dello Spirito Santo inequivocabilmente preceda
il nostro credere, è inequivocabilmente stabilito da 2 Tessalonicesi
2:13: “Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la
santificazione nello Spirito e la fede nella verità”. Notate come la
“santificazione nello Spirito” venga prima e di fatto renda possibile
“la fede nella verità”. Che cos’è la “santificazione nello Spirito”?
Rispondiamo: la nuova nascita. Nella Scrittura “santificazione”
significa sempre “separazione”, separazione da qualcosa ed adesione a
qualcos’altro o a qualcuno. Approfondiamo un po’ la nostra affermazione
che la “santificazione nello spirito” corrisponda alla nuova nascita e
si riferisca ai suoi effetti posizionali. Ecco un servitore di Dio che
predica l’Evangelo ad una comunità in cui vi sono 100 persone non
salvate. Egli porta di fronte a loro l’insegnamento della Scrittura al
riguardo alla loro situazione di rovina e di perdizione. Egli parla loro
di Dio, del Suo carattere e di ciò che giustamente Egli esige. Egli
parla loro di come Cristo soddisfi Egli stesso per loro ciò che Dio
richiede, il giusto che muore per gli ingiusti, e dichiara che
attraverso “quest’uomo” ora è predicato il perdono dei peccati. Egli
così chiude il discorso, esortando i perduti a credere in ciò che Dio
dice nella Sua Parola ed ad accogliere Gesù come proprio personale
Salvatore. La riunione si conclude e l’assemblea si scioglie;
novantanove fra quei perduti presenti rifiutano di venire a Cristo ed
ottenervi vita, e tornano nelle tenebre rimanendo senza speranza e senza
Dio nel mondo. Il centesimo, però, ha udito la Parola. Il Seme è caduto
in buona terra, quella che Dio stesso ha preparato. Egli ha creduto
nella Buona Notizia, e torna a casa rallegrandosi che il suo nome sia
scritto in cielo. Egli è “nato di nuovo”, e proprio come un neonato nel
mondo naturale inizia la sua esistenza afferrandosi istintivamente,
nella sua impotenza, a sua madre, così quest’anima neonata si è
afferrata a Cristo. Proprio come leggiamo di Lidia: “Il Signore le aprì
il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo” (At. 16:14),
così nel caso immaginato prima, è lo Spirito Santo ad avere vivificato
quell’anima prima che potesse credere al messaggio evangelico. Ecco
dunque la “santificazione nello Spirito”: quest’anima che è nata di
nuovo, in virtù nella sua nuova nascita, è stata separata dalle altre
novantanove. Coloro che sono nati di nuovo sono separati per opera dello
Spirito, da coloro che solo morti nelle colpe e nei peccati.
Una
bella tipologia delle operazioni dello Spirito Santo antecedenti alla
“fede nella verità” da parte del peccatore, si trova nel primo capitolo
della Genesi. Leggiamo al versetto 2: “La terra era informe e vuota, le
tenebre coprivano la faccia dell'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava
sulla superficie delle acque”. La forma originale di questo testo in
ebraico, potrebbe essere resa così: “…e la terra era diventata una
desolata rovina, e le tenebre erano sulla faccia dell’abisso”. “Nel
principio” la terra non era stata creata nelle condizioni descritte al
versetto 2. Fra i primi due versetti di Genesi 1, potrebbe essere
avvenuta una terribile catastrofe, forse la caduta di Satana e, come
conseguenza, la terra era divenuta una “desolata rovina” e giaceva nelle
“tenebre”. Questa è la storia dell’uomo. Oggi l’uomo non si trova nelle
condizioni in cui era stato modellato dalle mani del Creatore. E’
avvenuta una terribile catastrofe, ed ora l’uomo è una “desolata rovina”
e completamente nelle “tenebre” al riguardo delle cose spirituali.
Leggiamo però ancora in Genesi come Dio avesse rimodellato la terra
rovinata e fatto nuove creature perché l’abitassero. Prima leggiamo: “…e
lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”, poi
troviamo: “Dio disse: «Sia luce!» E luce fu”. L’ordine è identico a
quello della nuova creazione. Prima c’è l’azione dello Spirito, e poi la
Parola di Dio dà luce. Prima che la Parola trovi accesso sulla scena
della desolazione e della rovina, portando con essa la luce, “si muove”
lo Spirito di Dio. Così è per quanto riguarda la nuova creazione: “La
rivelazione delle tue parole illumina” (Sl. 119:13), prima però che essa
subentri nell’oscuro cuore umano, è lo Spirito Santo che deve operare
su di esso.
Ritornando
ora a 2 Tessalonicesi 2:13 “noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per
voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha
eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede
nella verità”. In questo testo, l’ordine in cui compaiono le frasi è
molto istruttivo e della massima importanza. In primo luogo troviamo
l’eterna scelta che Dio ha compiuto; in secondo luogo, la santificazione
dello Spirito; in terzo luogo, la fede nella verità. Precisamente lo
stesso ordine si trova in 1 Pietro 1:2: “Eletti secondo la prescienza di
Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a
essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo” (1 Pi. 1:2). Per “ubbidire”
s’intende qui l’obbedienza della fede (Ro. 1:5), la quale fa proprie le
virtù del sangue “cosparso” di Cristo. Prima, dunque, dell’ubbidienza
(della fede, cfr. Eb. 5:9), vi è l’opera dello Spirito che santifica,
cioè “mette a parte”, e dietro a tutto questo vi è l’elezione fatta da
Dio Padre. Coloro che ricevono “la santificazione dello Spirito”,
quindi, sono coloro che sono stati eletti secondo la prescienza di Dio
“a salvezza” (2 Ts. 2:13).
Si
potrebbe però obiettare: non è forse la missione dello Spirito Santo
quella di “convincere il mondo di peccato”? Noi rispondiamo: no, non lo
è. La missione dello Spirito è triplice: glorificare Cristo, vivificare
gli eletti, edificare i santi. Giovanni 16:8-11 non descrive “la
missione” dello Spirito, ma presenta il significato della Sua presenza
qui in questo mondo. Non parla della Sua opera a livello soggettivo nel
credente, mostrandogli il suo bisogno di Cristo, sollecitando la sua
coscienza per infondergli nel cuore timore del giudizio. Si tratta
piuttosto della Sua opera oggettiva. Ad esempio: supponete di vedere un
uomo che sta subendo la sua condanna a morte: di che cosa questo mi
“convincerebbe”? E’ ovvio: che si tratta d’un assassino. In che modo io
ne sarei convinto? Leggendo gli atti del suo processo? Ascoltando una
confessione dalle sue stesse labbra? No, ma dal fatto evidente che si
trova sul luogo dell’esecuzione come condannato. Allo stesso modo, il
fatto che lo Spirito Santo sia qui presente, è proprio questo che
fornisce la prova della colpevolezza del mondo, della giustizia di Dio e
della condanna del diavolo. Lo Spirito Santo non dovrebbe essere qui:
questa è senza dubbio un’affermazione sorprendente, ma la facciamo
apposta. Cristo è Colui che dovrebbe essere qui. Egli era stato mandato
dal Padre, ma il mondo non l’ha ricevuto, proprio non lo voleva, lo
odiava e lo ha cacciato via. Il fatto, invece, che sia lo Spirito Santo
ad essere presente, è prova della nostra umana colpevolezza. La venuta
dello Spirito era prova e dimostrazione della risurrezione, ascensione e
gloria del Signore Gesù. La Sua presenza sulla terra capovolge il
verdetto emesso dal mondo, mostrando come Dio abbia annullato il
giudizio blasfemo avvenuto nel palazzo del Sommo Sacerdote e nel
pretorio del governatore romano. La “riprovazione” dello Spirito
permane, e rimane nonostante che il mondo abbia o non abbia accolto la
Sua testimonianza. Se il Signore avesse qui fatto riferimento all’opera
di grazia che lo Spirito avrebbe operato in coloro che avrebbero dovuto
sentire il bisogno che avevano di Lui, Egli avrebbe detto che lo Spirito
avrebbe convinto il mondo della loro ingiustizia, della loro mancanza
di giustizia. Qui, però, questo concetto non compare. La discesa dello
Spirito dal cielo, stabilisce la giustizia di Dio, la giustizia di
Cristo. La prova di questo è che Cristo è salito al Padre. Se Cristo
fosse stato un impostore, come insisteva a dire il mondo quando Lo
respinse, il Padre non Lo avrebbe ricevuto. Il fatto, però, che il Padre
lo abbia di fatto esaltato alla propria destra, dimostra come Egli
fosse innocente delle accuse che Gli erano state mosse; e la prova che
il Padre lo ha di fatto ricevuto, è la presenza ora dello Spirito Santo
sulla terra, perché è stato Cristo a mandarlo da presso il Padre (Gv.
16:7)! Il mondo ha commesso una gravissima ingiustizia nel respingerlo,
il Padre è stato giusto nel glorificarlo, e questo è esattamente ciò che
la presenza dello Spirito sulla terra oggi stabilisce.
“Quanto
al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato” (Gv.
16:11). Questo è il punto culminante logico ed inevitabile. Il mondo è
dichiarato colpevole proprio per avere respinto Cristo, per il loro
rifiuto di accoglierlo. La sua condanna viene manifestata proprio dal
fatto che il Respinto sia stato esaltato. Per questo il mondo, e il
diavolo, non può aspettarsi altro che un giudizio di condanna. “Il
giudizio” di Satana è già stabilito per la presenza stessa dello Spirito
sulla terra, perché Cristo, attraverso la morte, ha distrutto chi aveva
il potere sulla morte, cioè il diavolo (Eb. 2:14). Quando arriverà il
momento che Dio ha stabilito per la partenza dello Spirito dalla terra,
la Sua sentenza sarà eseguita, sia quella sul mondo che su chi lo
domina. Alla luce di questo testo indicibilmente solenne, non ci deve
sorprendere che Cristo poi dica: “…lo Spirito della verità, che il mondo
non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce” (Gv. 14:17). No,
il mondo proprio non Lo vuole, perché Egli condanna il mondo: “Quando
sarà venuto, convincerà (pronuncerà il suo verdetto di colpevolezza) il
mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al
peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al
Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di
questo mondo è stato giudicato” (Gv. 16:8-11).
Tre
cose la presenza dello Spirito Santo sulla terra dimostrerà al mondo:
in primo luogo, il suo peccato, perché il mondo rifiuta di credere in
Cristo; in secondo luogo, la giustizia di Dio nell’esaltare alla propria
destra Colui che il mondo respinge, e che il mondo non vedrà più; in
terzo luogo, il giudizio, perché Satana, il principe di questo mondo è
già stato giudicato, sebbene l’esecuzione di questo giudizio permanga
nel futuro. E’ così che la presenza dello Spirito Santo oggi manifesta,
mette in luce, le cose come veramente stanno.
Lo
Spirito Santo è sovrano nelle Sue operazioni, e la Sua missione è
riservata agli eletti di Dio: essi sono coloro che Egli “conforta”,
“suggella”, guida in ogni verità, mostra loro le cose a venire, ecc.
L’opera dello Spirito è necessaria al fine di completare la
realizzazione degli eterni propositi di Dio. Parlando in modo ipotetico,
ma rispettosamente, si potrebbe dire che se Dio non avesse fatto altro
che dare Cristo affinché morisse per i peccatori, nessun singolo
peccatore sarebbe stato mai salvato. Infatti, proprio affinché il
peccatore veda il suo bisogno d’un Salvatore, e sia disposto a ricevere
il Salvatore di cui ha bisogno, è assolutamente richiesta su di lui ed
in lui l’opera dello Spirito Santo. Se Dio non avesse fatto di più che
far sì che Cristo morisse per i peccatori, e poi avesse solo mandato i
Suoi servitori a proclamare salvezza in Cristo, lasciando i peccatori
completamente a sé stessi accettandolo o respingendolo secondo il loro
beneplacito, allora ogni peccatore Lo avrebbe respinto, perché nel
profondo del suo cuore, ogni uomo odia Dio ed è in inimicizia contro
Lui. Per questo era necessaria l’opera dello Spirito Santo per portare i
peccatori a Cristo, per sconfiggere la loro innata opposizione, per
costringerli ad accettare ciò che Cristo per loro ha compiuto. Diciamo
“costringere” i peccatori perché questo è esattamente ciò che fa lo
Spirito Santo, ciò che Egli deve fare.
Questo
ci porta a considerare accuratamente, seppure nel modo più breve
possibile, la parabola del “Gran cena”. In Luca 14:16 leggiamo: “Un uomo
preparò una gran cena e invitò molti”. Confrontando attentamente ciò
che segue a questo con Matteo 22:2-10, osserveremo diverse importanti
distinzioni. Consideriamo questi come due versioni diverse della stessa
parabola, che differiscono in qualche dettaglio secondo i propositi che
lo Spirito Santo si prefigge di raggiungere in ciascun vangelo. Il
racconto di Matteo, in armonia con la presentazione che vi fa lo Spirito
Santo, di Cristo, come Figlio di Davide, il Re dei Giudei, dice: “Il
regno dei cieli è simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio”
(Mt. 22:2). Il racconto di Luca, dove lo Spirito presenta Cristo come il
Figlio dell’uomo, dice: “Un uomo preparò una gran cena e invitò molti”.
Matteo 22:3 dice: “Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle
nozze; ma questi non vollero venire”, invece Luca 14:17 dice: “e all'ora
della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati…”. Ora, ciò che
vogliamo particolarmente qui rilevare è che per tutto il racconto di
Matteo abbiamo “i suoi servi”, e in quello di Luca è sempre “il suo
servo”. Coloro per i quali stiamo scrivendo questo libro sono coloro che
credono, senza riserve, nell’ispirazione verbale delle Scritture, e in
questa precisa prospettiva, essi prontamente riconosceranno che vi deve
senz’altro essere una ragione per cui in Matteo troviamo un plurale, ed
in Luca un singolare. Noi crediamo che la ragione di questo sia molto
rilevante e che prestare attenzione a questa variante, riveli
un’importante verità. Noi crediamo che “i servitori” in Matteo,
generalmente parlando, siano tutti coloro che vanno a predicare
l’Evangelo, ma che “il servo” di Luca 14, sia lo stesso Spirito Santo.
Non è affatto incongruo con il testo affermarlo, né certamente è
offensivo per lo Spirito, perché Dio il Figlio, nei giorni del Suo
ministero terreno, era il Servo di Yahweh (Is. 42:21). Si osservi che in
Matteo 22 “i servi” sono mandati a fare tre cose: in primo luogo a
“chiamare” alle nozze (3); in secondo luogo, a “dire” agli invitati che
il pranzo pronto; in terzo luogo, ancora a “chiamare” (o esortare).
Queste sono le tre cose che oggi fa un ministro dell’Evangelo. In Luca
14 il Servo è pure mandato a fare tre cose: in primo luogo: “mandò il
suo servo a dire agli invitati: "Venite, perché tutto è già pronto"”
(17); in secondo luogo, “disse al suo servo: "Va' presto per le piazze e
per le vie della città, e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi"
(21); in terzo luogo, “Il signore disse al servo: "Va' fuori per le
strade e lungo le siepi e costringili a entrare” (23). Queste ultime due
cose solo lo Spirito le può fare! Ecco così che nel testo citato “il
Servo”, lo Spirito Santo, costringe certuni a venire alla “cena”,
manifestando qui la Sua sovranità, la Sua onnipotenza e la Sua divina
sufficienza. Chiara implicazione di questo “costringere” è che coloro
che lo Spirito Santo conduce dentro, non hanno nessuna intenzione di per
sé stessi di farlo. Questo è esattamente ciò che abbiamo cercato di
mostrare nei paragrafi precedenti. Per loro natura, gli eletti di Dio
sono figli d’ira tanto quanto gli altri (Ef. 2:3) e come tali i loro
cuori sono in inimicizia contro Dio. Questa loro “inimicizia” è
sopraffatta dallo Spirito ed Egli li “costringe” ad entrare. Non è forse
chiaro il motivo per cui altri siano lasciati fuori, cioè non solo
perché essi non hanno alcuna intenzione di entrare, ma pure perché lo
Spirito Santo non li costringe a farlo? Non manifesto che lo Spirito
Santo è sovrano nell’esercizio del Suo potere, che “il vento soffia dove
vuole” e che lo Spirito Santo faccia tutto ciò che Egli ritenga più
opportuno?
Per
riassumere. Abbiamo cercato di mostrare la perfetta coerenza del
comportamento di Dio: che ogni Persona della Trinità agisce in
coordinazione ed in armonia con le altre. Dio il Padre elegge certuni
alla salvezza, Dio il Figlio muore per gli eletti, e Dio lo Spirito
Santo vivifica gli eletti. Allora possiamo bene cantare:
Gloria e lode a
Te, Padre nostro e Re dei re…
Lode a Te, Signor Gesù ed all’eccelsa Tua
virtù…
Sale un inno con fervor a Te, Spirito creator:
Sia lode al
Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo!
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